mercoledì 6 luglio 2011

Digos, la difesa: volevano uccidere

Come a Genova «Quelle molotov esposte con la nostra bandiera sono un déjà-vu che ci riporta alle menzogne degli agenti dopo l'assalto alla Diaz» replicano i manifestanti

TORINO - Con gli occhi non si può stare dappertutto. Ma è importante salvare, fotografare. Quando le diverse versioni non combaciano e le distanze diventano siderali, racconti e immagini possono sbrogliare i nodi della matassa. Lunedì erano stati i No Tav a spiegare come si erano svolti i fatti. Ieri, è toccato alla Digos, che sta concentrando le indagini «su circa 300 violenti» protagonisti degli scontri in Val di Susa. «Preciso che non stiamo parlando di appartenenti al movimento No Tav ma di quelli che possiamo definire black block» ha spiegato il capo della Digos di Torino, Giuseppe Petronzi. Una versione che il movimento rigetta totalmente: «Basta con queste leggende». La polizia ha mostrato il materiale che sarebbe stato sequestrato nei boschi di Ramats: estintori, roncole, molotov fatte con bottiglie di birra, maschere antigas, bottigliette con ammoniaca «sostanza che - ha precisato Petronzi - riesce a oltrepassare le protezioni degli agenti». Anche un mortaio artigianale con cui sono stati sparati dei fuochi d'artificio, secondo gli inquirenti ritengono il segnale d'attacco per i violenti nascosti nei boschi.

«Quelle molotov sul tavolo con la bandiera No Tav sono una triste immagine, un déjà-vu che ci riporta indietro di 10 anni, alla conferenza stampa dopo l'assalto alla Diaz» controbatte Francesco Richetto, No Tav: «Non abbiamo visto né bombe né fuochi, abbiamo invece raccolto immagini che testimoniano la violenza delle forze dell'ordine, i lacrimogeni lanciati ad altezza uomo o dal viadotto contro le telecamere di documentaristi. Poi, le pietre contro i manifestanti e la gente gasata dal pericolosissimo Cs (orto-clorobenziliden-malononitrile, ndr)».

«Noi - ha detto, invece, Petronzi - riteniamo di avere operato secondo le regole d'ingaggio, servendoci in maniera appropriata solo del normale materiale in dotazione. Inoltre, non sono stati sparati proiettili di gomma». E a proposito del lancio di oggetti dal viadotto dell'autostrada da parte dei poliziotti (video lo testimoniano) ha replicato che si trattava di «lacrimogeni a mano», gettati per disperdere chi si avvicinava alle recinzioni del cantiere.

La situazione è calda anche nei sindacati di polizia a cui abbiamo provato a chiedere come e se possono essere giustificati, nella gestione della piazza, «spari ad altezza uomo» e il rincorso a gas nocivi. Il Coisp (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia) ha ipotizzato addirittura il tentato omicidio degli agenti: «Volevano ucciderci. Molotov, bombe d'ammoniaca sono armi per ammazzare a differenza dei manganelli». Per il segretario torinese Giuseppe Campisi «le regole d'ingaggio impongono, se la distanza lo permette, che il lancio del lacrimogeno formi una parabola. Ma se manca la distanza le condizioni cambiano, in extrema ratio si può sparare ad altezza uomo. Comunque non mi risulta si siano verificati casi simili».

Sui gas lacrimogeni Cs? «Chiedete al Viminale che ce li dà in dotazione. Non ci risulta, però, siano così nocivi». Poi, aggiunge: «Spira un'aria pesante, qualcuno vuole il morto». La Silp Cgil con il segretario generale Claudio Giardullo condanna «le violenze preordinate» dei manifestanti: «Riteniamo che le forze dell'ordine si siano mantenute complessivamente all'interno delle regole. Per quanto riguarda i lacrimogeni Cs da tempo chiediamo che non vengano usati perché nocivi». Secondo il Sap (Sindacato autonomo di polizia) non sono stati sparati lacrimogeni ad altezza uomo e sui gas Cs il segretario Nicola Tanzi non accetta polemiche: «I mezzi a disposizione delle forze di polizia sono decisi per decreto. Non spetta a noi suggerirne la qualità».

Il dibattito sulla pericolosità del gas Cs ha almeno 10 anni. È messo al bando dalla convenzione mondiale sulle armi chimiche, ma solo in tempo di guerra. Uno dei primi a sollevarlo in polizia fu Gigi Notari, della sinistra Siulp, anche con posizioni scomode: «Ne discutemmo dopo Genova, insieme ai legali del Social forum in seguito alla denuncia di manifestanti che accusavano danni alla vista». Non accetta l'attuale militarizzazione della polizia: «Molto dipende da chi ha la responsabilità della piazza, dai dirigenti. Un ruolo che richiede pazienza e autorevolezza. Brutto segnale che in Italia tutto diventi un problema di polizia».

Da il manifesto del 6 luglio

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