domenica 29 maggio 2011

Ecco le ruspe, i No Tav preparano la resistenza

In val di Susa è la settimana decisiva: se non partono i cantieri dell'alta velocità si perdono i finanziamenti europei. I comitati non recedono: «Ci difenderemo con ogni mezzo»

L'attesa, per ora, è una festa di popolo. Gente di valle, di montagna, anche di pianura. Le tende al presidio Clarea, ribattezzato Libera Repubblica della Maddalena, stanno aumentando. A Chiomonte, sette chilometri da Susa, arrivano da tutte le parti d'Italia e sono attesi anche stranieri. I No Tav sono diventati una scuola, perché resistere 22 anni a Golia non è cosa da poco. E il «fortino» della Maddalena - sotto il Rocciamelone, all'ombra dei castagni, protetto dai tronchi della barricate - è un campeggio per resistere: «Un minuto più degli altri». «Più gente ci sarà, meno pietre ci saranno», aveva invocato giovedì all'assemblea di Bussoleno Alberto Perino: «Quel luogo va vissuto come Venaus nel 2005». Entro martedì sera, proprio dove la valle si fa stretta e l'autostrada si incanala veloce, dovrebbero partire i lavori, o meglio la recinzione, del cantiere per il tunnel geognostico del Tav (al maschile, perché si tratta di un treno). Se non sarà così, addio finanziamenti europei, come ha ribadito il presidente dell'Osservatorio Mario Virano.

Ma i cantieri potrebbero aprirsi con l'intervento delle forze dell'ordine. «Ci avevano provato già lunedì - dice Antonio, zaino in spalle e passo svelto -, una triste sceneggiata che avrebbero voluto concordare con noi: Mettiamo due pali e ce ne andiamo, dissero tra le righe. Più che il Tav interessa il denaro pubblico da spartire». Giù in valle, a Torino, il fronte imprese-istituzioni (dal Pd al Pdl) ha scritto al ministro Maroni: «Quel cantiere si deve aprire a ogni costo entro il 31 maggio». Anche con l'uso della forza. E, poi, il solito mantra: l'Italia sarà tagliata fuori dall'Europa per colpa di «una minoranza di facinorosi».

Dovrebbero venire a conoscerli questi «facinorosi». Lo strabismo mediatico talvolta genera mostri. Ma, qui, di trinariciuti non c'è traccia. Il movimento vive di una pluralità di anime. Giovani e vecchi, contadini e operai, studenti e imprenditori, ambientalisti e cattolici di base, anarchici e moderati. «Sono tre le gambe dei No Tav: gli esperti, le istituzioni e il movimento», spiega Gigi dei Cattolici per la Valle che qui hanno costruito un pilone votivo. Intanto, i sindaci e Sandro Plano, presidente della comunità montana (iscritto al Pd), sono ricorsi al Tar del Lazio contro la delibera del Cipe che autorizza l'avvio del cantiere della Torino-Lione. L'unione tra diversi è ormai storia: «L'obiettivo - aggiunge Gigi - è comune, opporsi a un'opera faraonica e inutile». Ieri, il movimento ha preso carta e penna per rispondere alle dichiarazioni di politici e industriali: «Non arretreremo di un centimetro dalle nostre posizioni». Poi, un appello alle forze dell'ordine: «Riflettete sulla nostra protesta. Voi siete chiamati a facilitare con la forza l'avviamento di un progetto voluto dalle lobbies con il solo scopo di mettere le mani su centinaia di milioni. Noi siamo un movimento di cittadini determinati ma pacifici: non abbiamo mai distrutto vetrine o incendiato auto, abbiamo difeso il nostro territorio e il futuro della nazione».

Le strade di accesso alla Maddalena sono chiuse. «La polizia tenterà di sfondare il guard rail dell'autostrada». Le voci su quando arriveranno forze dell'ordine e camion della Italcoge si accavallano. Da questa sera l'allarme è alto: «Sfrutteranno il ballottaggio per evitare i riflettori dei media? O verranno lunedì o martedì? Di notte, come i ladri!». I No Tav non vogliono cascare nelle provocazioni e rispediscono al mittente, insieme all'Anpi, l'accusa di «fascismo» rivolta da Bonanni, Cisl, che ha organizzato per martedì una manifestazione a sostegno dei lavoratori edili della valle. Per Lele Rizzo, Comitato No Tav, la Maddalena è la madre di tutte le battaglie: «Non parlo di scontri militari, ma della passione che ci metteremo per difendere questo territorio. Lo dobbiamo a chi ha chiesto di essere seppellito con la bandiera No Tav». Come Raul, robusto e schietto, «un cuore in carne d'ossa», sentinella del presidio di Venaus. Un mito. Ma anche René, Fabio, Franco e Alessio.

Alla Maddalena le ore passano nell'attesa. Si mangia, si beve e si lavora per rendere sicuro e confortevole il fortino. Ci si aiuta. Come Giorgio, piccolo imprenditore che suona il basso e appena può scappa sul colle. O come Italo, barba bianca, che ha portato la bandiera in cima al Nevado Pisco, sulle Ande. La baita, costruita lo scorso anno sul terreno acquistato dalla no Tav Marisa Meyer, contro cui c'è un'ordinanza di demolizione, è luogo di riparo e assemblee. «Non ti senti mai solo - racconta Nicoletta Dosio, una vita nella sinistra, nel Prc e nel movimento - oltre ad aver condiviso un sapere collettivo, è nato un senso di comunità e di solidarietà. Agli inizi degli anni '90 eravamo 4 o 5, ora alle manifestazioni siamo in 20 mila». Il tempo corre tra sorrisi e preoccupazioni: «Non siamo eroi e la paura c'è. Ma è bello confrontarsi. Qui si respira aria di democrazia. Diretta», dice Maria Eleonora Forno del Movimento cinque stelle, fuori dalla roulotte dove i grillini hanno inaugurato la sede distaccata dell'Ufficio consiliare regionale, con i consiglieri Davide Bono e Fabrizio Biolè che si alternano per dare una rappresentanza istituzionale che protegga da «militarizzazioni». Anche la Fds con il segretario torinese del Prc Renato Patrito ha installato una tenda. Ieri ha fatto visita Paolo Ferrero; mentre venerdì ospite è stata Haidi Giuliani. Nella mostra Cassandra per il decennale della morte di Carlo una parte sarà dedicata ai No Tav.

Da il manifesto del 29 maggio

venerdì 13 maggio 2011

Torino vota, ma i ricercatori se li è scordati sul tetto

Abbiamo riportato sul tetto i ricercatori che a Torino, pochi mesi fa, dettero il via alla protesta. Nel novembre scorso salirono con loro facendosi fotografare un bel po’ di politici, promettendo che non li avrebbero lasciati soli. Ma durante la lunga campagna elettorale per le amministrative, la politica si è dimostrata ancora una volta in fuga da questi cervelli. Nella migliore delle ipotesi è stato offerto loro qualche posto in lista, a programma già chiuso. Il favorito, Piero Fassino, ha parlato di un nuovo Polo della Conoscenza, ma riducendo il tutto quasi a una questione di rilancio logistico-edilizio. Eppure Alessandro Ferretti, ricercatore al Cern di Ginevra, o Matteo Viale, matematico premiato per la miglior tesi di dottorato in Logica al mondo, potrebbero dar tanto alla città, se solo qualcuno glielo chiedesse…

L’ansia dei politici non sta sul tetto. Talvolta ci sono saliti, magari con una scala a pioli e sguardi maliziosi. E qualcuno avverte che ci tornerà. Ma non è il loro spazio ideale. Preferiscono la piazza. Anche la campagna elettorale scorre di sotto. Sul tetto, lo scorso autunno, ci sono invece andati i ricercatori, i precari della ricerca. Non su uno a caso, ma su quello di Palazzo Nuovo, sede storica delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino, davanti alla Mole Antonelliana, il simbolo elegante della operosa città della Fiat. E l’ultimo piano resta tuttora un punto di osservazione, non solo suggestivo, per raccontare la vigilia delle elezioni. Anche quel potenziale di idee sul futuro della metropoli sabauda, frutto di progetti e ricerche nei laboratori e nei dipartimenti delle facoltà, che resta inespresso, ignorato dai programmi dei candidati.

«A novembre era un viavai di strette di mano e impegni promessi, adesso i politici non li vedi più. Ci tirano per la giacchetta, ci offrono posti in lista, ma a programma chiuso», racconta Alessandro Ferretti, fisico nucleare, che si divide tra l’ateneo torinese e il Cern di Ginevra. Portavoce della Rete 29 aprile, fu lui che il 23 novembre scorso, davanti all’assemblea di Palazzo Nuovo, disse: «Quando c’è un’alluvione si sale sui tetti. E noi saliamo per scampare al pericolo (la legge Gelmini, in quel caso, ndr), per evitare che non scompaia un futuro professionale per ricercatori e precari».

E, in cima, è stata un’altra storia. Per un po’ l’università è diventata parte del discorso pubblico. Lo è stata anche in questa campagna elettorale: Piero Fassino è stato il primo a parlare di «polo della conoscenza» e di Torino come città universitaria (con due atenei attualmente conta 100 mila studenti). «È il come che ci lascia più perplessi» dicono i ricercatori. [Continua]

La corsa per il primo sindaco “post-Fiat”

Da Linkiesta, 13 maggio