TORINO - «Sembrava un’onda anomala. Le fiamme si alzarono per qualche metro, per poi ricadere più in basso. E come una grossa mano, travolsero i miei compagni, che erano là davanti. Il rumore dell’esplosione era stato sordo, simile a quello di una caldaia a gas quando accendi l’acqua calda». Antonio Boccuzzi ora fa il parlamentare del Pd, ma quella notte alla Thyssen la tragedia se la vide tutta davanti agli occhi. Lui, unico sopravvissuto della linea 5 e primo soccorritore, fece il possibile. Per poi sentirsi impotente di fronte al fuoco e agli estintori che non funzionavano. Ieri, è stato il suo turno – come testimone - al processo in Corte d’Assise, che per la seconda volta ha visto presenti in aula due dei sei imputati: i manager Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, su cui pende l’accusa di omicidio con colpa cosciente.
Settima udienza, quindi, con un inizio stentato – caratterizzato da una lunga serie di obiezioni formali dell’avvocato della difesa Ezio Audisio nei confronti del consulente dell'accusa Diego Cavallero (chiamato a revisionare le traduzioni dei documenti) -, una coda più tesa e una parte centrale di nuovo drammatica, che ha fatto rivivere l’ora della strage. Boccuzzi, lucido nel rispondere alle domande del pm Laura Longo, ha raccontato come all’inizio l’incendio «fosse piccolo» e non destasse preoccupazioni. Certo, c’era quel maledetto estintore vuoto: un pessimo presagio. «Andai con Santino e Laurino a recuperare una manichetta. La collegai a un innesto e controllai che l'acqua uscisse. Poi tirai su la testa per vedere se veramente usciva dalla lancia che teneva in mano Scola». Vide l’inferno dell’esplosione: «Sentivo le urla dei miei colleghi provenire dalle fiamme ma non riuscivo a scorgerli, il caldo era insopportabile e il mio orecchio destro si stava sciogliendo. Provai a comporre il 9 per avvertire le guardie ma il telefono non funzionava». A un certo punto, Scola uscì dal fuoco, che ancora lo avvolgeva: «Lo chiamavo perché sentisse che ero lì, lui urlava e dopo si accasciò». Dal rogo spuntò anche Laurino: «Era bianchissimo, come se fosse stato bollito». Come altri testimoni, Boccuzzi ha parlato dello stato di degrado in cui viveva lo stabilimento dopo l'annuncio della chiusura (carenza nelle pulizie e un'emorragia di alte professionalità nella manutenzione). Le avvisaglie c’erano state ben prima di quel giorno del giugno 2007 in cui l’ad Harald Espenhahn comunicò la serrata. «Ce lo disse in italiano e lo parlava molto bene», ha precisato l’ex operaio.
La presidente Iannibelli ha poi sospeso la seduta per una pausa. Nell'intervallo, uno dei legali di parte civile, Sergio Bonetto, ha avuto un malore per cui la seduta è stata rinviata a giovedì. Al ritorno in aula, l’avvocato Audisio ha denunciato un episodio avvenuto appena prima. Uno degli imputati, Salerno, è stato insultato da un parente delle vittime mentre raggiungeva il bar. «E’ intollerabile – ha affermato il legale - che ci si debba difendere in un clima di intimidazione». Il ragazzo si è subito scusato. I familiari vorrebbero, infine, che «qualche rappresentante dello Stato partecipasse alle udienze, perché la difesa sta rallentando il regolare svolgimento del processo».
Processo Thyssen, settima udienza
Da il manifesto del 4 marzo
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