martedì 26 luglio 2011

No Tav: «Mafia e guerriglia non ci appartengono»

Strategie di pace in Val di Susa

Una sequenza spiega più di tanta retorica sugli scontri. E non è uno stralcio delle cosiddette scene di guerriglia, ma una panoramica dell'assemblea serale dei No Tav, dopo ore passate sotto i gas lacrimogeni. È la fotografia di un movimento vivo, plurale e determinato, un'immagine lontana dalle distorsioni mediatiche. Domenica, sono da poco passate le 21 e al campeggio nei pressi della centrale di Chiomonte sono stati spenti anche i fornelli. Prima della sbobba si deve discutere quello che è successo nelle ultime settimane. Elaborare una «strategia collettiva». Ha ancora senso l'assalto al cancello all'inizio della strada dell'Avanà per finire per la sesta volta gasati dai Cs? Pareri e voci si mescolano. «L'obiettivo non è quella cancellata precaria, ma è lassù» dice Alberto Perino indicando La Maddalena. «Là in alto, dove vorrebbero far partire i lavori e portare le trivelle». Una proposta: «Andiamo davanti alle recinzioni tutti nudi con la maschera di Berlusconi». E altri: «Dobbiamo durare anni, non sprecare le energie in una settimana, lavorare su più livelli». «Riportare il tema del Tav sul piano politico», quello suo naturale che non è l'ordine pubblico, ma per farlo devono andare via le «truppe d'occupazione». Così, potrà ricominciare il dialogo.

La Val di Susa è pronta a spiegare democraticamente le ragioni del No. Non vorrebbe più rivedere un volto insanguinato come quello di A., attivista che, mentre cercava di documentare con la macchina fotografica la repressione delle forze dell'ordine, è stato colpito in pieno volto da un lacrimogeno. Portato d'urgenza all'ospedale di Susa è stato ricoverato in prognosi riservata, ha subito diverse fratture facciali, lacerazioni a palato e gengiva. Dal letto del pronto soccorso denuncia: «È vergognoso che un tutore dell'ordine, un carabiniere, spari ad altezza uomo. Poteva andarmi peggio se non avessi avuto la mascherina antigas». Domenica, è stata un'altra giornata di tensione (l'assedio al cantiere e tanti lacrimogeni in risposta, piovuti fino al campeggio), iniziata in realtà in allegria con il raduno di trecento alpini no Tav contrari all'utilizzo dei militari della Taurinense a presidiare il fortino militare. Poi, erano seguiti gli interventi commossi della madre di Carlo Giuliani, Haidi («Il g8 di Genova oggi è qui, dove stanno violando tutto») e del papà Giuliano («Penso che ci siano forze dell'ordine che non condividono le porcherie di altri, ma devono prendere le distanze, denunciarli»).

Successivamente, il cielo limpido del Rocciamelone si è coperto di nebbia ed è stata «battaglia». Intossicati tra i No Tav, cinque feriti tra i carabinieri a detta della Questura, che ha sostenuto di aver interrotto le operazioni per la presenza di due bambini «tra gli antagonisti che scardinavano il cancello». La brutta allusione che li avessero usati come scudi umani è stata rigettata con sdegno dal movimento. Come quella insopportabile che i No Tav c'entrassero con il raid vandalico - un furgone dato alle fiamme - subito due notti fa dalla ditta Italcoge di Susa, una delle aziende che lavorano nel cantiere della Maddalena. Forte la condanna dei No Tav: «È stato un atto di chiaro stampo mafioso che non appartiene né alla nostra metodologia né al nostro dna». Secondo i No Tav, ha detto Perino, «è in corso un disegno torbido volto a criminalizzare il movimento». Per sostenere la tesi dell'attentato di stampo mafioso, ha raccontato che «due anni fa la Italcoge aveva l'appalto di lavori sull'autostrada Salerno-Reggio e si era trovata mezzi bruciati dopo aver denunciato la richiesta di pizzo su alcune fatture». Tesi indirettamente confermata dalle preoccupazioni di Pisanu e Cota sul rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nei cantieri Tav.

Da il manifesto del 26 luglio

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