lunedì 7 dicembre 2009

Alla Mahle la solidarietà torna internazionale, con Fiom e Ig Metall

Nuovo viaggio degli operai in Germania, mentre continua il presidio dello stabilimento

TORINO - Domani andranno di nuovo a Stoccarda. Una settimana dopo quell'incontro «della speranza» che si è invece rivelato una delusione, con il loro piano di salvataggio bocciato e pochi margini di trattativa. Gli operai della Mahle Valvole di Volvera non si sono però rassegnati. La multinazionale tedesca, 40mila dipendenti nel mondo, ha deciso di chiudere la loro fabbrica, quasi 100 occupati. Lo ha fatto senza troppe spiegazioni, sebbene il lavoro non manchi e la sede sia considerata efficiente: l'unica nel gruppo in grado di produrre 3.000 tipologie diverse di valvole per motori Mercedes, Iveco e Daimler.

Da oltre 70 giorni «i 94 leoni», come li chiama il delegato Fiom Gaetano Perez, tengono in piedi un presidio fuori dai cancelli, notte e giorno. Continuano a lavorare, ma bloccando il passaggio delle merci. Domani una delegazione sarà in Germania sotto la casa madre. E non sarà sola, insieme ci saranno i sindacalisti tedeschi della Ig Metal. «È un fatto storico», esclama Giorgio Airaudo, segretario provinciale Fiom. «La lotta e la trattativa vanno avanti di pari passo in Italia e in Germania. Si è creata una rete di solidarietà europea tra due culture sindacali diverse che si battono, al di fuori del protezionismo nazionale, per difendere i posti di lavoro». L'alleanza è nata proprio tra gli stampaggi di Volvera, grazie a Caterina, un'operaia che parla il tedesco e ha fatto da interprete.

Le multinazionali fanno spesso così. Dopo aver fatto shopping nelle aziende dell'indotto torinese, con il pretesto della crisi sono fuggite. Vedi Cabind o Sandvik. Hanno deciso altrove e lasciato come messaggeri i dirigenti italiani. Alla Mahle provano a tener duro. Se non salvano il sito, vogliono almeno obbligare i tedeschi a trattare. Nella sala assemblee arrivano Perez e Lino La Mendola (Fiom); di ritorno dal tavolo welfare in Regione, annunciano che l'azienda è disponibile a ricollocare solo 50 persone. Troppo poco e lo si capisce dai brusii dei lavoratori. «Noi - dicono i sindacalisti - non abbandoniamo ancora l'idea di salvare la produzione, magari spostandola a La Loggia (Torino, dove ha sede uno stabilimento Mahle). Ma se non sarà possibile, il piano sociale proposto così com'è è inaccettabile. Anche con i 15 prepensionamenti, rimangono quasi 30 persone a spasso». L'obiettivo minimo è ricollocare i lavoratori negli stabilimenti di La Loggia (350 dipendenti) e Saluzzo (250). Ma saranno gli operai a votare sul «che fare».

Intanto, il presidio non smobilita. Fuori dalla sala, Cristian, 32 anni, racconta che la notizia della chiusura è stata una batosta inaspettata: «Certo, qualche anno fa avevano trasferito alcune commesse in Polonia, ma la fabbrica andava bene. Ci tagliano solo perché costiamo di più». L'intenzione della Mahle è quella di dismettere gli stabilimenti più piccoli e saturare i più grossi. «Un controsenso, siamo sempre stati un'eccellenza», dice Gerardo. Mario ha 43 anni e lavora lì da 15 anni: «La lotta più importante è sui posti». Il gazebo non si smonta e il fantoccio dell'operaio licenziato resta appeso ai cancelli.

Da il manifesto del 7 dicembre

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