lunedì 19 ottobre 2009

Là dove c'era l'Olivetti


In mezzo alla campagna del canavese sta per nascere un enorme parco divertimenti con giostre acquatiche e supermercati. Se ne parla da undici anni, i finanziatori sono ancora misteriosi, ma «a dicembre arriveranno le ruspe»

Con i numeri, a Ivrea, ci sapevano fare. D’altronde era la patria dei calcolatori e il primo personal computer, l’Olivetti P101, è nato proprio qui, in uno dei laboratori di via Jervis. Nel 1965, quando venne presentato alla fiera di New York, nessuno poteva immaginare la fine che avrebbe fatto, trent’anni dopo, la fabbrica di Adriano Olivetti. Risucchiata dalla bolla finanziaria e culturale in cui le certezze matematiche – i numeri, appunto – non contavano più nulla, sulle sue ceneri nacque Mediapolis: l’idea di un grande parco divertimenti ad Albiano, ai piedi della Serra d’Ivrea e del Castello di Masino (bene del Fai, il Fondo per l’ambiente italiano).
Fosse un calcolatore, Mediapolis non sarebbe proprio rigoroso. Una volta si è detto che il progetto avrebbe creato 148 occupati, quella dopo 1.200. Che avrebbe registrato un milione di visitatori all’anno, anzi no, dieci. Per non parlare dei soldi per realizzarlo: c’erano o mancavano, a seconda delle discussioni. Tanto, si sa, i numeri sono optional. E la libertà del racconto di politici e di imprenditori ha preso il posto della realtà delle virgole e dei logaritmi. Ai giorni nostri, il P101 sarebbe impazzito.
Nevio, Bruno e Agostino lavoravano tutti all’Olivetti. Ruoli diversi ma stessa casa madre, stesso tessuto sociale di relazioni create dalla fabbrica. Adesso li puoi incontrare, non tanto distante dalle officine di via Jervis, a casa di Mariangiola Carnevale, capo delegazione del Fai locale. Insieme fanno il punto, a undici anni di distanza, sulla lotta contro Mediapolis, una specie di Gardaland piemontese, dedicata alla comunicazione, con montagne russe e una pagoda cinese alta 40 metri. Nel 1998 qualcuno pensò che il lutto dell’Olivetti potesse essere elaborato abbinando divertimento e business. Bastava trovare 600mila metri quadrati, magari ai bordi della collina morenica più lunga d’Europa, 25 chilometri che abbandonano le Alpi e attraversano castelli, borghi, specchi d’acqua, boschi d’ontani e di querce. Un paesaggio ancora intatto. L’evasione dalla realtà, allora, sembrava la soluzione. Al contrario di Adriano Olivetti che cercava sempre il reale, anche nell’architettura: «Una fabbrica – racconta Nevio Verna di Legambiente – che per un gioco di specchi si guardava reciprocamente con la città». Undici anni fa non era più tempo di sofismi: i lavoratori dovevano essere liberati da questa prigione. I canavesani, o meglio gli eporediesi (gli abitanti di Ivrea) dovevano essere liberi di divertirsi. E cosa c’era di meglio di un lago artificiale piuttosto di quello vero di Viverone, lì vicino?
A casa di Mariangiola non è la solita riunione. Non è come ogni fine d’anno quando la società Mediapolis – la prima volta fu nel 2002 – annunciava l’apertura di un cantiere. Qualcosa formalmente è cambiato. Adesso c’è un accordo di programma tra privati e istituzioni: la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, i Comuni di Albiano, Caravino, Ivrea e Vestigné. Tutto dovrebbe partire, latitano solo le banche. Ma la società, per bocca dell’amministratore delegato Sergio Porcellini, nega problemi di cassa: «A novembre vi diremo tutto. Comunque, i 150 milioni di euro per il primo lotto, quello per il parco outdoor, li abbiamo trovati». L’operazione è di 450 milioni, dei quali 395 per le opere private (6 milioni dal Patto Territoriale del Canavese); 5,5 milioni da soggetti pubblici (per lo più Regione) per l’urbanizzazione e le infrastrutture. Finora, però, lo scarso capitale impiegato appartiene a una società lussemburghese, i cui soci sono coperti da rigoroso anonimato. Allertati, gli ambientalisti – che sostengono la libertà di conoscere e di decidere – hanno criticato la «singolare disattenzione» delle amministrazioni pubbliche che hanno impegnato denaro a favore del progetto senza «aver chiarito la provenienza del capitale privato». Socialista, eporediese, tra i maggiori sostenitori di Mediapolis, l’assessore regionale al Commercio Luigi Ricca ribatte al telefono: «Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, abbiamo analizzato criticamente l’iniziativa, cercando di ridurne l’impatto. La ricerca dei capitali privati non è compito nostro».

Per comprendere questa storia bisogna tornare indietro, ai tempi della lira. Anni di iter burocratici, accordi politici, ricorsi bocciati, altri ancora in ballo, valutazioni di impatto ambientale e scarso coinvolgimento della popolazione. Il progetto viene inserito nei Patti territoriali nel 1999, come rilancio del territorio. I Ds al governo di Ivrea sono da subito tra gli sponsor, accanto all’amministrazione regionale di centrodestra di Enzo Ghigo. Contrari, invece, Rifondazione, i Verdi e la sinistra Ds. Mediapolis veniva presentata come l’unica salvezza per il territorio, la manna dal cielo. E raccolse quasi un plebiscito tra le amministrazioni locali. «In pratica – taglia corto Bruno Dominjanni del Fai – ti dicevano che si doveva fare, lo vogliate o meno, anche in un’area esondabile, inedificabile o di importanza storico-naturalistica. Il parco a tema da subito è stato il paravento per una grossa speculazione di edilizia commerciale».
Sui giornali locali se ne parlò molto, su quelli nazionali quasi mai. Il movimento noTav era da venire e qui la mobilitazione rimaneva d’élite. Gli anni passano e cambiano i numeri: da un’offerta occupazionale prima contenuta a una esponenziale. Pure i contenuti variavano: tre centri di grande distribuzione e poi sport, scienza, Rockland (una megadiscoteca per 4.500 persone e un museo con le auto di Elvis), i Tivoli Gardens (grazie a una partnership con l’antico parco a tema di Copenaghen, che poi saltò) e, infine, la comunicazione: il mondo dei mass media. “Sarà un set televisivo, dove lo shopping diventerà un’esperienza emotiva e il consumo intrattenimento”, recita la presentazione del progetto. Un mix tra pedagogia, edonismo e libertà di consumare.
Anche il nome cambia: all’inizio era Millennium Canavese, poi si passa a Millennium Park e, qualche anno fa, visto che il millennio era passato da un pezzo, arriva Mediapolis. Il primo luogo scelto fu Pavone Canavese, periferia di Ivrea. «Ma si pensò – precisa Dominijanni – che avrebbe oscurato lo sviluppo commerciale della città». C’era l’area di Scarmagno, dove l’Olivetti aveva avuto sede quasi libera. No, meglio una zona non urbanizzata, agricola, costava meno. Più a sud, ce n’era una di proprietà di Multiservices, società di Pirelli che gestisce il vasto patrimonio immobiliare della ex Olivetti. E se nelle mappe regionali era considerata inedificabile, perché alluvionabile, si sarebbe fatta una variante. Così la Multiservices, in cambio di una partecipazione del 10 per cento al capitale, cedette l’area a Mediapolis che nel 2000 diventò spa, con presidente Gianni Zandano, già a capo dell’Istituto bancario San Paolo di Torino. «Quella di Guadalongo, a sudovest di Albiano, è una zona ricca di biodiversità, la falda acquifera è superficiale, l’assetto idrogeologico è molto delicato e più a valle ci sono i depositi nucleari di Saluggia. Una nuova canalizzazione li metterebbe a rischio». Uno dopo l’altro, sono i punti che elenca Agostino Petruzzelli di Legambiente. Ma dalla politica niente dubbi, si va avanti. Bisogna far posto, in mezzo all’anfiteatro morenico, a una Drop Tower, una torre a caduta libera, una Water Coaster (una giostra con paraboliche e finale in acqua), a dodici spettacoli giornalieri, ma anche a veri e propri studi televisivi, cinema 3d e 4d e a un albergo di 24 metri d’altezza. Nel 2005 gli ambientalisti perdono il ricorso, il Tar del Piemonte lo respinge: “Il parco a tema ha una valenza di utilità pubblica; quindi, come tale può essere edificato anche in aree considerate a rischio e non edificabili”.
L’assessore regionale Ricca però ci tiene a spiegare le sue buone ragioni: «Abbiamo fatto molto per la zona umida di Fontana Rovei e il suo canneto. Lì si voleva costruire il parcheggio, ma li abbiamo salvati. E poi non si può mettere in secondo piano il lato occupazionale». Se mai costruiranno la cittadella di Mediapolis, dal castello di Masino la si potrà vedere proprio davanti alla balconata. «Ma non è un problema di panorama», dice Marco Magnifico, direttore del Fai. «Vogliamo far capire che il parco verrà realizzato a vantaggio di pochi imprenditori, non certo della gente. È un modello vecchio e superato, con un deficit culturale anche rispetto alla Costituzione italiana, che nell’articolo 9 difende il paesaggio. Assurdo. Si crea uno spettacolo artificiale, fuori contesto, una specie di Las Vegas, quando uno spettacolo della natura ci sarebbe già: castagneti centenari, un lago morenico, borghi e castelli e pure il cavolo verza. Mettiamoli in rete, un insieme di biodiversità unico». Magnifico ha una sua idea su chi manovra dietro le quinte: «Poteri forti e invisibili a cui le amministrazioni, di destra o di sinistra, non possono dire di no». E racconta un aneddoto: «Chiedemmo aiuto all’avvocato Agnelli, non un potere debole. Lui andò da Ghigo. Ma il presidente della Regione, rammaricato, rispose picche. Non si poteva bloccare». Ma quali sono questi poteri? «Non mi faccia dire». Magnifico fa una pausa e ripete per due volte la radice del nome del progetto: «Media… Media… Vi dice qualcosa?». L’allusione è chiara, ma finora non è mai stato provato un legame con l’azienda di Silvio Berlusconi.

L’amministratore delegato Sergio Porcellini è stufo delle polemiche e prevede di inaugurare Mediapolis alla fine del 2012: «Ho sentito tante balle, ma come diceva Goebbels a dirle cento volte diventano vere. Sull’impatto ambientale esiste una valutazione positiva di tecnici provinciali e regionali ». Ora che gli «ostacoli burocratici» sono superati spera di aprire il cantiere al più presto: «A dicembre entreranno le ruspe». Meno ottimista sui tempi il sindaco (di centrosinistra) di Albiano, Gildo Marcelli, fin dall’inizio un sostenitore del progetto: «Mancano ancora i permessi, ma in primavera si partirà. Così potrò dare risposta alle domande di lavoro che giornalmente arrivano nel mio ufficio». Porcellini smorza le voci sulla mancanza di capitali privati: «Il project financing è ormai chiuso. Cento milioni saranno di capitale a debito, dalle banche, e 50 milioni di capitale a rischio». I nomi dei privati? «A novembre». E la società di anonimi in Lussemburgo? «C’è. Presto diremo la verità». Quando vedrà la prima pietra, l’assessore Ricca tirerà un sospiro di sollievo: «Sarà una spinta al rilancio del territorio e diventerà una vetrina per le nostre eccellenze».
Mariangiola Carnevale è una persona pacata, ma a un certo punto non si trattiene: «Non è possibile che, dopo dieci anni, le istituzioni non valutino se il progetto ha ancora un senso». Ci sarebbero alternative? «Due anni fa – spiega Verna – è spuntato a Borgofranco un piano dell’azienda Silfab, che lavorerebbe il silicio policristallino per il fotovoltaico: 350 posti previsti. L’impatto ambientale non sarebbe trascurabile, ma riguarderebbe un’area già industriale, a differenza di Mediapolis. Tutte le fasi dei permessi sono state superate, ma in questo caso le istituzioni non hanno investito un euro». Sui numeri dell’occupazione si domandano: «In una situazione di crisi, i sacrifici territoriali sono giustificati dal fatto che l’iniziativa creerebbe un migliaio di posti di lavoro al costo, fatti
due calcoli, di 500mila euro l’uno?».
A Ivrea, è facile sentire ancora parlare con fiducia di impresa. D’altronde il secolo olivettiano si poneva il tema di una convivenza equilibrata tra industria, cultura e paesaggio. Marco Revelli, sociologo, a fine anni Novanta si era interessato di Mediapolis: «E già all’epoca, mi sembrava un progetto molto datato. Frutto di un’interpretazione stracciona, all’italiana. Dalla meccanica della macchina per scrivere all’immagine. Nemmeno ai servizi. Il produttore diventa spettatore e non più figura sociale in grado di dare qualità; la negazione delle relazioni, anche umane, che l’Olivetti aveva creato». Secondo il sociologo, è a rischio il tessuto di una ex città operaia dove i sobborghi con i palazzoni non esistono e dove campagna e città sono complementari, non rivali. «Mentre Adriano Olivetti aveva espresso una diversità, adesso ritornadi riflesso un cattivo fordismo. E non se ne calcola l’impatto, nella speranza irrazionale che i flussi turistici siano inesauribili. Anche i 1.200 posti di lavoro, soggetti a flussi stagionali, sono teorici. Alla fine, mi chiedo, il conto economico tra costi e benefici regge?». Per Revelli tutto è riconducibile alla «bolla culturale» in cui si è vissuti nel quindicennio scorso. Dove l’ordine della retorica permette di dire tutto e il contrario di tutto: parlare di sostenibilità economica e progettare un’opera insostenibile. «Liberi di cementificare, liberi di raccontare».

Da Diario di ottobre
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