domenica 17 maggio 2009

«Combatteremo il G8 con la Clown army»

Parlano di conflitto e consenso, si oppongono al summit. Viaggio nel campeggio dei collettivi universitari torinesi


TORINO - Sulle tende ha piovuto tutta la notte. Sono le dieci e mezza di mattina ma sembra l’alba allo Sherwood Climate Camp, uno dei luoghi del contro G8 universitario. A discutere, far festa o magari il turno di guardia, le ore si fanno piccole e la notte diventa corta. I ragazzi del Cantiere Altro Sviluppo – la nuova sigla che riunisce vari collettivi universitari torinesi e l’Assemblea no Tremonti del Politecnico - si alzano per andare a fare colazione al riparo dall’acqua. Hanno tra i 19 e i 26 anni, più qualcuno fuori quota. Sono studenti o lavoratori precari. Si sentono orfani di una sinistra che non c’è e non riesce a capirli e tutti, per vie differenti, arrivano dall’esperienza dell’Onda. Ma non la mitizzano: ci tengono a precisare che ora siamo in un’altra fase, quella della proposta. Non sono gli stessi che hanno fatto irruzione venerdì al Rettorato, con l´incatenamento simbolico della sua porta, dopo la decisione del rettore Ezio Pellizzetti di chiudere per motivi di sicurezza Palazzo Nuovo (sede delle facoltà umanistiche) nei giorni del Summit. Forse non l’avrebbero fatto, ma certo non condannano l’iniziativa della Rete contro il G8, l’altra anima della protesta, quella che fa riferimento agli autonomi e a Uniriot. Loro hanno, invece, deciso di allestire, sulla riva del Po (giardini Ginzburg, davanti ai Murazzi), un campeggio a «impatto zero»: un modello in contrasto con quella «falsa sostenibilità ambientale» firmata lo scorso anno a Sapporo dalle università del G8, riunite da oggi a martedì a Torino per discutere il contributo degli atenei alla crescita economica e alla difesa del pianeta. «I rettori fanno solo del greenwashing e con un po’ di verde si lavano le coscienze, ma non mettono in discussione il modello di sviluppo, né le disuguaglianze sociali e nemmeno i rapporti economici» dice Andrea Aimar, 23 anni, maglietta bianca e ricci biondi, studente di Scienze politiche. E’ uno degli organizzatori del campeggio e dei dibattiti-workshop che ruotano attorno e si tengono al parco del Valentino. Come gli altri, fa parte della rete di collettivi che col nome di lista Studenti indipendenti è reduce dal successo alle elezioni universitarie: due su tre rappresentanti nel consiglio d'amministrazione. Elezioni che certo crescono di partecipazione, ma riguardano sempre e solo una piccola porzione della popolazione studentesca, il 13%. Tiene Cl, perde l’Udu e l’affermazione di Si è stata letta da molti come una vittoria dell’Onda. O almeno una parte di essa. Perché dall’autunno scorso in poi, il percorso del movimento studentesco non è stato certo senza fratture. Il Cua, il collettivo universitario autonomo, vicino al centro sociale Askatasuna, ha preso la sua strada e gli altri ne hanno imboccata un’altra. Divergenze sulle pratiche e sulla rappresentabilità del movimento. Ma il dialogo tra diversi – sottolineano – continua: «Con la Rete contro il G8 siamo uniti nel contestare il Summit». Però, da subito, il Cantiere ha voluto dare un segnale di discontinuità rispetto alla ritualità di certe mobilitazioni: «Basta con le solite parole d’ordine, tipo “assediamo gli otto”. Noi vogliamo coinvolgere i cittadini e affrontare, partendo dall’Università, la via d’uscita possibile dalla crisi». Quale? Un altro modello di sviluppo. Il mezzo individuato è la decrescita, o meglio – precisano - l’altra economia.

Parlano di conflitto e consenso, di nonviolenza come coerenza tra mezzi e fini e di democrazia diretta. E azzardano la formula «rivoluzione democratica». Temi che riecheggiano Genova e i Social forum. Ma la maggior parte di loro nel 2001 non c’era. Causa motivi anagrafici. Eppure c’è chi come Alice che di anni ne aveva 13 e al corteo no-global andò insieme al papà. Quel periodo può essere allora uno spunto da rilanciare, nulla di più. «Sono cambiate le condizioni – interviene Andrea Polacchi, 26 anni - la crisi non è solo economica ma di valori. Il movimento oltre al compito del conflitto ha pure quello di cercare di cambiare realmente lo stato delle cose. Anche nell’Assemblea universitaria dovremmo noi dettare un’agenda, non la Gelmini». Come Cantiere hanno da poco lanciato il Laboratorio Corsaro e sono in cerca di uno spazio. Lo scopo è andare fuori dal recinto universitario: «Rompere il muro tra formazione e mondo e cercare un confronto con la società» spiega Francesco, 24 anni, studente di Chimica. Al centro di molte argomentazioni, l’ambiente e la critica allo sviluppismo. Si parte da un assunto: «Il sistema capitalista basato sullo sfruttamento delle risorse, del lavoro umano e dell'ambiente non è più sostenibile». Diventa allora indispensabile ribellarsi alla «dittatura» dell'economico. La crisi può essere, infatti, letta come un'opportunità per costruire un mondo fondato sul buon vivere e su economie locali che valorizzino il territorio e l'ambiente. Se ne parlerà questa mattina al Forum Altrosviluppo (Parco del Valentino) con Marco Revelli, Maurizio Pallante e Guido Viale. Per il Cantiere dovrebbero aumentare le opportunità di lavoro nel riutilizzo e nel riciclaggio dei materiali, nelle ristrutturazioni finalizzate all'efficienza e al risparmio, nella diversificazione e nella diffusione su piccola scala della produzione energetica, nelle produzioni sostenibili basate su meccanismi solidali. Parole che possono sembrare astratte in una Torino, simbolo della crisi, in piena cassa integrazione. Ma a dire il vero sono stati gli stessi operai di Mirafiori a lanciare il primo gruppo d’acquisto in una fabbrica. «Bisogna rompere l’antitesi tra difesa dell’ambiente e dell’occupazione. Non sono in contraddizione» aggiunge Andrea Aimar. Dalla teoria alla prassi, quindi. Michele cerca di ridurre gli sprechi lavorando in una cooperativa che porta direttamente a casa del consumatore frutta e verdura. Fulvio ed Elisa, studenti di Agraria si occupano, invece, della raccolta differenziata nel campeggio.

Oggi sarà anche il giorno della Marcia nazionale della degna rabbia, prevista nel pomeriggio. Il motto per Filippo, 19 anni di Lingue è «sperimentare, uscire dalla sceneggiatura». Ecco perché lanceranno la Clown army: «Al posto dei cordoni agguerriti – racconta - ci sarà un’armata di clown e un ariete di gomma piuma. L’obiettivo è irridere l’assurdità di chi ci oppone 150 poliziotti, con lo spreco di risorse che questo comporta». Martedì sarà invece la volta della manifestazione nazionale promossa dalla Rete contro il G8 e da Uniriot. Il Cantiere ci andrà con il proprio spezzone. Eventi separati, ma tra le due anime della protesta le relazioni, talvolta complicate, non si sono mai interrotte, anche se nessuno nasconde le distanze nel merito. Come sulla rappresentanza universitaria. «Si era detto – spiega Helios, 23 anni di Fisica, neo-eletto nel consiglio di amministrazione - che il movimento era irrappresentabile, ma il problema di fondo è che l’Onda è stata incapace di autorappresentarsi. Il concetto di delega è giusto se dietro c’è una partecipazione attiva e costante nelle assemblee. Dando un valore reale e non formale alle istituzioni democratiche». E se altri la pensano in modo diverso? «Per noi, con tutti i limiti, rimangono utili. Sono uno strumento non un fine» taglia corto Elisa.

Leggono Pasolini, Latouche e Wu Ming. Citano Zapata, Gramsci e Gandhi. Non credono in un’idea messianica dell’avvenire e guardano con apprensione e delusione alla frammentazione della sinistra, quella un tempo detta «storica» ora extra-parlamentare. Non piace per nulla «l’involuzione identitaria» di Rifondazione, ma allo stesso tempo viene ritenuto «nato morto» il progetto di Sinistra e libertà, seppur la figura di Nichi Vendola riscontri ancora un notevole consenso. Di Pietro e Pd, invece, non vengono nemmeno presi in considerazione. Per Helios, durante la mobilitazione, si è sentito il peso dell’assenza di una struttura di sinistra con cui interloquire: «Ormai è paralizzata da faide interne e autoreferenzialità. I dirigenti dovrebbero prenderne atto e ritirarsi». C’è un vuoto che sentono e che tentano di colmare con la loro esperienza di movimento. «E’ necessario un processo costituente della sinistra dal basso, che parta da nodi territoriali» dicono in coro. Per le Europee spira aria di sconfitta. Qualcuno fa suo l’appello di Gabriele Polo di «saltare un giro». Ma molti non ci stanno. A votare ci vogliono andare comunque: «Da anni – conclude Diego, lavoratore e militante - mi sento chiuso in una morsa, da una parte le logiche contro degli autonomi e dall’altra il moderatismo del Pd. E anche se posso ritenere giusto le motivazioni del non voto, trovo insopportabile che la sinistra perda una rappresentanza europea».

Da il manifesto del 17 maggio

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