TORINO - Quelli che si sono costituiti parte civile non hanno trovato lavoro. Gli altri, invece, sono stati ricollocati. E così, in trenta sono ancora a casa, in cassa integrazione e senza prospettive per il futuro. Succede a Torino, a margine del processo Thyssen. A denunciare la discriminazione sono un gruppo di ex operai dell’acciaieria bruciata il 6 dicembre 2007, guarda un po’, tutti costituitisi parte civile. Nonostante ci fosse un accordo tra sindacati, istituzioni e azienda, che prevedeva con la chiusura del sito la ricollocazione di tutti i lavoratori.
Muniti di pettorina arancione e scopa di saggina, come un qualsiasi operaio dell’Amiat (l’ex municipalizzata che si occupa di raccolta e smaltimento rifiuti, dove diversi loro colleghi sono stati assunti), i trenta hanno organizzato un presidio davanti al Tribunale. «Abbiamo subito un trattamento di sfavore – ha detto Ciro Argentino di Legami d’acciaio, uno degli esclusi - rispetto a quei lavoratori ricollocati direttamente dalla Thyssen e dall'Unione industriale in diverse aziende del territorio e in ex municipalizzate, in particolare l'Amiat, senza che si sia tenuto conto di una teorica lista di priorità (età, monoreddito, familiari a carico), creando così discriminazione tra i lavoratori stessi a cui veniva dato un lavoro solo in funzione del fatto che non si costituivano».
Dito puntato contro il Comune, dove il presidio si è spostato: i lavoratori ritengono che, anche se si sia costituito parte civile, abbia mantenuto un atteggiamento ambiguo. «Per quanto riguarda le assunzioni all’Amiat, ha favorito le indicazioni dell'azienda e pure quelle della Uilm. Da tempo, chiediamo udienza all'assessore al Lavoro, il vicesindaco Dealessandri, ma non ci ha mai ricevuto». Infine, una notizia dal processo. Harald Espenhahn, amministratore delegato e principale accusato, ha deciso di farsi vivo: dopo l’estate, si presenterà al dibattimento. Lo ha annunciato il suo legale, Ezio Audisio.
Da il manifesto del 4 luglio
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