Un ex capoturno si contraddice in aula. E i pm indagheranno per capire se ha ricevuto qualche «favore» dall'azienda
Silenzi, contraddizioni e pure un lapsus in aula. Alla domanda della pm Francesca Traverso se si fosse tenuto in contatto con qualcuno degli imputati, Giuseppe Caravelli, ex capoturno della manutenzione, ha prima risposto «sì» e subito dopo «no», precisando che non ha più rapporti con i sei dirigenti. Sull'attendibilità della sua testimonianza, la pubblica accusa nutre diversi dubbi: nella scorsa udienza le sue dichiarazioni erano apparse in netto contrasto rispetto a quelle rilasciate durante le indagini. Aveva sostenuto, per esempio, che la manutenzione programmata continuava ad essere fatta anche dopo l'annuncio di chiusura. Contrariamente a ciò che avevano detto gli operai testimoni e a quello che lui stesso riferì nel febbraio del 2008. Ecco perché la pubblica accusa ha voluto riascoltarlo.
Ieri mattina, nella decima udienza del processo Thyssen, la pm Traverso ha esordito mostrandogli la riproduzione del verbale che aveva firmato un anno fa. L'interrogatorio non ha, però, sciolto i dubbi: né sui guasti ai flessibili (uno degli apparecchi che causò la vampata), né sulle ispezioni di sicurezza eseguite nell'ultimo periodo. Il teste, che la volta scorsa aveva detto di averne fatte una o due di ispezioni, ieri ha risposto di averne fatta forse una con il nuovo responsabile «o almeno - ha poi puntualizzato - ci eravamo parlati». Il suo esame è comunque durato meno del previsto, perché gli avvocati della difesa hanno dato consenso ad acquisire i verbali delle deposizioni. Quasi sorprendendo la presidente della Corte d'Assise, Maria Iannibelli, che rivolgendosi ai legali ha sottolineato: «Naturalmente siete consapevoli del fatto che così hanno valenza probatoria».
Una versione in contrasto, dunque, in una seduta tesa, interrotta pure da un allarme antincendio, scattato per sbaglio nei corridoi del Palagiustizia. Ma Caravelli, licenziatosi qualche settimana prima del rogo, non è stato il solo che si è discostato dalle precedenti dichiarazioni. Seppur in modo meno palese e più titubante, anche Roberto Chiarolla, l'ultimo dei quattro capiturno manutenzione a dimettersi, non ha confermato tutte le deposizioni: «Non è vero - ha detto questo volta - che i lavoratori venivano sempre avvertiti prima della visita di ispettori Asl». Le parole dei capiturno - soprattutto quelle di Caravelli - invece di chiarire il quadro sulle condizioni di sicurezza nello stabilimento hanno destato le perplessità dei pm, lasciando irrisolti parecchi interrogativi. I magistrati intendono verificare se alcuni lavoratori, dopo aver lasciato la Thyssen, si siano impiegati in aziende in qualche modo collegate.
È toccato a Rocco Morano, addetto alla linea 5, ricostruire le condizioni dell'impianto che prese fuoco: «Aveva 15 anni e cadeva a pezzi, mentre in una delle sedi Thyssen in Germania lavorai su uno che ne aveva 50 e sembrava nuovo». Ha poi spiegato alla Corte che gli incendi erano frequenti e gli operai dovevano intervenire subito, senza chiamare i vigili del fuoco, per evitare noie con l'assicurazione. Una volta fu pure rimproverato dal direttore Salerno (imputato), perché nello spegnere le fiamme non riuscì a evitare danni. L'avvocato difensore Ezio Audisio ha, infine, evidenziato un giallo che Morano non ha potuto risolvere. «Quando me ne andai - ha riferito l'operaio - la linea 5 era ferma per un guasto a una fotocellula. Erano le ventidue». Il legale ha fatto invece notare che secondo i computer interni lo stop durò dalle 20.06 alle 21.39. Il 25 marzo un filmato digitale di quattro minuti, realizzato da due consulenti della procura, ricostruirà in aula le fasi più drammatiche di quella notte maledetta.
Processo Thyssen, decima udienza
Da il manifesto del 18 marzo
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