martedì 27 novembre 2012

“Fateci un regalo per Natale: pena di morte per i gay”

Questo chiederebbero, secondo ilpresidente del Parlamento, i cittadini dell’Uganda. Dove rischia di essere approvata a breve una legge che prevede la pena di morte o l’ergastolo per i gay (ora rischiano 14 anni). Tra liste di proscrizione e predicatori americani, va in scena in Africa un pogrom anti-omosessuali. 

Da Linkiesta del 27 novembre

giovedì 22 novembre 2012

Il gran rifiuto di Ken Loach a Torino: “Sfruttate i lavoratori”

Ken Loach ha platealmente rifiutato il Gran Premio Torino. Motivazione? Per il regista, il Museo del Cinema, o meglio, la cooperativa Rear (che smentisce e, con il presidente Laus, consigliere regionale Pd, minaccia querele) sfrutta i lavoratori. Brutta tegola per la Torinodi Fassino alla vigilia del Film Festival

TORINO – In genere ci si limita ad attestati di solidarietà,alla stretta dimano al lavoratore, al minuto di microfono, alloslogan lanciato afavore di telecamera, allo striscione ospitato sulpalco. Però al premio, alla comparsata sul tappeto più o meno rosso, spesso non si rinuncia. Si tratti di un regista, di un attore, di un drammaturgo, di uno scrittore o di un intellettuale impegnato. Ecco perché il gran rifiuto del Gran Premio Torino di Ken Loach fa un certo effetto. Buca la società dell’eccitazione, crea un vuoto. Sullo sfondo non c’è un grande conflitto o paladini da sostenere, ma una piccola storia cittadina (le condizioni dei lavoratori di una cooperativa), che però descrive bene il Sistema Torino, un tempo – quello dei fasti chiampariniani – era un vanto, ora – nell’epoca del debito – un’impalcatura che barcolla insieme alle sue contraddizioni.
[CONTINUA]



Da Linkiesta del 22 novembre

sabato 15 settembre 2012

Referendum, per Yuri e altri. Storia di sei operai scomodi

Ti chiamano alle 12 o alle 16,30, poco cambia. Sei appena tornato dalle ferie o, peggio, dalla cassa integrazione. Non hai nemmeno il tempo di pensare cosa vorranno dirti che ti avvisano subito: vai in ufficio, ti vuole il direttore o la segretaria del capo del personale. Pochi dettagli non cambiano una storia che si ripete quasi in fotocopia. Percorri i corridoi della fabbrica e quando si apre la porta della stanza, l’atteggiamento di chi ti accoglie è ogni volta identico: freddo ma educato. Il motivo della chiamata è lo stesso, per tutti, licenziamento per «motivi economici».
È successo a Vittorio, Yuri, Mirko, Martino, Daniele e Paolo. Cinque sono iscritti alla Fiom, uno è un ex iscritto. Sono, tra i metalmeccanici, le prime vittime della riforma Fornero, che ha modificato, svuotandolo, l’articolo 18. D’altronde la legge è in vigore dal 18 luglio, perché non applicarla si sarà detto qualche imprenditore (nei giorni scorsi ad approfittarne è stato il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, che ha lasciato a casa due lavoratori).
Questa è la storia di sei lavoratori scomodi. I primi tre lavorano in un’azienda dell’astigiano, gli altri in una ditta di Moncalieri, sessanta chilometri di distanza lungo le strade di un Piemonte sempre più marchionizzato. Partiamo da Cerro Tanaro, in provincia di Asti, dalla Lagor, che produce nuclei per trasformatori elettrici. Vittorio Gaffodio ha 45 anni e ci lavora dal ’91. «L’ho vista crescere». È membro della segreteria provinciale delle tute blu della Cgil, eletto la prima volta Rsu nel 2003: «L’anno successivo chiediamo all’azienda un’analisi della polveri. Risulta la presenza di silicio e cromo esavalente. Preoccupati, chiediamo di fare installare degli aspiratori, ma la risposta è picche. Sono percentuali inique, dicono. Successivamente facciamo denuncia allo Spresal dell’Asl, che nell’ottobre del 2010 si presenta per le indagini. Da quel momento inizia nei miei confronti un duro attacco e continue pressioni. In bacheca compare un documento aziendale che parla di un rapporto di fiducia rotto, la direzione minaccia di togliere i premi aziendali». Vince la paura. «La Fim decide di raccogliere le firme per far decadere le Rsu». La Fiom che per sette anni era stata maggioranza alle elezioni perde. «E così, nei due anni successivi, ogni volta, che spuntava la cassa integrazione ero il primo a essere lasciato a casa, con il salario ridotto a 750-800 euro al mese, una moglie attualmente disoccupata e un mutuo da pagare».
Arriviamo a venerdì scorso, alle 12. «Stavo facendo il primo turno, mi chiama il direttore e mi dà un foglio. Da quel momento vengo licenziato per motivi oggettivi. In una recente visita, richiesta dal medico aziendale, sono stato considerato inidoneo nello svolgere il turno di notte». Il pretesto. «E pensare che in tutta la mia carriera in Lagor l’avrò fatto una settimana tanti anni fa». Vittorio si domanda: «Questi sarebbero licenziamenti economici? Si risolve la crisi mandando a casa tre lavoratori in uno stabilimento che ne conta cento? Non sono altro che discriminatori contro chi ha alzato la testa. Prima della riforma Fornero si sarebbe aperta una procedura di mobilità. Ora, non ho nemmeno il diritto agli ammortizzatori». Ma rimane ottimista e spera nel referendum contro la riforma.
Insieme a Gaffodio, il licenziamento è stato notificato a Mirko Passalacqua e a Yuri Cravanzola: «Non sarò un rompiscatole come Vittorio – racconta Cravanzola – ma da quando decisi di non firmare il documento che fece decadere le Rsu, anch’io ho subito pressioni e l’offerta di una buonuscita di 7 mila euro. Non l’ho accettata. Venerdì è stata una doccia fredda. Vogliono toglierci ogni diritto, renderci schiavi. Il ministro Fornero diceva che con la riforma ci avrebbe fatto un favore, mi chiedo ora, che avrebbe fatto se voleva farci un torto».
Sta seguendo da vicino la vicenda Giuseppe Morabito, segretario Fiom Asti: «C’è stato un calo di commesse, ma l’azienda non ha mai chiesto cassa straordinaria o mobilità. Impugneremo i licenziamenti e dimostreremo che i motivi non sussistono. Purtroppo, i lavoratori rischiano di vedersi riconosciuto solo l’indennizzo e non il reintegro».
A Moncalieri, alla Model Master, azienda di design con 150 addetti, stesso copione: tre lavoratori, iscritti alla Fiom e il pretesto della crisi. Martino Grisorio, ex Rsu entrato in fabbrica 25 anni fa, racconta la sua vicenda e quella dei colleghi, Daniele Giordanino e Paolo Bauducco, modellatori di stile: «Il 3 settembre, alle 16,30, veniamo convocati e ci viene data lettera di licenziamento con motivazioni oggettive di natura economica».
Per Giordanino non è una prima volta: anni fa era stato licenziato senza giusta causa e poi riammesso dal giudice, grazie all’articolo 18. Come alla Lagor, c’è un passaggio determinante: «Nei mesi scorsi ci siamo opposti all’adozione di un contratto stile Fiat, con l’uscita da Confindustria e dal contratto nazionale. E da quel momento l’azienda ha evitato ogni dialogo con noi, anche quando è stata decisa una quarta settimana di chiusura di alcuni reparti. Non sono veri i motivi economici: mesi fa sono stati assunti alcuni addetti nel nostro reparto. Noi siamo i primi a subire la riforma, c’è bisogno di un argine. Dobbiamo convincere i giudici della discriminazione». Mercoledì ci sono state due ore di sciopero. Secondo Edi Lazzi, funzionario Fiom, «questa vicenda testimonia come sia una legge sbagliata e da cambiare».

Da il manifesto del 14 settembre

venerdì 17 agosto 2012

Nucleare, grandi annunci ma la bonifica è “all’italiana”

«Trino Vercellese sarà la prima delle quattro centrali nucleari italiane a essere completamente smantellata», ha annunciato la scorsa settimana la Sogin (la società di Stato incaricata delle bonifiche atomiche). Il ministero dello Sviluppo economico ha infatti approvato il decreto di “disattivazione dell’impianto”. Ma c’è un particolare che rovina la festa: il deposito nazionale delle scorie ancora è di là da venire. E così l’operazione è più di facciata che di sostanza. 

Trino Vercellese è una zattera galleggiante immersa nella pianura padana, appoggiata al Po e al Monferrato. Da oltre mezzo secolo, la sua storia è legata al nucleare, nonostante in 23 anni di attività (1964-1987) la centrale Enrico Fermi abbia prodotto 26 miliardi di kWh di elettricità, allo stato attuale dei consumi in Italia, pari a circa 26 giorni di fabbisogno.

Da Linkiesta del 17 agosto

martedì 7 agosto 2012

No Tav, il Terzo fronte

Tra espropri, blocchi e presìdi, in val Lemme, valle Scrivia e Valpolcevera, cresce un altro movimento contro l'alta velocità: quello che non vuole il Terzo valico tra Piemonte e Liguria. Rifinanziato dal governo Monti
In alta Val Lemme gli alberi si fanno fitti e non c'è spazio per i rumori della pianura, come quelli che si orchestrano stonati attorno al mega outlet di Serravalle Scrivia. Qui, il Piemonte diventa quasi Liguria, ma prima di scollinare si arrampica sulla ripida cresta degli Appennini. Tra queste rocce vogliono farci passare il Terzo Valico dei Giovi, 53 chilometri di linea ferroviaria ad alta velocità e alta capacità (per ora un ibrido senza precisa destinazione), 39 dei quali in galleria, da Genova a Tortona, anzi a Rivalta Scrivia, parte del corridoio 24, tra il porto della Lanterna e quello di Rotterdam. Sono 115 milioni di euro al chilometro per una spropositata cifra totale di 6,2 miliardi di euro, quanto il taglio alle pensioni del governo Monti, che come il precedente esecutivo Berlusconi, sostiene l'opera considerata strategica (seppur non giustificata dal punto di vista della domanda del trasporto). Per non parlar dei problemi relativi all'amianto e alle falde acquifere. Del Terzo Valico se ne discute da oltre 20 anni, un progetto capostipite risaliva addirittura al 1988 (linea veloce Genova-Milano), ma è nel 1991 che prende - seppur mutevole - un'astratta forma. L'anno in cui nasce il general contractor che dovrebbe realizzare la grande opera e dividersi la torta: il Cociv. Il consorzio, guidato da Impregilo (tra gli azionisti, Gavio, che a Tortona ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo) con Tecnimont, Condotte d'Acqua e Civ, ha redatto il progetto per conto della Tav spa di Rfi.

E, ora, dopo alti e bassi, "fori pilota" bloccati dalla magistratura nel 1998, legge obiettivo (che nel 2001 la inserì nelle infrastrutture ferroviarie strategiche), delibera Cipe (2006) e primi due lotti finanziati, siamo arrivati - senza ancora nessun progetto esecutivo - agli espropri, più precisamente agli iter di immissione in possesso che ne sono il preludio, in vista dell'adeguamento della viabilità propedeutica ai lavori di scavo (primo lotto, Berlusconi: 500 mila euro). Così, per far posto a gallerie, rotonde, strade - in un contesto naturalistico scomposto e sventrato - viene tolto spazio a campi, giardini, garage e case. Niente deve essere d'intralcio in Val Lemme come in Valle Scrivia, nell'alessandrino, o in Valpolcevera, sull'altro versante genovese. Le lettere ai proprietari sono arrivate a fine giugno. Il movimento contro il Terzo Valico, forte della manifestazione che il 26 maggio ha portato 2500 persone ad Arquata Scrivia, non si è fatto trovare impreparato. E da Libarna, già città romana lungo la via Postumia, in su, le strade si sono riempite di bandiere No Tav, quelle bianche e rosse della Val di Susa. Anche Pasquale, che vive a Crenna, nel comune di Serravalle Scrivia, in una casetta ex cantoniera poco prima della galleria, l'ha appesa alla finestra. Gli hanno proposto 60 euro per l'esproprio di 40 metri quadrati e 40 euro annui per l'occupazione provvisoria di altri 317 metri che comprendono la sua abitazione in pietra, acquistata e ristrutturata con fatica e non senza beghe legali con l'ex proprietario. «Quando mi è arrivata la lettera, temevo una multa per eccesso di velocità. Aperta, scopro invece che mi vogliono portare via la casa». In cambio di cento euro. Pasquale lo racconta con una tranquillità, piena di stupore. Potrebbe riavere le sue pareti dopo (minimo) dieci mesi ma con uno stradone in mezzo al giardino e un finale senza happy end che ricorda un film francese Home (di Ursula Meier, 2008), dove la quiete di una famiglia, che vive in campagna ai margini di un'autostrada mai completata, viene interrotta dall'inaugurazione improvvisa del tratto, isolandola così dal resto del pianeta. «Vado in Comune - continua Pasquale - chiedo delucidazioni, ma non ottengo risposte. Allora, decido di rivolgermi ai comitati. Ed è stato un bene».

Il movimento No Tav - Terzo Valico resuscitato nell'inverno, dopo il sì del governo Monti al rifinanziamento del secondo lotto (un milione e cento mila euro), in queste settimane ha organizzato, per evitare gli espropri, blocchi e presidi nei paesi delle valli. «Il Cociv - racconta Claudio Sanita, comitato Arquata Scrivia - si è presentato scortato a Trasta e Borgo Fornari in Valpolcevera e a Serravalle Scrivia. Ma ha girato i tacchi. Siamo in tanti, la gente è partecipe e solidale». E pensare che a gennaio «eravamo solo io e Luca a volantinare per Arquata, ora siamo in centinaia tra i vari comitati». A Trasta, la Digos ha identificato una quarantina di manifestanti, per loro scatterà una denuncia per interruzione di pubblico servizio. I legali dei No Tav hanno, invece, provato a chiedere una sospensiva delle procedure al Tar. Ricorso bocciato a fine luglio: «Leggendo nel merito la sentenza - spiega Sanita - si dice che il Terzo valico è una grande opera pubblica, mentre i cittadini difendono i loro cortili. La realtà diversa: il Cociv è l'interesse privato, la battaglia dei cittadini è di interesse pubblico. In difesa delle falde acquifere, della salute e della nostra terra».

E chi ha paura è Arquata Scrivia. Teme di rimanere senz'acqua e che le fonti della frazione di Rigoroso, sotto il monte Zuccaro, restino irrimediabilmente compromesse dai lavori per il tunnel. «I danni sarebbero gravi per tutto il territorio. La delibera Cipe prevede che nel caso in cui i lavori intercettassero la falda e il paese rimanesse senz'acqua verrebbe fornito un servizio con autobotti e verrebbe successivamente realizzato un acquedotto alternativo. Significa rimanere per almeno tre anni senz'acqua. Non è ammissibile. Per questo chiediamo una seria analisi idrogeologica» sottolinea il sindaco Paolo Spineto, a capo di una maggioranza di centrodestra. Il rischio è un altro Mugello, dove dopo diciassette anni di lavori per l'alta velocità si sono ritrovati acquedotti fuori uso e sorgenti prosciugate. Spineto è l'unico primo cittadino schierato apertamente contro il Terzo Valico, il Pd alessandrino sul tema è stato spesso silente, ora invoca un Osservatorio e il presidente della provincia, Paolo Filippi, darebbe l'ok solo se scongiurato il rischio amianto. Ma il partito di Bersani paga il doppio filo con cui è legato al potentissimo Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit già presidente della provincia, in quota Margherita, presidente poi, per poche settimane, di Impregilo in quota Gavio, che, dopo aver per anni controllato il gruppo con Ligresti e Benetton, è diventato azionista principale, ma si è visto recentemente soffiare il giocattolo dal romano Salini.

Tanti sono gli interessi attorno all'opera, nonostante le controindicazioni sollevate dai comitati. Come l'impatto paesaggistico e ambientale e i rischi connessi all'amianto, che potrebbe finire nei detriti portati nelle cave di pianura. I sostenitori rassicurano. «Ma queste sono rocce serpentinitiche» racconta Mario Bavastro (Legambiente, memoria storica della lotta contro l'ecomostro) indicando una parete vicino a Voltaggio, antico borgo nel cuore della Val Lemme. Qui, e a Franconalto, stampati indelebilmente nella montagna, ci sono da quindici anni quei fori pilota che rappresentano una storia esemplare quanto grottesca: «Il 9 dicembre del 1996 - continua Bavastro - il Cociv scrive al comune di Fraconalto chiedendo di dichiarare l'ubicazione del foro di proprio gradimento, il sindaco risponde subito di sì. I lavori partono, ma dal sondaggio geodiagnostico come doveva essere, gli scavi diventano quelli per una galleria di servizio. Parte, allora, l'esposto di Wwf Liguria. Nel febbraio del '98 il ministro Edo Ronchi ferma i lavori, mai ripresi. Scatta parallelamente l'indagine della magistratura per truffa aggravata ai danni dello Stato, il processo verrà, però, poi trasferito da Milano a Genova e il reato ipotizzato ridotto a truffa ai danni dello Stato. Gli inquisiti di allora verranno prescritti, grazie alla legge ex Cirielli, e tuttora, vedi il senatore Luigi Grillo (Pdl), continuano a essere i maggiori sponsor del progetto».

Per la gente delle valli, il Terzo Valico assume le forme di un serpente. Sguscia e scompare per anni, poi rispunta mutevole. La linea è per passeggeri? Forse. Per merci? Forse. È per entrambi, seppur difficilmente possano coesistere. Voleva addirittura infilarsi in una scuola elementare, Villa Sanguineti a Trasta, e piazzarci lì gli uffici del Cociv. Pericolo scampato. «Ma rimane una brutta grana» dicono in coro nei presidi, dove tra le balle di fieno si condividono pasti, sorrisi e indignazione. Ci vengono in tanti, giovani e vecchi. In pianura, dove il tratto vedrebbe per la prima volta la luce, preoccupa l'intasamento su Ca' del Sole (Serravalle Scrivia): «La galleria della Crenna verrà chiusa per minimo dieci mesi per adeguare la viabilità - racconta Gianfranco Marchesotti, sindacalista storico, che conosce bene il tessuto socioeconomico della zona - e tutto il traffico si riverserà sulle strade del Rastellino e della Lomellina. Risultato? Inquinamento atmosferico e acustico centuplicato sulle colline coltivate a vigneti doc. Ed è solo uno dei tanti danni di quest'opera inutile». Alla sera, Gianfranco si ritrova nel circolo Lavoro e Libertà di via Berthoud per la riunione del Comitato serravallese. Presenti anche Elio Pollero, che a capo della lista di sinistra Serravalle Futura ha strappato nelle recenti amministrative un incoraggiante 27,5%, e molti "espropriati". Come Jole Perassolo, Sandra Cumo, Adriano Rossi e Martina Accorsi: «Vivendoli direttamente - raccontano - abbiamo capito quanti problemi in comune abbiamo con la Val di Susa. Ci vogliono imporre un'opera assurda con la forza. Non possiamo accettarlo. Dobbiamo stargli addosso come le mosche». Qui si dice, a saià düa!

l'articolo in pagina
Da il manifesto del 7 agosto

sabato 7 luglio 2012

Migranti e sans papiers invadono Torino e la Val Susa



La marcia europea dei sans papiers e dei migranti fa tappa a Torino e in Val di Susa. Partita il 2 giugno da Bruxelles sta attraversando a piedi sette diversi Paesi: Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Germania, Svizzera e, appunto, Italia. Per rivendicare la libera circolazione delle persone sul territorio continentale e per chiedere l’esercizio totale dei diritti degli oltre 20 milioni e 200 mila cittadini migranti residenti nell’Unione Europea. Martedì, la carovana ha invaso il centro cittadino – un serpentone di storie, denunce, passioni, colori e musica -, ieri ha discusso di diritto di asilo a San Salvario, oggi andrà invece nella valle dei No Tav, “terra di lotte e di frontiera”. Domenica, al parco del Valentino, in riva al Po, ci sarà la grande festa della solidarietà. Ultima tappa della marcia sarà Strasburgo, il 2 luglio, dove i migranti porteranno le proprie richieste al Parlamento europeo.

Da Il fatto quotidiano,  28 giugno

lunedì 4 giugno 2012

Siamo tutti figli della società eccitata

Grande è l’eccitazione sotto il cielo, ma la situazione è tutto fuorché eccellente. Lo spettacolare, lo sconvolgente, il sensazionale sono diventati normalità. Una studentessa ustionata sulla copertina di un quotidiano, nome e indirizzo del presunto mostro di Brindisi pubblicati su Twitter, le settanta foto del ritrovamento del cadavere di Sarah Scazzi scaricabili da un sito. Tutto a portata di un clic, perché se negli anni Sessanta, a mo’ di freddura, si diceva che la Bild (il vendutissimo tabloid tedesco) «è stato il primo a parlare con il cadavere», negli ultimi anni il sensazionalismo è diventato paradigma del sistema dei media (e non solo).
Inquieto, nevrotico, affamato di stimoli anche momentanei, assuefatto da un profluvio di choc emotivi (che non hanno tempo di sedimentarsi nella coscienza), sovraeccitato ma non appagato: ecco l’homo sapiens del XXI secolo, preda di un sovraccarico di sensazioni audiovisive. A tutti i costi. Perché, a tutti i costi, bisogna esserci, anzi essere percepiti. E sgomitare per non rischiare la dannazione all’oblio eterno. Lo spiega bene Christoph Türcke, professore di filosofia all’Accademia di arti visive di Lipsia, nel suo La società eccitata; Filosofia della sensazione (Bollati Boringhieri, 2012, pagine 342), un’imponente e complessa analisi della contemporanea società della sensazione: «Una società che non è nuova per niente, bensì in costruzione da secoli». Türcke elabora una (post)moderna declinazione, un’estrema propaggine, della Società dello spettacolo di Guy Debord, lo fa in modo serio, attualizzando le intuizioni del teorico del situazionismo e ancorandole a un terreno storico. Ha costruito così un’archeologia del concetto di sensazione, dal Rinascimento all’Illuminismo a oggi. Lungo secoli in cui il significato fisiologico di sensazione ha subito uno slittamento semantico: «Dalla percezione più comune alla percezione dell’inconsueto per disegnare, da ultimo, l’inconsueto stesso». Il sensazionale, che dovrebbe essere raro oltre che sconvolgente, da caso limite diventa norma.
[CONTINUA]

Da Linkiesta del 3 giugno

mercoledì 9 maggio 2012

Le cartucce del governatore Cota contro il referendum anti-caccia

 Il "tranello" della Regione Piemonte: abrogata la legge oggetto di consultazione, ma le norme restano uguali

Una battaglia lunga 25 anni scippata in una manciata di minuti. Quelli impiegati per approvare un emendamento alla finanziaria proposto dall'assessore piemontese Claudio Sacchetto (Lega Nord) per abrogare la legge regionale sulla caccia e, così, cancellare il referendum previsto per il prossimo 3 giugno. Ebbene sì, in Piemonte si doveva votare per limitare la caccia, proteggere 25 specie (alcune a rischio di estinzione), impedirla la domenica e su terreni innevati. Un appuntamento atteso dal 1987, quando le associazioni animaliste e ambientaliste raccolsero 60mila firme ma furono poi trascinate in un'estenuante battaglia legale attraverso 9 gradi di giudizio e ostacolate da un ostruzionismo istituzionale, di ogni colore politico (tanto è forte la piccola lobby dei cacciatori, 0,6% dei piemontesi).
Dopo un quarto di secolo, in attesa di esercitare un diritto di voto, all'inizio di quest'anno il Tar aveva imposto alla Regione l'indizione del referendum. L'appello per il voto era stato firmato dal presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky e si era rimesso in moto il vecchio comitato promotore (Pro Natura, Lav, Lac, Lipu, Wwf, Italia Nostra, Legambiente, Radicali), che ora attacca: «Uno schiaffo alla democrazia». L'abrogazione «è un espediente per evitare il referendum, senza che vengano assunti in legge i quesiti referendari». Ma non si dà per vinto: è pronto a nuovi ricorsi. E il 3 giugno, il movimento sarà in piazza a Torino per una manifestazione nazionale.
Piero Belletti, professore universitario di genetica agraria, è stato uno dei primi firmatari del referendum, ora è il portavoce del comitato: «Sono stati calpestati i diritti dei cittadini: hanno abrogato la legge oggetto di referendum con l'accordo di farne un'altra appena passato il rischio di una consultazione. E hanno giustificato il tutto con il risparmio delle spese (malgrado il comitato avesse chiesto l'accorpamento alle amministrative, ndr)». «Saluto positivamente il risparmio di 22 milioni - ha detto il presidente Roberto Cota - che, in un momento così delicato, potranno essere impegnati a sostegno delle categorie più deboli». Colpo di mano contestato dall'opposizione: Sel, Fds, Idv, M5s e, in modo più sfumato, dal Pd . Ieri, bagarre in aula. E, mentre manca ancora il parere del Collegio di garanzia e il disegno di una nuova legge rimane per Cota «un augurio», Andrea Stara (Insieme per Bresso) avverte che l'escamotage dell'abrogazione «non basta a evitare le urne».
«È grave che le iniziative che favoriscono la partecipazione diretta vengano liquidate come uno spreco. Ovvio che abbiano un costo, se no aboliamo le elezioni?», denuncia Belletti. «Quello che è successo - aggiunge il portavoce - dimostra come in Italia non esista più la certezza del diritto, la classe politica può fare ciò che vuole». Il vuoto normativo è stato coperto dalla legge nazionale sull'attività venatoria, più permissiva (44 specie cacciabili contro le 29 della legge piemontese). Ma il comitato non considera persa la partita: «Oltre a ricorsi amministravi, non escludiamo una denuncia penale. Riteniamo si sia configurata una violazione ai diritti costituzionali dei cittadini».
E, sul tema democrazia, interviene Daniela Bauduin, avvocato e studiosa di diritto: «Ci sono profili di possibile illegittimità costituzionale: hanno abrogato la legge oggetto di referendum ma non l'hanno sostituita con un'altra di diversi principi ispiratori, hanno invece applicato quella nazionale, con principi uguali».

Da il manifesto del 9 maggio

sabato 21 aprile 2012

Alenia, il "covo" Fiom che ha invitato la Fornero

Viaggio nell’azienda torinese che lunedì ospiterà la ministra già aspramente contestata oggi dagli studenti. 3.300 dipendenti, la metà impiegati, il cervello dell’aeronautica militare. A marzo bloccarono corso Francia per protestare contro la riforma del lavoro. Ora vogliono confrontarsi. È stata la Fiom a chiedere l’incontro

Torino. Corso Marche ha il passo svelto della periferia. Una lunga arteria di scorrimento, anonima come tante, che dovrebbe diventare un nodo residenziale della Torino del futuro. Strade (forse il raccordo urbano della Tav), verde e palazzi al posto dell'area industriale Alenia. Attualmente però, al numero 41, smantellate le officine, ci lavorano ancora 1500 dipendenti, quasi tutti impiegati: il cervello dell'aeronautica militare. È una sede storica, centenaria (fondata nel 1916), prima col marchio Pomilio, poi Ansaldo, Fiat, Aeritalia e, infine, Alenia Aeronautica (dal primo gennaio ribattezzata Alenia Aermacchi), controllata da Finmeccanica. [CONTINUA]

Da Linkiesta del 21 aprile

giovedì 8 marzo 2012

Tav, Plano: «Compensazioni? Solo frasi a effetto»


Genova - Sandro Plano è il presidente della Comunità montana della Val di Susa e Val Sangone. Persona mite ma ferma. Cattolico, Pd eterodosso: è contro l’alta velocità Torino-Lione. Una posizione che spesso l’ha portato a duri contrasti con il resto del partito oltre la Valle. Da anni, Plano e la sua giunta si battono contro il progetto Tav a colpi di ricorsi e delibere. E chiedono «un dialogo e un ascolto che non c’è mai stato».

Presidente Plano, il governo sostiene che siano solo due le amministrazioni contrarie al progetto, lei ribadisce che sono, invece, 23 comuni. Perché questa discrepanza sui numeri?

«La Val di Susa ha da sempre un fronte compatto di amministratori contrari al progetto. Sono ventitré i Comuni che hanno approvato una delibera contro la Tav. E non ce ne sono che si siano espressi chiaramente a favore. Il numero “due” (Chiusa San Michele e Sant’Ambrogio, ndr) è riferito a quelli direttamente toccati dal cosiddetto progetto low cost, che, in realtà, non si sa bene cosa sia. Ripeto, se si vogliono considerare le amministrazioni contrarie sono 23 non 2».

Nel documento del governo sulla Torino-Lione, pubblicato oggi sul sito del governo , si parla, tra l’altro, di 135 milioni di euro di opere compensative per il territorio. La considerate una contropartita equa?

«Il governo aveva già sottoscritto un impegno con Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino per 300 milioni (Accordo di Pracatinat, ndr) di investimenti sul trasporto pubblico locale. Nessuno ha visto un euro. L’ultima proposta è stata un futuro stanziamento da parte del Cipe di 20 milioni di euro. Ora come allora riteniamo siano solo dichiarazioni a effetto»

Il Pd non partecipa alla manifestazione della Fiom perché ci sono i No Tav. In realtà, il No Tav invitato dai metalmeccanici della Cgil è lei, che tra l’altro è iscritto al Pd.

«Mi dispiace che la nostra segreteria abbia deciso questa linea. La Fiom ha vissuto ultimamente molte difficoltà, credo che un partito di centrosinistra debba stare vicino ai problemi sollevati dalle tute blu della Cgil e alla gente che la Fiom rappresenta. E non allontanarsene».

Cosa ne pensa della “campagna di de tesseramento” promossa dal Pd di Torino, ovvero non rinnovare la tessera a chi è filo No Tav?

«Mi sembra paradossale. In un mondo dove tutti tesserano tutti, pure i fantasmi, il Pd vuole escludere dalla sua organizzazione chi la pensa diversamente non sui valori del partito ma su una linea ferroviaria».

Come si può uscire dal “muro contro muro”?

«Se il governo continuerà a mostrare muscoli difficilmente se ne potrà uscire. Mi auguro che, finalmente, ci si fermi per riflettere. Insieme a ventitré sindaci ho lanciato un appello ai partiti per l’apertura immediata di un tavolo istituzionale che permetta un confronto nel merito della Torino-Lione partendo da posizioni non precostituite».

lunedì 23 gennaio 2012

E il governo liberalizza le scorie radioattive

Un piccolo comma nel decreto sulle liberalizzazioni riapre la questione delle scorie nucleari, stabilendo che il governo può installare dove vuole i depositi senza il parere ora discriminante delle istituzioni locali. Effetto nimby a parte, il problema è che così si rischia di andare verso la creazione di tanti depositi (in gran parte rendendo stabili quelli ora provvisori). Intanto i deputati del Pd della zona più sensibile, il vercellese (a Saluggia c’è l’85% delle scorie italiane) pur restando fedeli a Monti promettono battaglia, bollando la decisione come «inaccettabile».



Sedata dopo il referendum, la bagarre sul nucleare sta per riaprirsi per un articolo contenuto nel decreto del governo Monti sulle liberalizzazioni. Nascosto tra articoli che hanno avuto finora più eco, c’è infatti spazio anche per l’atomo. Anzi, per i suoi scarti, le scorie. L’articolo 25 (accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari) vorrebbe dare impulso al decommissioning e rendere più facile l’autorizzazione di nuovi depositi nucleari, in deroga – se necessario – a procedure ordinarie. «Se fosse approvato autorizzerebbe i nuovi depositi nucleari nei siti a rischio», denuncia Gian Piero Godio, instancabile antinuclearista piemontese di Legambiente, che se non avesse setacciato ogni angolo del decreto non avrebbe scovato una norma sfuggita ai più. [CONTINUA]

Da Linkiesta del 23 gennaio

domenica 22 gennaio 2012

La lotta operaia all’epoca di CentoVetrine

Stasera qualche milione di italiani seguirà il “puntatone” speciale della soap opera di Canale5. Piersilvio Berlusconi, dopo settimane di silenzio e di maestranze col fiato sospeso, ha annunciato con un chttp://www.blogger.com/img/blank.gifolpo di teatro che salverà la serie CentoVetrine “almeno per un anno” e con essa le centinaia posti di lavoro nella sede di produzione di San Giusto Canavese, una Hollywood piemontese. Ma visto che le puntate pronte bastano per molti mesi, non è chiaro quando gli studios riapriranno, per quanto tempo ci sarà lavoro, né se sarà riassunto anche chi ha fatto vertenza. Viaggio tra elettricisti, visagiste, pettinatrici, costumisti e comparse di un’Italia realmente in crisi. Anche nella fiction.


Lo svincolo autostradale di San Giorgio è stato il polmone del dopo Olivetti. In un reticolo di pochi chilometri – stretti stretti tra rotonde e bianche costruzioni – si è concentrata un’alternativa a quel lutto insostenibile segnato dalla scomparsa della “cara azienda”, una via di fuga nel materiale e nell’immaginario. Da un lato, Pininfarina, il suo ramo produttivo chiuso lo scorso ottobre; dall’altro – lungo le evocative via Federico Fellini e via Anna Magnani – Telecittà Studios, la Hollywood piemontese, a San Giusto Canavese. [CONTINUA]

martedì 3 gennaio 2012

Nuovo anno con fortino invalicabile in Val di Susa. Ma i no-Tav resistono

Il filo spinato si attorciglia sopra le alti reti. Più in là, è stato costruito un muro a difesa del cantiere della Maddalena. Dietro, i mezzi cingolati salgono e scendono, gli agenti controllano e identificano. La Val di Susa non è una valle come le altre, non è la valle di un paese normale. Ha un fortino militare come neanche in Afghanistan. Ma, nel corso dei mesi - anche quando la raccontavano come un covo di terroristi - la sua popolazione non ha smesso di mobilitarsi contro un'opera mai voluta. È la valle simbolo del 2011, quella dei beni comuni, che ha anticipato la vittoria dei referendum.

Dal primo gennaio, le maglie della militarizzazione del territorio si sono fatte più strette: «Le aree e i siti del comune di Chiomonte, individuati per l'installazione del cantiere della galleria geognostica e per la realizzazione del tunnel di base della linea ferroviaria Torino-Lione, costituiscono aree di interesse strategico nazionale». Lo ha deciso l'articolo 19 della legge di stabilità, approvata il 12 novembre, a poche ore dalla caduta di Berlusconi. Chiunque varcherà la zona-limite, come ha ribadito il questore di Torino Aldo Faraoni, sarà arrestato: rischia un anno di carcere o una multa di 309 euro (articolo 682 del codice penale). Il movimento è convinto che la decisione non cambierà una virgola della strategia di lotta. «La resistenza - ha detto Alberto Perino - proseguirà come prima. Badate bene, l'area strategica riguarda solo il cantiere e non oltre. Non le strade circostanti, né i terreni d'accesso. Faranno di tutto per prenderci la baita. Ripeto, se pensano di costruire un'opera contro il volere della popolazione hanno sbagliato indirizzo. Possono arrestarci tutti».

Il 2011 è stato un anno importante: la baita senza più sigilli, la libera Repubblica della Maddalena, le notti di musica e d'impegno, lo sgombero del 27 giugno con i gas cs, l'assedio e gli scontri di luglio, la discesa a Torino e le grandi marce d'autunno tra i boschi verso le reti e la baita Clarea che i No Tav non hanno abbandonato nemmeno a Capodanno. «Un anno di svolta - racconta Francesco Richetto, comitato di lotta popolare di Bussoleno - che ha segnato, dopo il 2005 di Venaus, un ritorno delle ostilità. Il 2011 è stato il momento di tornare in piazza e ritrovarsi come nel 2010 contro i sondaggi, questa volta di fronte a un governo ancora più determinato. Una partecipazione continua. Proseguirà la pressione sul "non cantiere" e sugli intenti di allargarlo». I No Tav stanno ipotizzando una manifestazione nei primi mesi dell'anno.

Nelle scorse settimane è stato siglato l'accordo tra Italia e Francia: una nuova società (la terza dopo Alpetunnel e l'erede Ltf) gestirà gli appalti; i lavori per il cunicolo esplorativo della Maddalena partiranno a inizio 2012, quelli della vera galleria un anno dopo. Critica la decisione di rendere l'area sito strategico, il presidente della Comunità montana Sandro Plano, Pd eterodosso: «Un'estremizzazione senza precedenti. Il fatto stesso che la zona sia militarizzata significa che l'opera non ha il consenso della gente, come sostiene invece il commissario Virano. Il decantato Osservatorio non è servito nulla. Si sprecano montagne di soldi e non si recupera il dissesto idrogeologico, non si sistemano le scuole, si chiudono gli ospedali, si tagliano i treni pendolari. Noi amministratori continueremo la nostra battaglia legale. Come nel ricorso contro l'attuale affidamento dei lavori del tunnel geognostico alla stessa ditta scelta ai tempi di Venaus, la Cmc di Ravenna. Allora per un costo di 80 milioni adesso per oltre 100». In disaccordo con l'istituzione del sito strategico, Renzo Pinard (Pdl) sindaco di Chiomonte medita le dimissioni.

Continua, infine, il polverone sollevato dal deputato Stefano Esposito, Pd, su una gita alla Maddalena di un liceo di Bergamo, autorizzata dal consiglio di Istituto e dal preside. Indignato il parlamentare aveva scritto al ministro Profumo e ieri ha aggiunto di essere disposto a pagare una visita al cantiere dove gli studenti potranno «dialogare con gli agenti che presidiano il sito». Massimo Zucchetti, ordinario al Politecnico di Torino, ha scritto, allora, al ministro, suo ex rettore: «Bene hanno fatto gli insegnanti a rendere edotti non soltanto a parole, ma sul campo, i proprio allievi su una questione di importante attualità, esercitando un diritto/dovere sancito dalla Costituzione».

Da il manifesto del 3 gennaio