sabato 27 febbraio 2010

«Non mi importa delle regioni»

Berlusconi a Torino mette le mani avanti: «In queste elezioni conta solo il risultato totale». Attacca i magistrati «talebani» e molla il senatore «portato da Alleanza nazionale». Protesta delle toghe

TORINO - La maschera è quella di sempre, nasconde le smorfie. Ma questa volta non basta il classico sorriso: il corpo è teso. Inquieto, nervoso. E non si tratta del continuo annuire al candidato del Pdl in Piemonte, Roberto Cota (Lega Nord), lo sfidante di Mercedes Bresso. Si vede che il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è preoccupato. Anche per l'esito delle prossime regionali. Fa lo spavaldo, ma mette le mani avanti. A chi gli chiede quante regioni bisogna conquistare per dirsi soddisfatti risponde: «Non conta il numero, il risultato che consideriamo di dover ottenere è quello di avere una forte maggioranza di elettori nei confronti della sinistra». Poi aggiunge: «Speriamo nella maggioranza nella Conferenza Stato Regioni».

Per il resto, Berlusconi - ieri a Torino a inaugurare la campagna elettorale del centrodestra - ha rinvigorito il quotidiano attacco alla magistratura. A muso duro. «Il male terribile dell'Italia, la vera patologia è la politicizzazione della magistratura, cioè l'uso politico della giustizia». Ed è per questo che promette a breve una riforma della giustizia «che non piacerà a quella una banda di pm talebani che intervengono con propositi eversivi nella vita democratica». Ci tiene a precisare il termine «banda». Per l'Anm sono insulti intollerabili. La frase entrerà nel fascicolo aperto da tempo dal Csm a tutela di magistrati oggetto di accuse da parte del premier.

Ma non vuole fare di tutta l'erba un fascio: «Fortunatamente non tutti sono talebani». La moglie di Cota, per esempio: «Roberto ha un solo difetto, aver sposato un magistrato - dice con sorriso sornione - ma lei è una di quelli perbene».
Poi - appena dimenticatosi la frase «la sovranità non è più nel popolo ma nei pm» - gira a suo favore la sentenza della Cassazione che due giorni fa ha dichiarato prescritto il reato per il quale l'avvocato di Berlusconi David Mills era stato condannato in primo e secondo grado. Non importa se prescritto significa anche colpevole: «Il caso Mills è una invenzione pura, assurda». Quanto al processo gemello, che lo vede imputato come presunto corruttore di Mills, che riprende oggi e che avrà ancora più di un anno per arrivare almeno alla sentenza di primo grado: «Voglio venirne fuori con una assoluzione piena».

Sul senatore Nicola Di Girolamo e sui suoi rapporti con l'ndrangheta il presidente del consiglio fa quasi lo gnorri. «Non leggo i giornali, proprio come faceva la Thatcher». Precisa di non averlo mai conosciuto e con un colpo da maestro scarica le responsabilità su Alleanza nazionale: «Non è stato portato da gente di Forza Italia, ma da un responsabile di An che non ho il piacere di conoscere». Infine fa capire con estrema chiarezza che del destino del senatore non gli importa granché. E' una vicenda «grave», dice invocando la riforma sul voto degli italiani all'estero.

Oltre alla giustizia, ci sono le elezioni. E alla conta delle regioni, da ieri Berlusconi preferisce quella degli elettori. Non si sbilancia, qualcuno forse lo avverte che il consenso potrebbe calare. Però, sotto la Mole deve pur dare un segno di ottimismo: «Roberto Cota sarà il governatore del Piemonte» esclama senza dubbi. Lo elogia e lo ricorda giovane, quando - alle tradizionali cene del lunedì ad Arcore con Umberto Bossi - era proprio il futuro capogruppo della Lega in Parlamento ad ammansire il Senatur: «Mi rivolgevo a lui quando dovevo convincere Umberto».

Ma la paura c'è. E, davanti ai giornalisti - alla prima uscita elettorale - il premier Berlusconi rispolvera il vecchio slogan: «Una scelta di campo». Elencando i motivi per cui non si deve votare la sinistra, «il polo dell'invidia». L'Udc non c'entra: «Non ha nulla da spartire con il Pd, soprattutto dopo che si è ammanettato a Di Pietro». «Non votateli perché vogliono reintrodurre l'Ici, raddoppiare le tasse sulle rendite finanziarie, aumentare la tassa sul patrimonio e introdurre uno Stato di polizia tributaria attraverso il controllo dei pagamenti in contatti. La sinistra vuole impedire l'attuazione del "piano casa" attraverso il controllo delle Regioni. E spalancare le porte agli immigrati». Fuori tema, l'ultima cartuccia: «Basta con le intercettazioni, le modificheremo, perché così è uno Stato di polizia».

Da il manifesto del 27 febbraio

giovedì 25 febbraio 2010

L'Aquila 8 mesi dopo


Inizio dicembre 2009...

L'AQUILA - Girare per le strade de L’Aquila è come provare a districarsi in un labirinto di sensi unici. Le vie dove un tempo scorreva il traffico regolare oggi si stringono per lasciare spazio a cantieri e impalcature. Sui marciapiedi ancora tanti calcinacci e mattoni. Basta voltarsi un attimo e le ferite delle case sono ancora tutte lì, con la vita della gente che le abitava esposta al cielo. Il terremoto ha messo fine a ogni forma di intimità. Non sono crollati solo i muri, ma in una città dove gli stessi abitanti raccontano di un tessuto sociale già fragile prima del sisma, a disperdersi sono stati i legami, le forme di riconoscimento, la capacità di parlare. “Anche i giovani che si ritrovavano alle “colonne” del centro storico ora non sanno dove andare - spiega Annamaria, giovane insegnante di educazione fisica – se ne vanno tutti al centro commerciale, verso Coppito, appena fuori città. Ma non è la stessa cosa”.

Quello che ti colpisce a L’Aquila non sono solo le rovine, già cancellate dai tg berlusconiani, ma il senso di smarrimento negli occhi della gente. Persino nel modo di guidare. Lungo le strade ci sono incroci ma non si svolta, il rischio è di finire in vicoli resi ciechi dai calcinacci. Si va sempre dritto. Come la vita, che va avanti ma non si capisce dove. Da via XX Settembre che taglia la città si passa a fianco della Casa dello Studente o a quel che ne rimane, si prende una strada in salita e si arriva a Collemaggio, il luogo della storica basilica ma anche dell’ex manicomio. Proprio qui, dal 31 ottobre è arrivato un gruppo di ragazzi, che prima stava al parco Unicef di via Strinella, nelle tende. Sono quelli del 3e32. Si chiamano come l’ora in cui la notte del 6 aprile L’Aquila tremò più forte e sono un coordinamento di comitati che fin dal primo giorno dopo il sisma hanno cercato di tenere viva la coscienza della cittadinanza. Con l’arrivo dell’autunno e la minaccia del freddo la sistemazione di via Strinella non era più abbastanza. E così hanno deciso di occupare uno stabile nel comprensorio dell’ex ospedale psichiatrico. Lo hanno ristrutturato e adibito a sala presentazioni. E poi lo hanno completato, costruendogli affianco una nuova casetta in legno, dove hanno allestito un internet point, perché all’Aquila ora è difficile pure trovare un luogo dove connettersi. Nel complesso che ha preso il nome di CaseMatte si mangia anche, con pastasciutte preparate in enormi padelle, tanto da sfamare senza problemi una ventina di persone. E alla sera, tolto il lungo tavolo da pranzo, la stanza si trasforma in luogo per incontri, presentazioni, dibattiti. Il giorno della nostra visita, a fine novembre, l’ospite è il giornalista Manuele Bonaccorsi, autore di “Potere assoluto. La Protezione civile al tempo di Bertolaso” (Edizioni Alegre, 2009). Proprio lui, Guido Bertolaso, uno dei protagonisti della ricostruzione post terremoto, ma che qui alle CaseMatte è ben poco amato. Quella sera nella piccola casetta arriva anche Sabina Guzzanti con la sua troupe, una presenza costante ormai, che da mesi sta girando un documentario su L’Aquila terremotata.

Poco più in alto, tra i padiglioni di Collemaggio, c’è il Centro di salute mentale, anche questo un luogo di “resistenza”, dove si prova a far ripartire progetti di cittadinanza. La mente organizzativa è Alessandro Sirolli, psicologo e direttore del Centro, negli anni ’70 allievo di Basaglia, che assieme ai suoi “matti” ha dato il via a una serie di iniziative: presentazioni di libri, teatro e l’idea di un cinebus: “Un pullman da 50 posti con telo e proiettore incorporati – spiega –, che giri tra le periferiche new town del piano C.A.S.E. del governo per offrire alla gente ormai isolata dalla città momenti di aggregazione e dibattito. Tanti anni fa con la chiusura dei manicomi siamo riusciti a portare i “matti” tra la gente. Oggi ci riproviamo, partendo dalla nostra esperienza, per andare a ritrovare un contatto con i cittadini. Facendoli venire qui, nel nostro Centro, ma anche andando da loro”.

Quello dell’isolamento e della forzata lontananza dalla città è uno dei temi che più tocca la popolazione. E quando nelle assemblee pubbliche gli abitanti prendono la parola, l’inquietudine non può più essere celata. C’è chi se n’è andato via da L’Aquila, verso il mare in un albergo, “ma non si sente fortunato” precisa una ragazza. Chi sta nelle case prefabbricate o si trova ancora in roulotte. Oppure in tenda, al fondo delle liste d’attesa. E poi c’è chi di notte elude i controlli della Protezione civile e rientra nella propria abitazione, in piena zona rossa. “La prima cosa che fa è tirare giù le tapparelle. Più in fretta che può, perché nessuno lo veda” racconta una psicologa. I rapporti con i volontari di Bertolaso non sono mai stati idilliaci: “Nelle tendopoli ci trattavano come appestati – sottolinea una donna, durante il dibattito alle CaseMatte -, come ‘terroni’, pensate che un responsabile della Protezione civile andava in giro con la scritta ‘Io sono Hitler’. I suoi lo giustificavano, dicevano che era una burla”. In queste settimane, a L’Aquila - col freddo che si attacca alla pelle - si vive in un insopportabile limbo d’attesa. Sul che sarà. “Se avessero dato le autorizzazioni che ci negano – spiega con foga un signore di mezz’età – a quest’ora mi sarei ristrutturato la casa e forse ci abiterei già”. Invece, il centro storico è come il giorno dopo il sisma. In bilico.

Ilaria Leccardi e Mauro Ravarino
da Cenerentola di gennaio

mercoledì 24 febbraio 2010

Torino «riscopre» gli anarchici

7 arresti e 20 denunce. Perquisita Radio Blackout: «Un attacco censorio» Dal letame in un ristorante alla campagna contro i Cie. «Associazione a delinquere»

TORINO - Tre persone arrestate, altre tre ai domiciliari, un'altra con divieto di dimora in provincia. Brutto risveglio per l'antagonismo torinese. Per la maggior parte anarchici impegnati in lotte contro i centri di identificazione ed espulsione e nell'Assemblea antirazzista (sciolta nel maggio scorso). Nessuno si aspettava un'alba così turbolenta. Ventitré perquisizioni, eseguite anche a Rovereto (Trento), Vicoforte (Cuneo) e Viadana (Mantova). Pure la storica radio Blackout di via Cecchi è stata messa sottosopra: sequestrata per sei ore e per un'ora senza segnale.

Sono più di cinquanta gli episodi contestati nell'inchiesta della Digos coordinata dalla Procura di Torino: si va dal lancio di escrementi al ristorante Del Cambio il 21 marzo 2009 alle numerose azioni contro il Cie di Corso Brunelleschi, fino all'irruzione al Consolato greco nel dicembre 2008. L'accusa è associazione a delinquere. «Non regge» dice subito l'avvocato Claudio Novaro, legale degli accusati, in questi giorni impegnato a far la spola tra il processo in appello per i fatti della scuola Diaz e la vigilia dell'udienza preliminare sugli scontri del G8 Summit a Torino. Si dice incredulo: «Sono tutti fatti di rilevanza penale modesta, vecchi e conosciuti. Si arriva a contestare l'attività politica e a mettere in discussione la libertà di espressione. La novità è che ora i diversi reati (istigazione a delinquere, resistenza a pubblico ufficiale, minacce, danneggiamento, violazione di domicilio, ndr) sono inseriti in una nuova cornice: associazione a delinquere. Che però non sussiste. Per gli stessi fatti, era stata richiesta per due dei miei assistiti un provvedimento di sorveglianza speciale, poi revocato dal giudice di corte d'appello». Si riferisce a Fabio Milan, 32 anni, e Andrea Ventrella, 35 anni (attivista del centro di documentazione Porfido), raggiunti ieri da misura di custodia cautelare in carcere, firmata dal gip Emanuela Gai. Secondo la Procura «sono costitutori del sodalizio criminoso». Detenuto anche Luca Ghezzi, 29 anni.

Agli arresti domiciliari si trovano Paolo Milan, 27, Maja Cecur, 32, e Marco Da Ros, 37. Infine, imposto il divieto di dimora in provincia di Torino a Massimo Aghemo, 42. Secondo il procuratore capo Giancarlo Caselli e il dirigente della Digos Giuseppe Petronzi «le finalità delle attività delittuose erano di impedire la regolare funzionalità dei Cie, intervenendo illegalmente su soggetti operanti nel centro, nonché di ostacolare l'attività di Lega nord (l'assalto ai gazebo), La destra e Cgil». L'inchiesta si è basata, tra l'altro, su intercettazioni telefoniche, registrazioni delle trasmissioni di Blackout e indagini sul sito «Macerie».

Tra i venti indagati anche Simone, il ragazzo ferito dalle forze dell'ordine la scorsa settimana in Val Susa. Aveva da poco sostituito uno dei conduttori del programma radiofonico «Macerie», che ha raccolto testimonianze sui Cie. Da Blackout: «Un attacco pretestuoso, un modo per toglierci la voce». La perquisizione arriva, infatti, nel pieno della campagna «spegni la censura, accendi blackout!» e a un mese dalla sfratto voluto dal Comune. «La polizia - raccontano i redattori - è arrivata all'alba. Prima tentando di forzare la porta, poi svegliando di soprassalto un nostro collega. Hanno sequestrato hard disk, computer. Cercavano materiale informativo relativo all'Assemblea antirazzista, che si riuniva da noi. Non è più attiva, ma i suoi documenti sono sempre circolati liberamente». La radio accusa «il sostituto procuratore Andrea Padalino, già salito agli onori delle cronache per la proposta razzista di rendere obbligatorie le impronte digitali per gli immigrati. Non ci siamo mai sottratti dal denunciarlo e non ci stupisce cerchi una personale vendetta».

Gli arresti piombano in una situazione torinese già tesa: dagli sgomberi delle case occupate agli scontri in Val Susa. Ieri, c'è stata polemica sull'incontro, nei locali di una circoscrizione, con l'ex terrorista Raf, Irmgard Moeller, (tra gli organizzatori Marco Da Ros, ai domiciliari) finita con un no bipartisan, dal Pd al Pdl.

Dal il manifesto del 24 febbraio

domenica 21 febbraio 2010

«Marinella, No Tav come noi»

Sfilano in cinquemila dopo le cariche della polizia dell'altra notte In piazza cittadini della valle, amministratori locali e centri sociali torinesi

BUSSOLENO - Ferma e pacifica. Così è stata la risposta del movimento alle violenze delle forze dell'ordine di mercoledì sera. Mamme, bambini, anziani, giovani, cani con la bandiera No Tav. Non è retorica. Basta aver percorso la lunga fiaccolata che ha attraversato Bussoleno, uno dei comuni della valle ribelle. Cinquemila persone venute per protestare contro le cariche, le provocazioni, le manganellate e i calci che hanno ferito, tra gli altri, Marinella e Simone: «Due di noi» dicono i manifestanti, che portano le foto della donna di Borgone Susa e del ragazzo di Torino.

Ora stanno meglio, Marinella ha parlato al telefono con gli organizzatori, ringraziandoli della solidarietà. Ma l'indignazione resta forte. C'è chi è ancora frastornato dalle violenze di Coldimosso: «Alle palle di neve e magari agli insulti hanno risposto in modo inaudito». Igor di Avigliana ne è sicuro: «Il movimento andrà avanti e crescerà. Non è vero quello che racconta la maggior parte dei giornali. Il consenso è ampio, gli scontri non piacciono a nessuno, ma spaventa una volta di più l'intreccio tra affari e politica». E, al proposito, aggiunge Giorgio con Greg, un barboncino bianco, in braccio: «Lo spettro di Bertolaso si aggira tra noi. Se pensiamo a come vengono gestite le emergenze italiane, non possiamo che aver paura».

«Sarà dura» è il motto del movimento, che parte a ritmi alterni come un'ola. Lungo la marcia puoi incontrare Saveria, pensionata di Chiusa San Michele: «L'alta velocità mi preoccupa direttamente perché se faranno la Torino-Lione la mia casa verrà abbattuta». Sandro lavora in un'azienda pubblica: «Si dorme poco in valle, siamo spesso ai presidi. Ci vado prima e dopo il lavoro. Si è creata una grande solidarietà tra i comuni e ogni mattina, quando spunta una trivella, conosciamo gente nuova. Magari prima si abitava vicini e nemmeno ci si salutava». Mercoledì, durante gli scontri, lui c'era: «Tra le vigne abbiamo raggiunto una passerella e ci siamo portati vicino alla trivella, a neanche 20 metri». I No Tav conoscono bene il loro territorio, un po' - senza voler fare paragoni azzardati - come i partigiani. E la Bella Ciao suonata dalla banda non è solo una citazione. «Davanti a noi - continua Sandro - abbiamo trovato 600 poliziotti. Più stanchi e arrabbiati del solito. Battevano sugli scudi. Ci sono state tre o quattro cariche. Si sono accaniti con chi è scivolato». Tra le fiaccole si avvicina una ragazza: «Non amiamo la violenza, la volta che uno dei manifestanti ha spaccato un vetro di un'ambulanza, ci siamo autotassati e l'abbiamo ripagato».

Prima di arrivare al salone polivalente, dove finisce la manifestazione con un convegno e, mentre da un Ducato Fiat rimbomba la musica, illuminano il cielo una decina di fuochi d'artificio. Esclama uno: «Attento che gli sbirri si spaventano e dopo sono capaci di dire che li attacchiamo con l'artiglieria». Una donna di mezz'età si è infilata dentro un cartellone sandwich. Sulla schiena porta scritto: «Celerini andate nella legione straniera, anche qui vi trattano da mercenari ma là almeno vi pagano meglio». Ma ieri le forze dell'ordine hanno controllato discrete.
La fiaccolata prosegue. Un signore con i baffi si lamenta: «Non è vero che gli amministratori ci hanno abbandonati. È colpa del prefetto che ha vietato la fascia tricolore alle manifestazioni». E lancia una proposta: «Facciamone stampare migliaia e mettiamocela tutti». Alla fine la soddisfazione è ampia. Andrea del Comitato di lotta popolare di Bussoleno: «Ogni volta mi ricredo, lo spirito di questa valle non muore mai».

Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino si è invece allineato con la linea del Pd piemontese. Anzi, telefonando a Mattino Cinque, ha rincarato la dose: «Il fatto che ci siano stati degli scontri è il segnale che la protesta è sempre più fatta da professionisti dell'opposizione pseudo anarco-insurrezionalista. I No Tav avvertono il senso della sconfitta e mettono in campo reazioni sgradevoli, come quella di attaccare con violenza verbale e anche fisica gli operai che sono al lavoro nei carotaggi». C'è però chi dissente dalla linea del partito. Roberto Della Seta, parlamentare eletto in Piemonte: «La spropositata reazione delle forze dell'ordine fa sorgere il dubbio che qualcuno voglia soffiare sul fuoco in vista delle regionali. Ne guadagna solo la destra. Il centrosinistra deve mostrare più capacità di dialogo. E bisogna rendersi conto che i No Tav non sono un fenomeno solo italiano. Conflitti di questo tipo sono normali in Europa, ogni volta che un'opera non è gradita dal territorio».

Da il manifesto del 20 febbraio

venerdì 19 febbraio 2010

Alta repressione


Caricati, in fuga nei boschi e manganellati al buio. Un ragazzo finisce in prognosi riservata, una donna dovrà essere operata. Linea durissima del governo in Val di Susa. Ma il Pd accusa i manifestanti «violenti»

VAL SUSA - Marinella è appena tornata a casa, a Borgone, col marito Paolo, dopo una notte passata all'ospedale di Susa e un trasferimento lampo alle Molinette di Torino. Qui, questa mattina sarà operata al setto nasale. Mercoledì sera se l'è vista brutta. Tornata dal lavoro - ha un banco al mercato con sciarpe e cappelli - è andata a Coldimosso, alla manifestazione dei No Tav contro uno dei «sondaggi farsa» per la Torino-Lione, che dai primi di gennaio destabilizzano la Valle. Non si sarebbe mai aspettata di essere picchiata in quel modo. Così selvaggio. «Il terreno era scivoloso, sono caduta. Ho visto il buio, in quel momento si sono accaniti su di me. Un parapiglia, altri sono invece scappati nei boschi».

Ricordare quei momenti fa male, ma Marinella Alotto, 46 anni, lo fa con voce dolce. Precisa e senza perdere la pazienza. Il timbro è nasale, si scusa. «Mi hanno cucito la testa, una ferita profonda nel cuoio capelluto, e il naso. Per quello parlo così. Ho pure lividi al braccio». Il referto medico riporta un trauma maxillo-facciale, con prognosi di 30 giorni. Da una radiografia sarebbe stata riscontrata una contusione ovarica (smentite però lesioni). «Quello che è successo è triste. Ma dà più forza alle nostre convinzioni. Ci deve essere giustizia, non è possibile che la risposta alle nostre obiezioni sia violenta. La Tav rimane una pazzia, uno spreco, in un paese già in crisi». La storia di Marinella è la storia di una valle. Di gente normale. Non quella di un piccolo gruppo di facinorosi come si vorrebbe far credere. La pensa così Claudio Giorno, da oltre vent'anni impegnato nel movimento. E lo dice mentre da un altro telefono risponde a un signore di Pescara che ha chiamato per solidarizzare: «Paolo e Marinella li conosco di vista, sul furgone portano un adesivo contro l'alta velocità. La loro esperienza rappresenta quella di tanti che in valle, tra lavoro e famiglia, trovano tempo per la lotta».

Mercoledì è stata una giornata tesa. La trivella per il sondaggio S72 era arrivata, come al solito, prima dell'alba. E la mobilitazione del movimento era stata pronta, il tam tam continua a funzionare. Nel tardo pomeriggio si decide per una marcia, dall'ormai storico presidio Maiero-Meyer fino al luogo del carotaggio, difeso dalla polizia. I manifestanti si avvicinano: «Lanciavamo palle di neve contro gli agenti». La questura, il numero due è Spartaco Mortola (capo della Digos di Genova ai tempi della scuola Diaz), parlerà invece di sassaiola. Parte la carica: calci e manganelli. «Persone a terra - dicono i comitati - sono colpite ripetutamente alla schiena e in testa». A rimetterci, oltre a Marinella, Simone Pettinati, 25 anni, torinese, redattore di Radio Blackout, attivista del centro di documentazione «Porfido». Testimoni lo vedono vomitare sangue: «Non riusciva a muovere le gambe». Soccorso, verrà portato prima a Susa e poi trasferito alle Molinette, dove arriva con un grave trauma cranico. «Mi hanno telefonato e sono corso all'ospedale - spiega l'avvocato del ragazzo, Claudio Novaro - sembrava lucido, ma non parlava. Dei suoi amici mi hanno riferito che due carabinieri, spacciatisi per familiari, e poi qualche agente Digos, si sono introdotti al Pronto soccorso per interrogare il mio assistito». Su questo fatto Sonia Alfano (Idv) ha annunciato l'intenzione di presentare un esposto al Parlamento europeo. Andrea, Askatasuna, è un collega di radio di Simone: «Hanno approfittato dell'oscurità e dell'assenza dei media. Sull'accaduto stiamo preparando una controinformazione». La situazione clinica del giovane è migliorata con le ore. «La Tac ha dato esiti tranquillizzanti - ha rassicurato ieri il neurochirurgo Michele Lanotte - il piccolo ematoma tra il cervello e la meninge si sta riassorbendo e il paziente rimarrà ricoverato ancora alcuni giorni in osservazione».

Qualcosa nell'ultimo periodo sembra cambiato nell'atteggiamento delle forze dell'ordine. E lo ha sottolineato apertamente, il mattino dopo gli scontri, Giorgio Vair vicesindaco di San Didero: «Da lunedì non ci sono più le stesse facce, ora più tese. E me ne sono accorto mentre contrattavo direttamente. Mi dicevano "stia tranquillo noi siamo abituati agli stadi" e io a spiegare che qui non era la stessa cosa, non c'era guerriglia. C'erano donne e figli, vigne e boschi, non curve». Alla conferenza, al presidio di Susa, anche Luigi Casel, consigliere a Bussoleno: «Un'operazione di bassa macelleria». Lele Rizzo del movimento: «La responsabilità è delle forze dell'ordine, noi la nostra ce l'assumiamo e continuiamo la resistenza attiva».

Alcuni amministratori si sono poi recati in visita al sito del sondaggio di Coldimosso alla ricerca del pozzo ispettivo. «Nel fango è stato notato un chiusino nei pressi di un'immensa pozza d'acqua putrida contornata da rifiuti. Dato l'enorme costo di questi sondaggi ci si aspetterebbe che i lavori fossero fatti bene». Oggi alle 18 fiaccolata a Susa. Ieri, sit-in anche a Torino, davanti alla Rai. Enzo Bertok: «Presidiamo la democrazia in una valle militarizzata. All'interno del movimento è il momento di riflettere su come meglio valorizzare il consenso dei 40 mila del 23 gennaio. Perché la sola corsa alla trivella non paga».

Nelle reazioni politiche si è, invece, ripetuto il duello delle prossime regionali. La presidente Mercedes Bresso si è detta amareggiata: «Da sempre cerco il massimo del dialogo, ma il dissenso non può mai essere manifestato con atti illegali». Per lo sfidante Roberto Cota (Lega) la Tav è il nervo scoperto del centrosinistra: «Sarebbe una bella cosa se la Bresso, al di là delle parole, facesse chiarezza politica. Ma non la farà, a causa della presenza nel suo listino di ben noti esponenti No Tav». Dal Pd, Stefano Esposito, uno dei promotori dell'evento Sì Tav: «Esprimo solidarietà alle forze dell'ordine e al direttore de La Stampa Mario Calabresi, bersaglio di scritte vergognose. Voglio ricordare come tra i cento manifestanti protagonisti dei disordini erano presenti i capi di Askatasuna e altri esponenti anarchici». Giorgio Airaudo, Fiom, critica l'uso sproporzionato della forza; Legambiente invoca una tregua delle trivelle in campagna elettorale e Vittorio Agnoletto (Prc) chiede un'inchiesta «sulle violenze poliziesche» e annuncia che sabato sarà in Val Susa una delegazione europea guidata da Joe Higgins, europarlamentare Gue.

Da il manifesto del 19 febbraio

giovedì 18 febbraio 2010

Phonemedia, ammortizzatori beffa a Vercelli

TRINO VERCELLESE - La nebbia della bassa vercellese non dà scampo, il freddo entra nelle ossa. Anche se ci vivi da tempo, non ti abitui mai. Per fortuna, all'interno della sede occupata di Phonemedia di Trino si sta al caldo. Dai primi di dicembre i lavoratori vivono e dormono qui. Si danno il cambio. Non prendono lo stipendio, hanno perso le commesse (Telecom in testa), ma non sono né cassaintegrati né licenziati. «Il problema è definirsi, non sappiamo più chi siamo. Se vai in banca ti rispondono picche» spiega Roberto Croce, rsa Cgil. Da quando sono finiti nelle mani di una società fantasma, Omega, sono piombati in un limbo infernale.

Loro, 7 mila in Italia, 1500 in Piemonte e 300 a Trino, non sono spettri, sono persone, magari monoreddito, con una famiglia alle spalle e il padrone di casa pronto a cacciarti. È già successo, pure a Trino. Hanno pudore nel parlarne, ma sono stufi: «Stufi delle promesse dei politici. Vogliamo che si blocchino gli sfratti e i mutui e un sostegno al reddito vero, non prestiti agevolati. Ci spaventa anche solo l'idea di diventare debitori. Chiediamo l'erogazione diretta di denaro».

Lunedì, poteva essere un giorno utile. Invece, è stato un bluff. A Vercelli, in un consiglio provinciale infuocato, a pochi giorni dall'arresto del presidente Renzo Masoero per concussione, si discuteva della possibilità di destinare ai lavoratori Phonemedia 500 mila euro dei fondi Scanzano (compensazioni nucleari). «Siamo andati in consiglio - racconta Matteo, 23 anni - perché quei soldi, 800 o 1000 euro a testa, ce li avevano assicurati entro fine febbraio, ma abbiamo scoperto che li avremo forse a fine marzo». Poi la beffa: la stessa delibera destina quasi 3 milioni di euro «per la valorizzazione turistica» all'associazione Terre d'Acqua vicina a Roberto Rosso. Proprio quell'onorevole Rosso, trinese, parlamentare Pdl, consigliere provinciale, che si era fatto garante della promessa.

«Una sceneggiata». Prende il microfono Croce il mattino dopo nella sede occupata. «C'era chi rideva, chi leggeva il giornale. Rosso mi ha detto: "Cosa vuoi che siano due settimane in più?"». A lato dell'assemblea, c'è ancora chi dorme: negli uffici ci sono le brande, poi volantini, striscioni, per il resto tutto in ordine. È rimasta pure appesa una foto patinata del geometra novarese Francesco Cazzago, il padrone che ha venduto la sua creatura a Omega e ora vorrebbe tornare a Trino per costruire una centrale a biomasse. Domani, i lavoratori andranno a Novara per un corteo con i colleghi delle altre sedi. Replicheranno il 22, il giorno in cui il tribunale di Novara si pronuncerà sull'insolvenza dell'azienda. «Un commissariamento ci consentirebbe di accedere agli ammortizzatori e richiamare commesse pubbliche», spiega Salvatore Midolo, l'anima movimentista e sigla «cuffie in agitazione».

Nei corridoi si incrociano storie e generazioni. Margherita De Sanctis ha 52 anni «Dopo decenni precari, nel dicembre del 2008 finalmente un contratto a tempo indeterminato. Neanche un anno e l'ho perso». Girolamo Bavetta, 25 anni, ha iniziato da studente universitario: «Dicevano che c'era la crisi, ma ci facevano fare straordinari non pagati. Per non parlare delle commesse nei periodi pre-elettorali, telefonate per Forza Italia oltre i tempi della campagna». A Trino, sono venuti anche i lavoratori biellesi di Phonemedia: «Siamo stati i primi a scioperare e ora non abbiamo nemmeno più la sede», dice Salvatore Trupiano.

A pranzo, si attraversa il gelo fino alla Tenda Verde. Filippa Carpino, tre anni a mille euro al mese, ha due figli e un marito, Turi, carpentiere, che ha pavimentato la tenda: «Stasera - racconta mentre prepara il caffé - dormirò qui, la solidarietà tra noi è la cosa più bella». I lavoratori hanno aperto due conti: i trinesi uno intestato a Comune di Trino (corso Cavour 17, causale: sostegno ai lavoratori del call center di Trino IT26T0609044840000000000825; i biellesi uno intestato a Monica Antonelli (fondo solidarietà lavoratori Phonemedia Biella) IT06K0306967684510218802512.

Da il manifesto del 17 febbraio

giovedì 11 febbraio 2010

La Val di Susa non molla. Dopo le manganellate cresce la mobilitazione

Martedì sono ripresi i carotaggi e il movimento è tornato a bloccare i lavori. La polizia ha caricato il corteo, pronto a ripartire

TORINO - Le trivelle sono ricomparse. Di notte, scortate dalle forze dell'ordine, come da tradizione. Così, la situazione in Val Susa è tornata calda. Ieri, in realtà nessuna nuova «carota» è spuntata dietro l'angolo. E per il movimento è una buona notizia. Ma da ore, le mille antenne dei No Tav sono di nuovo all'erta, da Venaus ad Avigliana. Troppo fresco è il ricordo di martedì sera, quando a Susa la polizia ha caricato i manifestanti che, in corteo, si dirigevano verso il sito del nuovo carotaggio (lo scavo S66) nel parcheggio dell'autostrada, a meno di un chilometro dal presidio permanente Mayer-Maniero. Negli scontri, alcuni feriti lievi e un ragazzo in carrozzina, gettato a terra.

«Dopo l'assemblea delle 17 - racconta Lele Rizzo - abbiamo deciso di mobilitarci verso la trivella. In testa al corteo, lo striscione "La valle che resiste" sorretto dalle donne del movimento, dietro in tanti con fiaccole e bandiere. Non eravamo bellicosi, volevamo solo occupare l'autostrada. Ma a sbarrarci il percorso, sulla statale 25, centinaia di agenti in assetto antisommossa e camionette hanno occupato la strada. Abbiamo detto pacificamente che volevamo andare avanti. Sembravano sordi, tra loro non c'era traccia di dirigente. Pochi minuti ed è partita la carica. Una reazione immotivata. Poi, la ricostruzione della questura ha parlato di estremisti, persone col volto coperto, bastoni. Se qualcuno aveva il volto coperto, era solo per il freddo, c'erano due gradi sotto zero».

Ieri, in una Susa militarizzata la trivella ha lavorato tutto il giorno. Pare strano che in una valle di 60 chilometri, si facciano tre sondaggi a poca distanza l'uno dall'altro. Sui 91 previsti lungo la Torino-Lione quello di martedì è il diciannovesimo. Spesso sembrano una «toccata e fuga». «Simbolici, mediatici, come mettere bandierine». Sono rapidi, ma spesso i dipendenti delle ditte lavorano anche di notte. E tra i No Tav c'è un gruppo legale per la sicurezza nei cantieri, è pronto un esposto denuncia sulle irregolarità. Attenzione anche sui costi, 6 milioni di euro quello degli interventi di carotaggio. Il comitato «Spinta dal Bass» si è allora chiesto: «Quanti ne dobbiamo aggiungere per pagare le persone che militarizzano la Valle?. Per ogni sondaggio hanno mobilitato 1600 uomini su 4 turni: 100 euro al giorno può essere la media retributiva. La guardia per 24 ore a una trivella ci costa 160mila euro, i 4 giorni di trivellazioni a Susa in gennaio 640mila euro. La trivella appena arrivata dovrebbe lavorare per 3 settimane e mezzo e ci costerà, solo per la sua difesa, 3 milioni e 800 mila euro».

Il tam tam in Val Susa non si arresta. I blog vengono aggiornati in tempo reale, le pagine su facebook crescono di contatti e sono continue le dirette di Blackout, storica radio torinese che il Comune vorrebbe sfrattare dai locali in concessione. Alle 19, mentre si volantina alla stazione Porta Nuova di Torino, si ascoltano le decisioni prese dall'assemblea di Susa: una marcia verso l'autostrada e questa sera un incontro al presidio con «pentole e coperchi».

Si moltiplicano le voci sui prossimi sondaggi. Forse in bassa valle, tra Vaie e Villarbasse. Da subito, si era parlato di Venaus, il luogo più evocativo. «In realtà - spiega il sindaco Nilo Durbiano (Pd) - domani (oggi, ndr) ci sarebbe un intervento che nulla c'entra con la Tav, un pozzo di 30 metri per consentire all'Arpa di fare analisi sull'inquinamento falda in un'area da riqualificare, ma vista l'alta tensione abbiamo chiesto una proroga di 60 giorni». I dubbi dei No-Tav erano sorti perché l'intervento si sarebbe dovuto svolgere dove nel primo progetto sarebbe sbucato il contestato tunnel e dove comunque è preventivato un sondaggio geognostico della Ltf (Lyon Turin Ferroviaire).

Da il manifesto dell'11 febbraio

martedì 2 febbraio 2010

Torino papalina

Trecento insegnanti ed educatori negli asili nido e nelle materne si sono visti scavalcare dai docenti indicati dalla Curia. Grazie a un bando ad hoc del Comune. «La nostra non è una guerra di religione, ma una questione di laicità delle istituzioni»

TORINO - C'è chi di anni di lavoro precario ne ha 10, altri ne portano sulle spalle 7 o 5. Comunque tanti. Insegnanti o educatori negli asili nido e nelle materne del comune di Torino, trecento o forse più, si sono visti scavalcare da chi in graduatoria non aveva fatto nemmeno un giorno. Dagli insegnanti di religione, indicati dalla Curia e stabilizzati dal Comune con un bando ad hoc. Proprio nella Torino laica e multiculturale. Assunti con il profilo di istruttore pedagogico, nello specifico insegnante di attività integrative; una parte del monte ore dedicata alla religione, l'altra all'assistenza all'handicap, pur magari non avendone i titoli. «È stata una corsa contro il tempo, la selezione doveva chiudersi tassativamente entro il 31 dicembre, perché erano i limiti imposti dalla finanziaria e la richiesta dei 1080 giorni restringeva i requisiti agli insegnanti di religione che, seppur definiti precari, hanno contratti annuali che vanno dal 1 settembre al 30 agosto» spiega Rosaria Albergo, membro del Coordinamento nidi e materne ed educatrice con 6 anni di supplenze. Anche lei «beffata» dal bando.

Quella che raccontiamo non vuole essere una «guerra di religione», come qualcuno ha voluto far credere. «È una questione di laicità delle istituzioni - commenta Monica Cerutti, capogruppo in consiglio comunale di Sinistra e libertà, che in Sala Rossa sull'argomento ha presentato insieme a Maria Teresa Silvestrini del Prc diverse interpellanze - nonché di privilegi di alcuni lavoratori rispetto ad altri. Lo garantisco, non si tratta di accanimento politico. C'è un problema: è stato creato un precedente». Torino è, infatti, il primo comune che ha stabilizzato gli insegnanti di religione all'interno dei propri organici. Nonostante il Tar del Piemonte, un anno prima, avesse respinto il ricorso proprio contro Palazzo Civico da parte di quattro insegnanti di religione che, nel 2007, si erano viste fuori dall'assunzione a tempo indeterminato per la copertura di 114 posti di istruttore pedagogico. Il Tribunale aveva motivato la sentenza spiegando che la stabilizzazione doveva essere subordinata a procedure selettive di natura concorsuale o a graduatoria pubblica.

In un anno le cose sono cambiate. E una selezione, tra le polemiche, c'è stata, il 21 dicembre, con una prova scritta a risposte multiple: 28 assunzioni e tre in attesa di verifica dell'anzianità accumulata. Già il 20 novembre, il giorno dell'accordo per il bando, il primato torinese era stato rimarcato dal segretario della Fp-Cisl, Aldo Blandino. Una decisione che ha visto la giunta di Chiamparino non sempre all'unisono. Da una parte l'assessore al personale, il cattolico Domenico Mangone, favorevole addirittura all'introduzione di uno specifico profilo professionale di insegnante di religione, e dall'altra l'assessore all'istruzione, il laico Beppe Borgogno, più cauto. Ma, alla fine, hanno firmato entrambi, insieme a tutti i sindacati. Pure la Cgil, inizialmente critica, che ha motivato con un volantino la sua scelta «il nostro obiettivo è garantire la stabilizzazione di più precari possibili», garantendo in un altro documento «un concorso a giugno rivolto al personale precario». Monica Macario ha alle spalle 6 anni di precariato, come Rosaria Albergo, negli asili nido: «Dopo essere state beffate, tocca ora a noi dettare le condizioni. Chiediamo un concorso vero, basato sull'esperienza, il servizio, i titoli. Noi abbiamo una laurea in psicologia o pedagogia. E ci domandiamo in che modo Torino possa proporsi come fiore all'occhiello dei servizi educativi per l'infanzia con un convegno nazionale il prossimo marzo e poi assumere in ruoli chiave persone senza esperienza».

Così, centinaia di lavoratori sono rimasti in bilico. Ma il concorso a giugno si farà, lo ha confermato l'assessore Borgogno: «Sarà rivolto ad insegnanti di scuola materna e educatori di asili nido, per un numero di posti ancora da definire, attorno alle 70 unità. Potrà permettere di stabilizzare i precari di lungo corso, senza disperdere le loro competenze». Non rinnega i dubbi prima dell'accordo: «Ero perplesso nell'introdurre un profilo professionale specifico, perché nel caso in cui un insegnante divorziasse perderebbe l'abilitazione della Curia. Così non è stato. E, comunque, di fronte a un accordo sindacale unitario non potevo sottrarmi. Anche perché al Comune di Torino abbiamo fatto negli ultimi anni il numero più alto di stabilizzazioni in Italia, 900. È, quindi, in linea con la nostra politica».

Facciamo un passo indietro, alle origini della vicenda. Racconta Rosaria Albergo: «Il 9 marzo del 2009 il consigliere comunale Gavino Olmeo (Pd) presenta una mozione per la stabilizzazioni di figure specifiche, gli insegnanti di religione, di cui, tra l'altro, solo una parte ha i titoli necessari. Noi come Coordinamento protestiamo da subito, perché non è trascurabile la differenza tra insegnare religione e svolgere attività educativa con la fascia 0-3 anni. E, poi, non è possibile tollerare che personale mai inserito in graduatoria, ma selezionato dalla Curia, maturi un servizio considerato equivalente a quello svolto nei nidi». Con l'accordo fra Stato e Chiesa del 1985 e la legge del 2003, che definisce lo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica nelle scuole materne, l'insegnamento può essere affidato alle maestre in classe, purché riconosciute idonee dall'autorità ecclesiastica oppure affidato a docenti esterni abilitati. La seconda opzione è stata quella privilegiata dal Comune di Torino negli ultimi anni. In questo modo 31 docenti hanno maturato un'anzianità di oltre 36 mesi che, ai tempi dell'accordo di novembre, «veniva fatta valere dalla Cisl e dalla componente Teodem del Pd come un diritto all'inserimento in ruolo» avevano denunciato i consiglieri di Rifondazione Maria Teresa Silvestrini e Luca Cassano e la responsabile scuola del partito Giulia Bertelli. A maggio, l'assessore all'istruzione Luigi Saragnese (Prc), che si era sempre opposto all'operazione, perde le deleghe, ritirate dal sindaco Sergio Chiamparino.

Si arriva in fretta all'autunno. Le pressioni politiche si fanno insistenti, qualcuno le legge come funzionali a possibili accordi con l'Udc, tuttora fuori dalla maggioranza in Sala Rossa. Iniziano, intanto, i presidi del Coordinamento nidi, insieme ai sindacati di base, la consulta torinese per la laicità, l'associazione radicale Aglietta e Coogen (il coordinamento genitori). «Perde peso - spiega Albergo - l'ipotesi di introdurre un profilo specifico per le insegnanti di religione e si pensa di stabilizzarle come istruttore pedagogico (profilo di insegnante di attività integrative), attraverso un bando che richiedeva il diploma di scuola media superiore e l'abilitazione per la religione. All'assunzione l'orario sarebbe stato diviso in 18 ore di insegnamento di religione e le restanti 12 al sostegno, magari anche l'insegnamento della seconda lingua. Peccato non avessero mai svolto il lavoro relativo alla figura professionale per cui sarebbero state assunte. Ma sembrava, per paradosso, non ci fosse nulla di strano. Garantiva l'assessore Mangone "le assumiamo e dopo facciamo un corso di formazione"». Alla firma dell'accordo, l'ex assessore Saragnese lo considerò al ribasso, scrisse: «Non per odio contro la religione o per ateismo come vergognosamente comparso nei volantini, ma perché la stragrande maggioranza delle insegnanti di scuola dell'infanzia di cui si chiedeva la stabilizzazione non possedevano i requisiti previsti dalla legge. Cioè, per insegnante della scuola dell'infanzia il diploma di Scuola magistrale o di istituto magistrale oltre all'abilitazione mediante concorso oppure la laurea in Scienze della formazione primaria. E per il sostegno, stessi requisiti più ulteriore corso di specializzazione».

Il Coogen è stato tra i più critici sulle conseguenze nella qualità educativa, esprimendo un giudizio negativo perché «è stata introdotta la figura di insegnante per le attività integrative di religione. Ma da quando la religione lo è? Decisione poi sconcertante in una fase in cui a ogni richiesta di sostenere la qualità dei servizi educativi si risponde che non vi sono risorse. Con l'accordo si sono attuati la dequalificazione dell'insegnante di sostegno e un'offesa al rispetto del bambino portatore di handicap». Edoardo Boni, da anni impegnato per i diritti dei disabili (è membro di Informa Handicap), precisa: «Il mio diritto è anche quello di essere, prima che invalido, un uomo che difende i bisogni dei cittadini e dà voce ai diritti di chi viene dimenticato. E cosa può fare un insegnante, pur bravo, ma non competente a trattare la gravità di un bambino autistico?»

Il 26 gennaio si è svolta in Commissione l'audizione del Coordinamento Genitori, con qualche novità rassicurante. «Ci è stato precisato - conclude Monica Cerutti - che i docenti di religione saranno impiegati esclusivamente nell'insegnamento della religione. Rimangono delle perplessità: qualora questi insegnanti perdessero l'idoneità dalla Curia, verrebbero destinati ad altre funzioni, come il sostegno ai bimbi con handicap, attività molto delicata. E come verrebbero reintegrati altri insegnanti di religione? Con un nuovo canale preferenziale?». Domande che nuotano nell'aria.

Da il manifesto del 2 febbraio