TORINO - Sui primi striscioni spuntano i nomi dell’Indesit, dell’Olimpias, della Zegna Baruffa e della De Agostini. Tutte le aziende coinvolte dall’ultimo ciclone della crisi, che in Piemonte non allenta la morsa. Poi ci sono quelle che con i remi in barca ci stanno da parecchio, vedi Bertone, Michelin, Pininfarina e Fiat Mirafiori. Ma attraversando il corteo Cgil, si percepisce un malessere ancora più diffuso, che va oltre all’insicurezza del posto di lavoro e parla del recente assalto al diritto di sciopero e pure di xenofobia (nel pomeriggio in scena anche la Rete migranti contro il pacchetto sicurezza).
Settentamila, per il sindacato, sono scesi ieri mattina in piazza per dire che contro la crisi una soluzione c’è: «lavoro e contratti». Un lungo serpentone, da piazza Vittorio a piazza Castello, ha fatto sentire meno sola la Cgil, compressa da un fuoco incrociato: da una parte, governo e Confindustria, dall’altra, Cisl e Uil con cui la spaccatura è ormai profonda. Avrebbe sperato in una loro presenza Agostino Megale della segreteria nazionale Cgil, che ha concluso la manifestazione. «Ma, ormai, stanno assecondando il disegno del governo» ha aggiunto il segretario regionale Vincenzo Scudiere. Non c’erano – per dirla ufficialmente - perché consideravano questa iniziativa «a difesa del vecchio e troppo connotata politicamente». Tanto da far rispondere a Giorgio Airaudo, segretario provinciale Fiom, che «è un problema loro se non sono qua, mentre dovrebbero ascoltare di più gli operai».
La Cgil ha marciato per difendere il lavoro, visto che fioccano gli annunci di chiusura degli stabilimenti. Prima l’Indesit di None (600 dipendenti), poi l’Olimpias (gruppo Benetton) di Piobesi (altri 150), entrambe le aziende vogliono smantellare la produzione in loco. «Ci sacrificano – spiega Gianni, rsu di quest’ultima - per rafforzare l’attività a Vicenza e quella di un nuovo sito in Tunisia. Abbiamo trovato la porta sbarrata a qualsiasi trattativa. Il 10 marzo avremo un altro incontro, se non ci saranno margini per impedire la serrata, chiediamo due anni di cassa e buonuscita, più mobilità e prepensionamento». Il Piemonte è una delle regioni più colpite dalla crisi: sono oltre 200 mila i lavoratori coinvolti, «lo stesso numero di posti di lavoro persi tra il 1980 e il 1990» precisa Scudiere. A fine gennaio, per citare un dato significativo, le ore di cassa integrazione ordinaria erano quasi 4 milioni, con un incremento del 599% rispetto al gennaio 2008, mentre quella di cig straordinaria ammontavano a oltre 2 milioni, con una crescita del 196,4%. Senza dimenticare i 28 mila lavoratori in mobilità (40% donne).
Fiati e grancasse della Bandakadabra hanno vivacizzato la testa del corteo, dove troviamo Pino, impiegato Utet (gruppo De Agostini), casa editrice che ha comunicato 56 esuberi su 94 dipendenti. «Chiediamo di ridiscuterli e ridimensionarli a 30 prepensionamenti». Poco più là, Ahmed attacca allo striscione del Coordinamento migranti di Pinerolo il modulo per il rinnovo del permesso di soggiorno. Arriva dal Marocco, è in Italia da vent’anni e fa il delegato Filcem: «Ai 72 euro che già paghiamo dall’inizio del 2006, vogliono aggiungerci ulteriori tasse, per non contare i ritardi a ogni rinnovo. L’aria è cambiata, si sono inaspriti i sentimenti razzisti, fomentati da una politica sbagliata». Compare poi lo spezzone delle «metalmeccaniche». Nina Leone è operaia alle Carrozzerie di Mirafiori: «E’ in atto un attacco alle donne, che più subiscono il precariato. L’unica parità che ci offrono è quella dell’età, mentre noi vogliamo quella salariale».
Si incontrano alcuni politici (Paolo Ferrero e Cesare Damiano), mancano però gli studenti dell’Onda che lo scorso dicembre erano invece scesi in piazza con la Cgil. Nelle ultime file, tre pensionati dello Spi portano al collo un cartello «no ronde». A Pierluigi, ricordano le squadre nere del ventennio che aveva visto da bambino e senza mezze misure dice: «Stiamo tornando un paese fascista». Uno degli argomenti caldi è la rottura sindacale. Per Michele, operaio Michelin: «Bisognava tagliare i ponti con Cisl e Uil ai tempi dell’articolo 18, l’unità ha portato solo danni». Infine, Megale è intervenuto sul ddl del governo a proposito del diritto di sciopero nei trasporti: «Ci opporremo. Come Cgil siamo sempre stati contro gli scioperi corporativi, ma questo non può voler dire procedere d'autorità modificando il diritto di sciopero».
Da il manifesto del 1 marzo
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