sabato 25 giugno 2011

«Restiamo umani» in Val di Susa

Al presidio della Maddalena si attende l’intervento delle forze dell’ordine: «Vogliono logorarci, non ci riusciranno». È previsto entro pochi giorni. Le barricate dei No Tav sono state ribattezzate Stanlingrado e Saigon. Un appello di intellettuali a non usare la forza ha raccolto finora 900 adesioni

CHIOMONTE - Quando arriverà Godot? Si domanda un ragazzo in cima alla Maddalena. Anzi, Libera repubblica della Maddalena: il presidio, il fortino dei No Tav. E per Godot intende una scia blu di blindati che accecherà il cielo della Val di Susa, forse di primo mattino. «Arriverà. Arriveranno in massa. E lo faranno tra pochi giorni» rispondono i molti che passano le giornate qui, all’ombra dei castagni, dove si fa festa, si discute e si sta allerta, ma sempre col sorriso. Le labbra si chiudono solo quando si abbassano gli elicotteri delle forze dell’ordine sopra le teste dei valligiani e di chi partecipa al movimento (non solo gente di montagna). «Ci controllano, ci filmano, fotografano le nostre barricate». Ce ne sono tante, costruite a ogni accesso con legno, pietre e reti. All’inizio della strada dell’Avanà (il vino doc di Susa), sul torrente Clarea verso Giaglione o nei pressi dell’autostrada Torino-Bardonecchia, dove il 23 maggio scorso ci fu il primo tentativo, non andato in porto, di avviare il cantiere, scortato dalla polizia. Le due barricate, che costeggiano l’A32, sono state rinforzate e battezzate Stalingrado e Saigon. «Due, tra le poche battaglie che abbiamo vinto» dice Nicoletta.

La strategia delle forze dell’ordine è quella del logoramento. «Ma se fanno così hanno sbagliato in partenza, la gente continua ad aumentare» racconta un signore, non più ragazzo. Attualmente nel piazzale della Maddalena è in corso l’accampamento resistente – dove campeggia il motto di Vittorio Arrigoni «Restiamo Umani» – con iniziative ogni giorno. Musica, film, teatro, dibattiti. L’obiettivo è quella di fare della Maddalena uno spazio vivo, non solo di attesa ma di socializzazione. A suonare sono già venuti i Lou Dalfin e gli Statuto ed «è pieno di giovani band che chiedono di potersi esibire». Qui, si fanno assemblee con la Fiom e si tengono lezioni universitarie, come quella di Massimo Zucchetti del Politecnico sull’uranio e gli effetti sulla salute. Un tema centrale, quando si parla di un tunnel, in una zona uranifera come la Val di Susa.

La notte al presidio è lunga, ma passa alla svelta in compagnia di tante persone, un centinaio ogni volta. E quando le luci calano, l’età si abbassa, tanti i giovani. Le sentinelle e le vedette stanno in guardia. Qualsiasi movimento viene segnalato. Spesso sono falsi allarmi: si sdrammatizza e si pensa di vivere in una sorta di Fortezza Bastiani, raccontata da un redivivo Buzzati. Ma la tensione resta alta. Sembrano questi i giorni decisivi, quelli del blitz. «Lo aspettiamo tra domenica e lunedì. Siamo pronti a resistere» sussurra un manifestante, mentre collauda una barricata. Nelle ultime ore sono aumentate «le pressioni politiche» per l’avvio dei lavori, dal ministro Matteoli («una minoranza non fermerà i lavori»), agli assessori regionali Ravello e Bonino, che hanno lanciato una campagna porta a porta a favore dell’opera, al parlamentare Pd Esposito: «Basta con le chiacchiere. Lo Stato faccia lo Stato e apra i cordoni della borsa». Prima, c’erano stati gli avvisi di garanzia e le perquisizioni nei confronti di esponenti del movimento. E brutti segnali, dopo le pallottole ai deputati Pd, la busta con veleno per topi inviata ad Alberto Perino. Lo stesso veleno, fosfuro di zinco, che aveva ucciso il suo cane.

Tutti elementi che alimentano la tensione. Ecco perché il movimento chiama alla partecipazione. Per arrivare al presidio, basta risalire da Chiomonte la strada dell’Avanà, magari lasciando l’auto all’inizio della salita, dove uno striscione inaugura la Libera repubblica. C’è scritto: «Giù le mani dalla Valsusa» e due poco rassicuranti carabinieri in gommapiuma simboleggiano la militarizzazione della valle. Accanto, quello che alcuni chiamano «check-point», ma altri preferiscono definirlo «punto d’accoglienza». Su un lato, una frase di Francesco Guccini, che pochi giorni fa ha espresso simpatia per il movimento, recita: «Da sempre l’ignoranza fa paura e il silenzio è uguale a morte». I No Tav ce l’hanno messa tutta, in questi vent’anni, a informare l’opinione pubblica italiana su quanto fosse «assurda e inutile» quest’opera, che costerebbe tra 15 e 20 miliardi di euro (tre volte tanto il ponte di Messina). I contributi europei coprirebbero meno del 30% della sola tratta internazionale (il tunnel di base); il resto lo pagherebbe lo Stato italiano. I soldi europei se il cantiere non partisse entro giovedì salterebbero. Proprio quello che i No Tav vogliono.

Ieri, la Commissione europea ha confermato di aver inviato una lettera ai ministri dei Trasporti italiano e francese, ricordando l’impegno se non si vuole perdere una «parte sostanziale dei finanziamenti (672 milioni, ndr)». «Entro il 30 giugno il cantiere sarà aperto perché altrimenti sarebbe un delitto per le giovani generazioni» ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Ha invece raggiunto le 900 adesioni l’appello contro le forzature Pro Tav (no a soluzioni militari e di forza), promosso, tra gli altri, da Luciano Gallino, Giorgio Airaudo, Livio Pepino e Gianni Vattimo.

Da il manifesto del 25 maggio

Nessun commento: