martedì 22 settembre 2009

Lo strano caso Ilmas: azzannata dalla crisi in un mercato vivace

TORINO - A un certo punto Franco Berardo, 45 anni, 20 passati alla Ilmas, ha detto basta. Non ce la faceva più a vedere colleghi disperati cui pignoravano la casa. Proprio lui, che - dopo 4 mesi senza stipendio - era tornato a vivere con i suoi. Allora, ha chiamato l'amico e compagno di lavoro, Agostino Cuocolo, e gli ha detto: «Non si può andare avanti così, dobbiamo farci sentire. Saliamo sul tetto». Una tenda e coperte per ripararsi dal freddo. E' da giovedì che sono lì. Scenderanno solo in caso di buone notizie. Aspettano l'incontro di martedì tra le parti al ministero del Lavoro.

Quella della Ilmas non è una storia di ordinaria crisi economica. Le commesse non mancano, come in tutto il settore aereonautico. Il problema è la liquidità, i soldi. Alla base, un mix di responsabilità private e pubbliche: gestione discutibile e una cattiva politica. Adesso, senza stipendio, né premio di produzione, né soldi della cassa straordinaria, senza prospettive, gli operai chiedono un sostegno al reddito e la salvaguardia dei posti: 360 tra la sede centrale di Rivoli, Acerra e la controllata Osu di Orbassano. «Vogliamo inoltre - spiega Marinella Baltera, Fiom Torino - che si velocizzi la pratica per ottenere l'amministrazione straordinaria, chiesta il 31 luglio. E chiediamo che Invitalia (ex Sviluppo Italia, l'agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ndr) sblocchi i fondi congelati da tempo per l'insediamento di Casalnuovo, in provincia di Napoli».

Qui la storia si fa difficile e complicata. Anche oscura. Le radici della crisi risalgono al 2005, quando la Ilmas vince un bando per la riqualificazione di un'area dismessa a Casalnuovo, ricollocando 85 lavoratori Exide in mobilità. In questa zona di camorra voleva costruire un addestratore acrobatico. Un'operazione da 27,5 milioni di euro, con fondi in parte privati, in parte di Sviluppo Italia e della Regione Campania. Quest'ultima, che doveva occuparsi della formazione, ha stanziato meno di 400.000 euro sui quasi 1,9 milioni previsti. Il progetto non decolla, anche per l'ostruzionismo dell'amministrazione comunale di centrodestra, sciolta due anni fa per infiltrazione mafiosa. Il sindacato lancia l'allarme: quelle aree sono al centro degli interessi della criminalità organizzata. Non si sbloccano i fondi Invitalia; per vizi di forma nella domanda, dicono dal governo: «Quattro anni di vizi sono un po' sospetti» commenta Baltera. L'Ilmas, che si sobbarca i costi per assunzioni e formazione, non riesce a gestire la situazione; troppo azzardata, e sprofonda in una crisi di liquidità.

«L'operazione a Casalnuovo ci aveva preoccupato: investivano al sud e non facevano nulla per ammodernare Rivoli. Più tardi ci saltò la tredicesima». Lo racconta Luciano Carta, fresatore iscritto alla Cub, che da giorni tiene vivo il presidio a Rivoli. Parla con Berardo, molto critico con le ultime operazioni della società: «Come fa a precipitare un'azienda aeronautica mentre i nostri concorrenti lavorano?». Gli operai sperano in un rapido commissariamento e si augurano che i compratori «non siano pescecani a cui fanno solo gola le commesse». Voci ufficiose dicono che Alenia e Augusta siano interessate. Pino Galgano, rsu Fiom, martedì andrà a Roma: «Ci spaventa l'inverno, quando dovremmo pagare il riscaldamento». E conclude: «Dobbiamo vigilare perché della nostra azienda non si faccia uno spezzatino».

Da il manifesto del 20 settembre

giovedì 10 settembre 2009

Zitti. Non recitate

A Chivasso il sindaco Bruno Matola (Pdl, ex An) censura l’anteprima nazionale dello spettacolo A Ferro e fuoco della compagnia Teatro a Canone diretta dal regista Simone Capula. Il lavoro è ispirato al libro di Stefania Podda Nome di Battaglia Mara. Vita e morte di Margherita Cagol il primo capo delle Br. Il Sindaco dopo aver concesso in un primo tempo l’uso del Teatro comunale l’ha revocato 6 giorni dalla prima.
Motivo? «La tutela della morale pubblica». Matola, senza mai aver visto lo spettacolo, fa riferimento a «espressioni che possano essere ritenute offensive della dignità e della morale pubblica e pertanto potenzialmente lesive dei sentimenti e degli interessi pubblici collettivi che questa Amministrazione è tenuta a tutelare». La stessa sensibilità, però, non l’aveva avuta nel caso di discutibili invitati di estrema destra o di serate sul fascismo. E qualcuno si chiede: l’Italia dovrebbre essere uno Stato di diritto, non uno «Stato etico»?

Scrivono Frediano Dutto e Piero Meaglia del Centro di Documentazione Paolo Otelli di Chivasso: «E’ evidente la scorrettezza di una revoca così tardiva, e il danno economico e professionale che implica per la compagnia: ma non è su questo aspetto che vogliamo soffermarci qui. Ciò che indigna è la motivazione prodotta dal sindaco: lo spettacolo sarebbe offensivo “della dignità e della morale pubblica”, e “potenzialmente lesivo dei sentimenti e degli interessi pubblici collettivi”. Una censura di fatto, esplicita, neppure mascherata da un pretesto (quale potrebbe essere, ad esempio, un impedimento tecnico all’uso della struttura). Per tutelare non si sa bene quali sentimenti che il sindaco ritiene di incarnare, egli procura certamente un danno a noi tutti come cittadini mediante la lesione del nostro diritto costituzionale alla libertà di espressione del pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (Articolo 21).
Non vale la pena contestare qui punto per punto questa motivazione ridicola e pericolosa come questa destra di cui il sindaco è espressione. Possiamo solo aggiungere che lo spettacolo – pur affrontando un tema scabroso: la vicenda umana e politica della BR Mara Cagol – rappresenta un utile momento di riflessione critica, mai apologetica, sulla lotta armata e sul terrorismo che, ci piaccia o no, fanno parte della storia del nostro paese. Noi, che abbiamo visto le prove dello spettacolo, lo possiamo affermare serenamente.
In ogni caso, per essere criticato, anche duramente, lo spettacolo avrebbe dovuto aver luogo. Voltaire avrebbe detto: “Non condivido nulla di quello che dici, ma mi batterò affinché tu possa farlo liberamente”. Voltaire viveva sotto una monarchia assoluta. Per i cittadini di una democrazia compiuta, questa lotta non dovrebbe più essere necessaria. Ma purtroppo non è così.
Per queste ragioni, vi invitiamo a venire lo stesso, come se lo spettacolo avesse luogo, davanti al Teatrino civico alle 21 di questa sera, per riaffermare la volontà di difendere i nostri diritti costituzionali».

martedì 8 settembre 2009

In cassa integrazione anche i «re-inseritori»

Il paradosso del consorzio Csea

TORINO - La crisi più va avanti e più scatena paradossi. Può succedere che chi si occupa del reinserimento dei disoccupati si trovi lui stesso in cassa integrazione. Capita a Torino, alla Csea, importante agenzia formativa a capitale privato e pubblico (il Comune ha il 20%) con dieci sedi in Piemonte. La scorsa primavera ha denunciato un deficit di quasi 2 milioni di euro e chiesto 80 esuberi. Per ora nessun licenziamento, ma i 320 dipendenti sono tutti in cassa e senza percepire un euro. Va avanti così da metà giugno: niente stipendio, niente cassa retribuita e nemmeno ferie pagate. Anche se c'è un accordo - voluto dagli enti locali e firmato il 29 luglio - in cui si stabilisce che l'azienda, in cambio della cassa in deroga, si impegna a pagare gli arretrati. Tutto disatteso. «L'accordo è nato proprio per dare possibilità a Csea di acquisire dalle banche la liquidità necessaria a pagare gli arretrati, ma finora non abbiamo ricevuto un soldo», spiega Bruno Somale, delegato Flc-Cgil.

«Vorremmo sapere i motivi reali per cui Csea non riesce ad avere finanziamenti dalle banche», afferma Gianni Grimaldi, che ha vissuto direttamente la controversa privatizzazione di metà anni '90, quando alcuni centri di formazione gestiti dal Comune furono assorbiti dal consorzio Csea. La ritrosia delle banche è probabilmente dovuta all'assenza di un vero piano di ristrutturazione. Grimaldi si rivolge poi al Comune, parte in causa: «Non ci lasci soli, si impegni a tutelare chi rimarrà senza lavoro e dica se vuole sfilarsi dal cda». Questa è una delle preoccupazioni che agita i lavoratori, ovvero che, in tempi di brunettiana razionalizzazione, al Comune non convenga più di tanto Csea. Butta acqua sul fuoco il vicesindaco Tom Dealessandri: «E' un'ipotesi che non sta né in cielo né in terra, la convenzione con lo Csea è stata rinnovata neanche due anni fa. Con la Regione siamo impegnati perché la situazione si risolva».

Intanto, la prossima settimana, in uno stato di mobilitazione permanente (deciso martedì in assemblea), inizieranno i corsi per i ragazzi che devono assolvere l'obbligo formativo. I dipendenti non vogliono bloccare il naturale svolgersi delle lezioni, però tutto parte nell'incertezza. Il consorzio quest'anno compie 30 anni, gli ultimi molto travagliati. Da tempo si parla di sovrannumero, fornitori e consulenti non pagati e strategie sbagliate, come l'acquisizione di istituti decotti. Certo, una delle ragioni della crisi sono i finanziamenti diminuiti: gli anni in cui l'Europa elargiva fondi a pioggia sono lontani. «Ma saranno calati del 10 o 15%, non del 30% come dichiara Csea», precisa Somale.

Ripercorriamo, allora, le tappe della crisi. A marzo vengono resi noti difficoltà di bilancio e piano di esuberi, ad aprile saltano ticket per il pranzo e incentivi. Un mese dopo viene comunicato lo stato di crisi e lo Csea reclama contratti di solidarietà, ma il sindacato si oppone. A giugno i lavoratori portano a casa metà stipendio. A luglio, su sollecitatazione anche dalla presidente della Regione, Mercedes Bresso, viene decisa la cassa in deroga per ottenere una liquidità immediata dalle banche. Intanto, la Regione prepara un fondo di rotazione a sostegno delle agenzie e l'azienda promette che, se le attività partiranno regolarmente, la prima tranche di liquidità arriverà il 25 settembre. Ma la situazione non si sblocca: partono presidi e scioperi. Cosa chiedono i lavoratori? Dall'azienda, un piano di ristrutturazione; dagli enti locali, un interessamento per il ricollocamento degli esuberi.

Da il manifesto del 6 settembre