mercoledì 3 settembre 2008

Micah P. Hinson - And the Red Empire Orchestra (2008)

Starà anche sulle spalle dei giganti. Su quelle di Cash, Dylan e Waits, ma il piccolo Micah – 27 anni, nato lo stesso giorno in cui Ronald Reagan venne colpito in un attentato (30 marzo 1981) - può già guardare in alto. Nonostante i dolori alla schiena, i tormenti dell’animo e quelli della vita. Ora al terzo disco con la Red Empire Orchestra affina il suo talento, meno rude rispetto all’esordio e più elegante. Ma che non fosse un semplice nano - come tutti noi - lo si capiva dal primo album, per quella voce calda e maledetta, che lo fa sembrare, nel suo corpo gracile e imberbe, molto più vecchio di quello che è.

E non è solo un fatto di corde vocali: in lui cova tutto il germe di una tradizione americana “sad and beautiful”, triste e splendida. Il suo recente passato parla di dark lady che ti strappano il cuore, di notti in cella, di psicofarmaci e di un padre integralista cristiano che non ti vuole più vedere. Di contorno c’è la provincia americana, il Texas e la noia: quei sapori western che emergono nel brano di apertura Come home quickly darlin’, in una bassa fedeltà che pian piano si fa più ariosa, rivelando il registro orchestrale di buona parte dell’album. I colori sono sempre accesi, i sentimenti forti, ma i tratti rimangono sobri ed essenziali. When we embraced, banjo e voce, è la perfezione della semplicità, ma è in I Keep Havin’ These Dreams, con il suo tappeto d’archi, che si rivela il nuovo Micah. Non si dimena più come una volta, ma certo non si risparmia con la voce: come quando questa si spezza, si accende o si fa drammatica in The Fire Came Up To My Knees. Va poi a scoprire i giganti del passato: in We Won’t Have to be Lonesine c’è Dylan, in Throw The Stone ma ancor più nella splendida e finale Dyin’ Alone c’è Cash.

Un po’ di serenità l’ha raggiunta - ad un concerto a Londra ha chiesto la mano alla fidanzata Ashley - ma ancora una volta I’album è nato dal tormento. Dopo l’ultimo tour si trovò a casa con la schiena che scricchiolava e mille incertezze sul futuro. Così la musica si è fatta catarsi, ma senza nulla di paradisiaco: “I’m not afraid of suffering or pain, I’m afraid to die alone” sono le parole finali del ragazzo del Texas, sempre più intenso.

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