TORINO - «Il nostro sospetto è che presto ci lasceranno tutti a casa. Chissà con quale scusa, magari quella solita della crisi». A parlare, sono i lavoratori precari della sede torinese di Comdata, azienda di call center con 5800 dipendenti sparsi per l’Italia, di cui 500, quasi metà a tempo determinato, dislocati sotto la Mole. «La verità è che da qui se ne vogliono andare». Ipotesi eccessiva dice, però, il sindacato. Un mese fa i precari si sono organizzati e si sono dati un nome: Determinati. E ora, lanciano un allarme: «Molti dei 150 contratti in scadenza tra il 15 maggio e il 31 agosto rischiano di non essere rinnovati, in barba all’accordo interno del 2007, che prevede un “percorso di stabilizzazione” per coloro che hanno superato i 18 mesi di contratti a termine o di somministrazione». Finora, i rinnovi sono stati a singhiozzo: alcuni confermati, altri no.
Davanti alle telecamere delle conferenza stampa che hanno convocato, parlano solo due del gruppo, gli unici a tempo indeterminato, Vincenzo Graziano e Luca Gabriele. Gli altri preferiscono non farsi riprendere: «Le nostre sorti – dicono - sono legate a un filo». L’azienda li taglierebbe perché le commesse sono in calo, la più importante di queste è quella per l’Eni e occupa 350 addetti; poi ci sono quelle per Telecom e Compass. «Il vero motivo – spiega Graziano - è che Comdata vuole diversificare gli investimenti in qualche settore più redditizio e con costi del lavoro più bassi, preferibilmente all’estero. Come la commessa Compass, che andrà in Romania». Cosa chiedono i precari all’azienda? «Salvaguardia dei posti, trasparenza e controllo sui contributi pubblici che, nel caso di trasferimento di sedi all'estero, siano restituiti e vadano a costituire un fondo per i lavoratori espulsi».
Tra i Determinati l’età media è 30 anni, perché nei call center non ci sono più solo ragazzini come spesso si pensa. C’è chi lavora in Comdata da un anno e mezzo e chi da quasi tre. «Rispetto a quello che stabilivano gli accordi del 2007, i precari sono ancora troppi: al primo anno si doveva raggiungere la percentuale del 60 a 40 fra indeterminati e determinati e nei successivi di 80 a 20». Denunciano un ambiente di lavoro fatiscente: «Nei filtri dei condizionatori – spiega una ragazza - abbiamo scoperto i funghi». Con le rappresentanze sindacali le relazioni sono difficili: «I confederali – sostengono - sono operativamente inesistenti». Solo con la Cub, a cui Graziano è iscritto, dialogano. «Porta avanti la mia vertenza» interviene Gianfranco, lasciato a casa a fine 2008.
Come risponde la Cgil? «Capisco le preoccupazioni dei lavoratori – spiega Renato Rabellino, segretario regionale Slc - e non nego problemi di comunicazione, anche se preferirei non prevalessero toni catastrofistici: Comdata, da Torino, non va via. Però, tra noi, bisogna riannodare i fili del discorso. Ai Determinati ho scritto ma non ho ricevuto risposta, ho chiesto di comunicarmi irregolarità e situazioni a rischio. Perché, per esempio, giorni fa siamo intervenuti per far riassumere oltre una ventina di lavoratori che non erano stati rinnovati seppur avessero un'anzianità superiore ai 18 mesi. Abbiamo subito informato Comdata che se non avesse rispettato gli accordi sarebbero state rotte le relazioni sindacali e partite le vertenze». Intanto, l’ansia sui rinnovi continua e la mobilitazione dei precari pure.
Da il manifesto del 2 luglio
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