TORINO - «Di lavoro si interessano solo in campagna elettorale, quando gli conviene... Se vanno al governo non hanno poi il coraggio delle decisioni... I politici non rappresentano nessuno, vengano a lavorare a Mirafiori se vogliono capire la realtà... La verità è che il primo a voler cambiare l'articolo 18 fu D'Alema... Il Pci è morto e il sindacato ha le metastasi». E' la radiografia di una comunicazione interrotta, quella tra politica e operai: il risultato di una ricerca realizzata tra Torino, Roma e Taranto da due studiosi, Francesco Garibaldo ed Emilio Rebecchi. Ne esce il racconto di uno stato d'abbandono. «Di uno spaesamento», dice Nichi Vendola.
Il rapporto è stato presentato ieri nella sala del palazzo dell'Atc di Torino, in un dibattito con Vendola e Luciano Gallino. «All'inizio dell'anno avevamo lanciato l'idea dell'inchiesta - spiega Titti Di Salvo - come Sinistra democratica, ora è patrimonio di Sinistra e libertà. La base da cui partire per interrogarci». Le testimonianze raccolte potrebbe essere scambiate per qualunquismo. Niente di più sbagliato, sono espressione di un vuoto. Anche di un problema di democrazia, di rappresentanza.
La ricerca ha coinvolto 60 lavoratori, uomini e donne, giovani e anziani, iscritti o meno al sindacato, provenienti da realtà diverse. Al centro, il rapporto tra lavoro e partiti. Non solo quelli di sinistra, ma è su quest'ultimi che si è concentrata la critica. E la proposta. «La sinistra - si legge - è un bicchiere frantumato, io in quel bicchiere ci bevevo. Con i frammenti non me ne faccio niente, posso metterli un sacchetto. E ricordarmi com'era bello il bicchiere». Agli operai è stata posta una domanda: come i partiti hanno risposto alla crisi e quale partito si vorrebbe per difendere gli interessi di chi lavora? La risposta è stata diversa a seconda del luogo: «A Torino - spiega Garibaldo - si vorrebbe un partito socialdemocratico. A Roma il ritorno del Pci, un partito popolare e di massa. A Taranto manca addirittura l'idea di una rappresentanza politica classica, si propone una lobby di lavoratori».
C'è sdegno e sconforto nei confronti della politica. Ci si rivolge ai politici di sinistra come si sarebbe fatto un tempo con i liberali o i democristiani («Non avete mai lavorato»). Li accusano di «consumismo e privilegi». Di essere corresponsabili della crisi («il pacchetto Treu»). Allo stesso tempo, però, rimane una richiesta di rappresentanza a una sinistra che non c'è più. Per alcuni è forte il mito del Pci («il disastro è iniziato con l'89»), per altri c'è l'esigenza di un partito nuovo che «si schieri con i lavoratori e scontenti la signora Marcegaglia». Il sindacato viene invece difeso: «La Cgil e la Fiom sono le uniche rimaste a parlare con noi».
Per Luciano Gallino, la ricerca indica cosa dovrebbe fare un partito di sinistra. «Negli ultimi 20 anni sono andati a pezzi vari tipi di unità: quella di tetto, di padrone e di rapporti di lavoro. Compito della sinistra è ridurre il frastagliamento, per esempio con una legge che stabilisca un solo contratto per il lavoro dipendente». Il discorso si fa politico: «Ci deve essere un partito, non in eterna formazione, che osi pronunciare la parola redistribuzione del reddito e si batta per dare specifiche sicurezze di occupazione e pensionamento». A Nichi Vendola tocca l'ultimo intervento. «Nel variegato universo della sinistra siamo stati tutti sconfitti. Bisogna partire dalle esigenze dell'oggi e dalla prospettiva sul domani. Nelle ricerca, la politica appare come uno sfottò nei confronti dei ritmi della fabbrica. Dobbiamo connettere l'attuale crisi democratica con la crisi sociale. L'aggressione alla Corte costituzionale con la drammatica condizione operaia. Se non troviamo questa connessione è finita». La sfida, per tutti, è trovare i modi per ricostruire il rapporto spezzato.
Da il manifesto del 9 ottobre
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