domenica 24 gennaio 2010

Tornano gli ostinati no Tav: «Resisteremo altri 20 anni»

In 40 mila dicono no alla Torino-Lione. Slogan contro Chiamparino

SUSA - Li sentiranno fino a fondo valle, forse pure a Torino. A vederli sembrano una grande orchestra, senza il bisogno di un direttore. I campanacci dei montanari risuonano come i tamburi della Bugiard band («dedicata alle frottole che raccontano i governanti») e il battere a ritmo sul guardrail della statale è una di quelle melodie che si fissa in testa. Per nulla fastidiosa. E se ci sei in mezzo non ti accorgi nemmeno del freddo di un sabato alpino, ti fai trasportare dal fiume di gente che invade Susa, 40 mila persone per dire ancora una volta no alla Tav. Alberto Perino, leader storico, è raggiante, sale sul trattore che apre il corteo, prende il microfono: «Diranno che siamo quattro gatti», esclama con un sorriso sornione. E il primo spezzone della marcia gli risponde con un sonoro «Miao». Quella della Val Susa è una lotta radicale ma piena di ironia. «Dicevano - commenta Perino - che il movimento era diventato minoritario, che i sindaci non c'erano più. Ecco il movimento più vivo che mai, ecco i sindaci. In Francia e Spagna ci sono altre due manifestazioni. E qui c'è tutta la nostra valle. Siamo solo un po' matti e davvero ostinati. Abbiamo resistito vent'anni e vedrete che ne resisteremo altri venti». E propone una sua teoria: «In un mondo che si suicida, che devasta l'ambiente, solo i matti possono salvarlo».

In testa al corteo due asini, sul dorso una scritta: «Sono sempre un po' depresso continuano a chiamarmi Chiamparino e Bresso». D'altronde, sulla manifestazione «Sì Tav» con Pd e Pdl al caldo del Lingotto (oggi, ndr) i commenti dei manifestanti non possono che essere negativi, spesso mugugni. Segue il grande striscione «La Valle che resiste» con stampati Asterix e Obelix, beniamini del movimento. Di gente ne è venuta proprio tanta, il presidio Maiero-Meyer si riempie subito. «Ci siamo mobilitati perché non vogliamo che il nostro territorio diventi preda della mafia» racconta una signora, con una bandiera No Tav al collo. Lo dice senza retorica, di 'ndrangheta la valle ha già patito (il consiglio comunale di Bardonecchia commissariato per infiltrazione mafiosa). «Oggi è una giornata importante, dobbiamo continuare in modo coeso e pacifico» spiega Giorgio, elettricista. Francesco Siro è un consigliere della Comunità montana: «Gli amministratori locali sono in maggioranza contrari. Nell'ultimo mese abbiamo votato una delibera contro la Tav sottolineando l'esaurimento del ruolo dell'Osservatorio. Ventitré sindaci l'hanno capito e si sono ritirati dall'organismo». Poco più avanti spunta Gianni Vattimo, europarlamentare Idv: «Ho sollevato al Parlamento europeo la palese irregolarità dei sondaggi geognostici. Senza il consenso della popolazione e senza informare i sindaci». Delle trivelle che hanno sconvolto l'ultima settimana al costo di 6 milioni di euro (il doppio rispetto al previsto) non c'è traccia. «Ma torneranno e vedrete noi saremo di nuovo lì a bloccarle», rassicura un ragazzo. Nel corteo che si snoda fino al centro di Susa un gruppo di bambini canta «La valle è bella non vogliamo la trivella». Altri: «No alle trivelle, col buco vogliamo solo le ciambelle».Il cielo è coperto, ma la marcia non perde l'entusiasmo.

Lele Rizzo è uno degli esponenti più rappresentativi della lunga lotta, è stato il fondatore di uno dei primi comitati, quello di Bussoleno. Arriva dall'Askatasuna: «Senza mai voler mettere la nostra bandiera, a noi interessa che la valle vinca». E continua: «I presidi dei giorni scorsi non sono altro che la punta di un iceberg. Oggi è la risposta politica e la partecipazione testimonia quanto è grande il consenso». A esprimere una vicinanza diretta ai no Tav sono venuti spezzoni di tante battaglie a difesa dell'ambiente. C'è Giancarlo che la provenienza la scrive a caratteri cubitali su un cartello: Friuli, Palmanova. «La Val Susa è un esempio di civiltà. Anche da noi vogliono costruire un tunnel di 25 chilometri». Aldo arriva, invece, da più vicino, Alice Castello, vercellese, con il movimento Valledora: «Il nostro è un territorio da colonizzare, perché spesso silente. Oltre alle scorie nucleari, ogni nuova cava diventa una discarica».

La manifestazione scorre rumorosa e vivace. Tutto tranquillo. Tranne una macchina carica di caschi e manganelli, avvistata dai manifestanti alla partenza: «Una provocazione, abbiamo avvisato il questore ed è sparita». In mezzo alle bandiere no Tav sono sparse quelle della Fiom. Per Giorgio Airaudo, segretario torinese, «in tempi di crisi non si capisce perché spendere soldi per un'opera non prioritaria, si deve investire su una produzione compatibile». E la Tav sarà sul tavolo delle regionali. «I due candidati, Bresso e Cota - spiega Paolo Ferrero, Prc - sono entrambi pro Tav. Certo, tra i due c'è differenza. Però l'unico accordo possibile con il centrosinistra è tecnico. A noi interessa stare nel movimento». La marcia arriva in centro che è già buio. Ma il suo ritmo si sentirà a lungo.

Da il manifesto del 24 gennaio

giovedì 21 gennaio 2010

La Tav nel recinto

Bloccato, per quarantacinque minuti, il Tgv diretto a Parigi. La protesta della Val di Susa non si ferma. Mentre proseguono, sotto scorta della polizia, i carotaggi dei terreni, gli abitanti si riuniscono in presidio: «Da qui non ce ne andremo». E per sabato sono attese ventimila persone in corteo

Gli occhi si stropicciano dalle notti insonni. «Ma il morale è altissimo» assicura Giorgio al presidio di Susa. Il cellulare può squillare alle tre o alle quattro. E devi partire. Per questo lo tieni vicino al letto, con le scarpe ai bordi. In valle, se qualcuno avvista strani spostamenti, lancia subito un messaggio, un sms, una mail: «Una trivella a Susa», «Un'altra a Condove». E il tam tam corre da Venaus ad Avigliana. Non fai in tempo a vestirti, che vedi già i compagni di lotta salutarti: «Sarà düra», il motto dei No Tav. Martedì erano corsi a Susa, per il settimo sondaggio, ieri invece si sono diretti a Chiusa San Michele, dove nelle prime ore del mattino è iniziato l'ottavo dei 91 carotaggi previsti dall'Osservatorio sulla Torino-Lione guidato da Mario Virano. Militarizzato come il precedente. Ancora una volta, la trivella scortata da centinaia di forze dell'ordine. Ma non si sono lasciati sorprendere: hanno allestito presidi, bloccato il Tgv e, alla sera, respinto l'arrivo di nuovi blindati occupando la statale del Moncenisio.

Un'altra giornata di lotta lungo tutta la valle. «Sono solo sondaggi mediatici, non trivellano nemmeno. È una prova di forza per sbloccare i fondi di Bruxelles», rincara Giorgio: «Non è come la raccontano i giornali, il movimento è forte. Pensi che ha appena chiamato una signora da Genova, ci invita a resistere e sabato sarà con noi». Ci sarà una grande manifestazione a Susa contro la Tav e contro tutte le mafie, attese più di ventimila persone.

Al presidio, vicino all'autoporto, fa freddo e ci si scalda con il fuoco e il tè. «Avevano detto che i carotaggi sarebbero stati alla luce del sole, trasparenti, avvisando i sindaci. Invece sono venuti di notte, come i ladri» racconta Pupi che di mestiere fa l'edicolante ed è appena tornato dai due presidi di Condove e Chiusa San Michele, più a valle. Li hanno allestiti in mattinata, uno vicino alla rotonda della statale 24, quella del Monginevro, l'altro dall'altra parte dei binari. In mezzo uno spiegamento massiccio di carabinieri che hanno impedito l'accesso alla stazione. «Sono le forze dell'ordine a bloccare il passaggio» recita un cartellone dei manifestanti lungo la strada. Momenti anche di tensione con una carica dei carabinieri. «Abbiamo cercato di forzare il blocco - racconta Alberto Perino del movimento - perché le forze dell'ordine facevano passare solo chi aveva l'abbonamento mentre l'accesso alla stazione deve essere garantito a tutti. Sono stato colpito da una ginocchiata e sono stato gettato a terra».

A mezzogiorno, la lotta si sposta a Sant'Antonino, il comune di cui è sindaco Antonio Ferrentino, che nel 2005 era uno dei leader dei No Tav. Tempo n'è passato: è rimasto l'unico tra i sindaci della Valle a rimanere nell'Osservatorio. Gli altri si sono ritirati. Dopo un'assemblea, i manifestanti si dirigono alla stazione. Sta per arrivare il Tgv. Non scendono tra i binari, agitano le bandiere, quelle classiche bianche e rosse. Ci sono anziani e giovanissimi. Chi ha la barba bianca e chi va ancora a scuola, non vogliono che la Tav devasti un territorio già fin troppo martoriato. Il Tgv arriva, si ferma. Una ragazzina dice sottovoce «con tutti i ritardi per motivi futili, finalmente una giusta causa». Scende il macchinista, i manifestanti gli offrono un trancio di pizza. Lui sorride, si dimostra solidale: «Se non fossi sopra, sarei lì con voi». Un nastro lanciato da un marciapiede all'altro inaugura un'immaginaria stazione: «Sant'Antonino la Trippa». Al megafono, sarcastici: «Sarà contento il sindaco Ferrentino, Sant'Antonino ha la sua stazione internazionale dove si fermano pure i Tgv». Passano più di quaranta minuti. «Giusto il tempo per far rimborsare i biglietti ai passeggeri».

A Condove più a Valle il presidio continua, tra panettone e vin brulé. Arriva gente. C'è Simone che è stato buttato giù dal letto da un sms alle 6, c'è Elisa che viene a dar man forte compatibalmente al ruolo di mamma di una bimba di quattro mesi. I carabinieri, invece, rimangono in posizione, a piedi stretti. Dei sondaggi non è stato nemmeno avvertito il sindaco Domenico Usseglio che si è presentato all'alba: «Il prefetto Paolo Padoin aveva assicurato di informarci, è stata una grave scorrettezza». I No Tav vogliono la valle libera, scandiscono cori: «Giù le mani dalla Val Susa», «Fuori le truppe di occupazione». Intanto, alle spalle delle forze dell'ordine arriva un regionale. È «la beffa dei manifestanti». Una quarantina, partiti da Sant'antonino, scendono alla stazione in mezzo ai due cordoni, aggirarando il blocco. Qualcuno si avvicina alla trivella. Un ragazzo ci rimedia una manganellata e finisce all'ospedale di Susa.

Proprio a Susa avevamo lasciato Giorgio e Pupi. Si avvicina anche Emilio: «I media ci dipingono come egoisti. Noi lottiamo per tutti, perché i soldi della Tav e quelli per le forze dell'ordine sono di tutti gli italiani. Dicono che siamo isolati, non è vero qui passano i principali collegamenti con la Francia». Roberto riassume le infrastrutture: «Due statali, una ferrovia internazionale e una locale, più un'autostrada, il traforo del Frejus, oltre alla Dora. Concentrati in una valle stretta, con una forte incidenza tumorale». Emilio: «Tu ce li faresti vivere i tuoi figli?». Sono decisi, uniti. Anche se non riusciranno a bloccare tutti i sondaggi, l'obiettivo principale è fermare la Tav: «Passeran nen».

Da il manifesto del 21 gennaio

mercoledì 13 gennaio 2010

Ricostruzione di paglia

Un paesino distrutto dal terremoto, 45 abitanti testardi. E 60 volontari visionari: un piccolo miracolo italiano a Pescomaggiore, un borgo di origine medioevale a 12 chilometri da L'Aquila

L'AQUILA - Piero ha il volto sporco d’intonaco, sta completando gli ultimi ritocchi della nuova casa. Fuori fa già freddo, eppure la neve non lo spaventa. Lui vive qui da sempre, in questo paesino alle pendici del Gran Sasso. Nemmeno il terremoto gli ha fatto cambiare idea: “Sono stanco di stare in roulotte. Ormai sono otto mesi da quando la mia casa è inagibile. Ma la mia terra non la voglio abbandonare”. I 45 abitanti di Pescomaggiore, un borgo di origine medievale a 12 chilometri da L’Aquila e a quasi mille metri sul livello del mare, si sarebbero dovuti spostare a Camarda, in una delle tante new town previste dal piano di ricostruzione del Governo, nove chilometri più a valle. Non se ne sono andati.

Quattro per ora le case che stanno prendendo forma. I loro muri sono fatti di paglia. Balle rettangolari, accatastate anche negli angoli del cantiere. “Al di là di quello che si possa pensare, la paglia è un materiale ottimo per la costruzione: solido, capace di non disperdere il calore e isolare dai rumori. E soprattutto economico ed ecologico”, spiegano Paolo Robazza e Fabrizio Savini, fondatori del “Beyond architecture group studio mobile”, team di architetti che si propone di dare il proprio contributo al recupero del patrimonio architettonico dell’Abruzzo. Hanno alle spalle diverse esperienze di “architettura sostenibile e partecipata”: Robazza in Sudafrica, Savini in Spagna e Brasile.

Sono loro la mente del progetto Eva (Eco villaggio autocostruito), un’idea che avevano in mente da tempo e che nella tragedia del terremoto ha trovato vita. “Avevamo il desiderio di realizzare progetti partecipati con il coinvolgimento dei cittadini. Cercavamo chi ascoltasse le nostre soluzioni”, raccontano gli architetti. A Pescomaggiore c’era invece chi, come i ragazzi del Comitato per la rinascita del paese (nato ben prima del sisma, nel settembre del 2007), pensava si potesse ricostruire usando materiali poveri, appunto la paglia. Volevano provare, ma non sapevano come.

E così, via. Si è unito al gruppo Caleb Murray Bourdeau, irlandese, lunghi capelli rossi e sorriso sornione. Un esperto nella costruzione con materiali di recupero. E dopo 133 giorni dal terremoto, un paio di mesi di progettazione e le assemblee (non sempre unanimi) per definire i particolari, il 20 agosto il cantiere si è aperto. A 160 metri dal vecchio borgo, su terreni dati in concessione da due abitanti, sono stati prima costruiti i basamenti di cemento e poi innalzati i pali in legno, scheletro per le abitazioni. Alla fine saranno sette, per 22 persone. “Abbiamo previsto due modelli fondamentali -racconta Paolo-: uno da 40 metri quadri con una sola camera da letto, l’altro da 56 per famiglie più numerose. Entrambe con un ampio salone cucina, spazio della socialità, attorno a un caminetto che con la legna scalderà l’ambiente”. Dettaglio di un piano di ecosostenibilità, che si completa con i panelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica e un impianto di fitodepurazione per il trattamento delle acque di scarico. E poi grandi finestre e una veranda che dà sulla vallata, perché chi ha vissuto il terremoto deve avere la sicurezza di uscire con facilità. “Così sarò anche più vicino alle mie pecore”, ride Piero.

In tutto finora sono stati spesi 70mila euro, provenienti da donazioni e dall’autofinanziamento dei residenti. “Se il piano Case (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili, ndr) del Governo costa 2.700 euro al metro quadro, noi siamo stati più bravi, ne spendiamo solo 500”, spiega Fabrizio.

Ma la vera forza del progetto è nei volontari. Sessanta, da ogni parte d’Italia e pure dall’estero. C’è Max da Trieste, dove ha fondato una banca del tempo e fa il traslocatore, era già stato in Thailandia dopo lo tsunami del 2004: “Volevo venire giù subito, appena dopo il sisma. Quando ho letto su internet l’appello per salvare Pescomaggiore, mi sono precipitato”. Luciano, marchigiano, senza smettere di fumare “arriccia” il muro della casa di Piero: è uno dei pochi con esperienza in ambito edilizio, restaura volte a crociera.

Arianna, 27 anni, ha studiato filosofia e vorrebbe fare l’insegnante steineriana: “Sono arrivata qui ad agosto, poco dopo l’inizio dei lavori”. È grazie a lei che si sono uniti anche gli alpini di Caoria (Tn), il suo paese. “Loro sì che ci hanno dato un grande aiuto, in pochi giorni hanno tirato su una casa”. E poi Silvia, Ines e tanti altri ancora. Vivono in una piccola casa del paese, una delle poche agibili, come in una comune. Tra i gatti e i sughi al pomodoro, i libri e i materassi incrociati. In primavera sarà tutto pronto e Pescomaggiore sarà di nuovo in vita.

Ilaria Leccardi e Mauro Ravarino
Da Terre di mezzo di gennaio

martedì 5 gennaio 2010

I lavoratori Agile alla Rai: «Ingiusto sottrarre le commesse»

Senza stipendio da quasi sei mesi si sono sdraiati davanti alla sede della tv pubblica, l'ultimo cliente perso dall'ex Eutelia. E domani l'«Arancia metalmeccanica» scende in piazza per raccogliere fondi


TORINO - Le maschere che indossano sono bianche. Ormai ne simboleggiano la lotta. Per terra, su un telo nero, sono disegnate alcune sagome. Rappresentano «i loro corpi assassinati». Quelli dei lavoratori di Agile (ex Eutelia) che non percepiscono lo stipendio da quasi sei mesi e ogni giorno si vedono scippare le commesse: «Non per mancanza di lavoro, ma perché dopo essere finiti nel caos Omega, ora siamo vittime di uno sciacallaggio tra concorrenti». L'ultima commessa persa è quella Rai, dove erano impiegati in 54.

E così, ieri, hanno deciso di protestare proprio sotto la sede torinese della tv pubblica, che ha deciso di rescindere il contratto con Agile (in vigore fino al prossimo settembre) e passarlo a Ibm. Infischiandosene della raccomandazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che il 27 novembre aveva invitato i clienti a mantenere le commesse. Invito disatteso. Non l'hanno rispettato la Camera dei deputati (48 lavoratori) né le Poste italiane (120). Nemmeno la Fiat, l'Asl 9 di Ivrea e la Coop Adriatica. «Le parole di Letta sono una barzelletta», commentano i lavoratori. «Dal giorno del suo appello, lo stillicidio della più grande azienda italiana di Information Technology (nata dalla fusione di Olivetti e Bull) ha colpito altri 342 lavoratori».

Sotto la sede Rai si sono sdraiati in 50. Portavano uno striscione: «Agile non deve morire». Alcuni hanno scandito i numeri dei tagli. Ad ascoltarli non si finisce più: 1191 quelli coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo del 22 ottobre. In Piemonte, i dipendenti sono quasi 300, tra la sede di Torino e quella di Ivrea, l'80% in esubero. Ma tutti rischiano. C'è poi un elemento che li indigna maggiormente: «La decisione della Rai - spiega Paolo Celi, che in tv si occupava di hardware e software - non è avvenuta a giugno, con il passaggio di Eutelia a Agile e poi a Omega, ma alla vigilia del 23 dicembre». Si tratta del giorno in cui il Tribunale civile di Roma ha deciso il sequestro dei beni di Agile e la nomina di tre custodi a gestire l'ordinaria amministrazione. La Rai si è, invece, giustificata dicendo che nel passaggio societario di giugno non ha ricevuto le dovute garanzie, assicurando che l'Ibm si impegnerà ad assorbire la maggior parte dei lavoratori della commessa Agile. Al momento, mai contattati. «E' un gesto grave, in spregio al sacrificio di 50 nostri colleghi che per mesi hanno lavorato senza stipendio», dice Luciano Pilone. E aggiunge: «Ora aspettiamo il 17 febbraio, quando il giudice si pronuncerà sull'amministrazione controllata».

Durante il presidio i dipendenti di Agile hanno chiesto che «la giustizia fermi gli imprenditori del malaffare». Nel mirino, Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia (quello dell'irruzione squadrista a Roma), Claudio Marcello Massa e Sebastiano Liori, la testa della fantomatica Omega, che negli scorsi mesi ha acquisito un'altra azienda in crisi, Phonemedia.

Ma il bisogno più impellente è un sostegno al reddito. «Il nostro status di stipendiati ma non retribuiti non ci permette di accedere ad alcun ammortizzatore». La Regione Piemonte ha da poco firmato un accordo con le banche per anticipare lo stipendio. «E noi - spiega Marco Tracinà - abbiamo costituito un fondo di solidarietà che ha raggiunto quota 12 mila euro». Troppi, però, sono ancora in difficoltà. Domani sarà la volta, in piazza Castello, dell'«Arancia metalmeccanica»: per tutta la giornata i lavoratori Agile raccoglieranno fondi con la vendita di arance biologiche provenienti dai campi confiscati alla mafia in Sicilia.

Da il manifesto del 5 gennaio