giovedì 7 maggio 2009

Moschea antonelliana

Dopo l'attacco della Lega e le polemiche interne alla comunità musulmana, arriva una parziale tregua sul centro islamico. Ma gli equilibri restano fragili


TORINO - La tempesta sembra passata, ma meglio non abbassare la guardia. L'eco dei cori padani - sotto la sede del Comune - contro la nuova moschea, quella che secondo il popolo delle camicie verdi porterebbe spaccio e terrorismo, è ancora vivo e le ferite, in seno alla comunità musulmana, sono latenti. In un condominio a due passi da Porta Palazzo, Abdel Aziz Khounati percorre lo stretto marciapiede che costeggia il cortile del suo centro islamico, la Moschea della pace. Ti accoglie con un sorriso e non sventola nessuna palandrana come nelle più barocche descrizioni dell'europarlamentare della Lega Nord, Mario Borghezio. Si ferma fuori dalla porta: «Qui davanti - dice - il venerdì è tutto pieno per la preghiera, perché all'interno non riusciamo a starci. Cento metri quadrati per mille persone sono troppo pochi. Il problema principale dei luoghi di culto torinesi è, infatti, la condizione in cui si trovano; spesso sono ricavati in magazzini o garage». Se tutto andrà come dovrebbe, a novembre, dopo un lungo iter che ha rispettato ogni norma vigente, si trasferirà nel più ampio e decoroso stabile di via Urbino, in Borgo Aurora. E conosciuta la notizia, sulla Padania hanno incominciato ad agitare lo spettro di un minareto tanto alto da oscurare la Mole Antonelliana.

«Una sala preghiera, una biblioteca, un centro culturale per il dialogo interreligioso e anche un luogo per feste e riunioni, aperto a tutta la cittadinanza» spiega l'imam Khounati illustrando il nuovo progetto. Sarebbe così la quarta moschea formalizzata in Italia dopo quelle di Roma, Milano e Palermo. I nuovi locali, in tutto 1200 metri quadrati (attualmente c'è un magazzino di arredi orientali), sono stati acquistati grazie al finanziamento del governo marocchino: un miliardo e duecento milioni di euro dal ministero per gli Affari religiosi. Tutto alla luce del sole, perché la Moschea della pace si è costituita come Onlus e quindi i bilanci sono pubblici. Ma è stata la scintilla che ha riportato sulle barricate la Lega Nord, sollecitata prima dalla denuncia preventiva alla polizia di Souad Sbai, parlamentare del Pdl di origine marocchina, a proposito della ambigua raccolta fondi delle moschee torinesi, e poi dal pungolo del poeta Mohammed Lamsuni, detto il «professore», già comunista ora islamico laico moderato, che vorrebbe «una moschea libera e indipendente, non guidata da Rabat o imam fai da te» e ha lanciato il sospetto - presto smentito - che ci fossero fondi pubblici anche dagli enti locali (Regione, Provincia, Comune). E, allora, è andato a bussare alla porta di Borghezio. Un assist perfetto: quest'ultimo non c'ha pensato due volte e ha convocato d'urgenza una conferenza stampa per lanciare l'allarme su «quanto possa nascondersi dietro ad apparenti finanziamenti innocenti». Sottolineando poi: «Non hanno soltanto finalità religiose, ma spesso sono strumento di riciclaggio e di attività terroristiche». Al seguito del fronte anti-moschea, anche i mai domi Comitati spontanei di Carlo Verra, smaccatamente destrorsi. La bagarre si è poi spostata in Consiglio comunale il 27 aprile, dove il Carroccio ha chiesto un referendum contro la moschea, bollato dal sindaco Sergio Chiamparino come incostituzionale.

«Il percorso che si sta facendo a Torino - precisa Ilda Curti, assessore alle Politiche per l'integrazione - è volto a dare piena cittadinanza a una minoranza religiosa (la prima numericamente in Italia) in un paese in cui la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. Principio, che non mi pare sia stato abolito per decreto, ancora». Sono 23 mila gli abitanti di origine marocchina residenti in città, 30 mila i potenziali fedeli musulmani. La Moschea della pace, uno dei nove centri islamici, oltre ad essere un punto di riferimento della comunità marocchina è stata negli anni luogo d'incontro per iniziative di dialogo con altre realtà laiche e religiose. Lo stesso Khounati, tra l'altro membro del Comitato Interfedi Olimpico, ha sempre condannato ogni forma di violenza e terrorismo e l'Umi l'Unione Musulmani in Italia (da non confondere con l'Unione dei Musulmani d'Italia di Adel Smith) ha marcato più volte le distanze dalla più fondamentalista Ucoii cercando una migliore integrazione. Khonuati, studi scientifici, un buon italiano e 20 anni di vita torinese, preme molto sul cammino trasparente che hanno intrapreso per essere formalizzati: «Chi lo rifiuta vuole che l'islam continui a restare nascosto, nei garage e nelle cantine». Già nella richiesta di parere urbanistico avevano specificato la destinazione, «luogo di culto», senza mascherarlo da associazione culturale. Dal fronte anti-moschea dicono che la preghiera dovrebbe essere in italiano. «La facciamo da tempo, in doppia lingua arabo e italiano». Mustafa Kobba ex membro Consulta stranieri, insieme a Lamsuni nella famosa conferenza, ha chiesto che gli imam si formino in Italia, sostenendo che quelli «fai da te» siano pericolosi: «Siamo d'accordo - afferma Khounati - in collaborazione con la Coreis (Comunità religiosa islamica) e alcuni docenti universitari, l'Umi ha organizzato già due seminari per responsabili moschee. Il terzo sarà a giugno». Nello statuto della loro onlus si specifica come l'imam oltre ad essere eletto da un consiglio direttivo debba essere persona di profonda conoscenza della religione musulmana e della società e cultura italiana.

Ma allora la comunità musulmana è veramente spaccata? «Io vengo da Porta Palazzo - dice Ilda Curti - ed è una situazione che conosco bene. E' un mondo complicato e difficile, non parla all'unisono, ma le diversità sono fondamentalmente politiche. Quelli che oggi si autoproclamano rappresentanti e islamici moderati, dieci anni fa erano in prima fila accanto alla parte più intransigente dell'islam torinese nell'avversare l'apertura del centro italo-arabo Dar Al Hikma, promosso da intellettuali laici italiani e medio orientali». L'onorevole Sbai ha, inoltre, denunciato - citando la lettera di un giovane musulmano - gli appelli alla Jihad e gli insulti al Papa nelle moschee torinesi. I centri, che qualcuno aveva visto in subbuglio dopo le polemiche, hanno fatto invece muro comune contro le accuse, rigettando le strumentalizzazioni e invitando le persone che «la sparano grossa» a venirli a conoscere. Khounati, intanto, immagina la sua moschea come luogo «in armonia con la città» di cui tutti possano beneficiare: «Vogliamo un islam italiano, noi ci sentiamo torinesi e non cerchiamo un ghetto. I nostri figli vanno nelle scuole pubbliche e auspichiamo un'intesa con lo Stato italiano, come le altre fedi religiose». Del progetto, il poeta Lamsuni ne contesta però la forte identità marocchina e poco transazionale. Lo difende, invece, l'assessore Curti: «Nessuno ha mai pensato che dovesse rappresentare tutti. E' un pezzo di comunità che ha intrapreso un cammino di trasparenza e di interlocuzione con le istituzioni».

Il capitolo più contestato è quello dei finanziamenti ricevuti dallo stato marocchino. «L'Italia non finanzia luoghi di culto, allora ci siamo rivolti al ministero marocchino. Non è stata una donazione a scatola chiusa, bensì un iter lungo». Sull'argomento è intervenuto anche il sociologo Renzo Guolo sottolineando come ciò sia la logica conseguenza delle nostre scelte politiche: «Oggi per gli immigrati non esistono percorsi di cittadinanza, di italianizzazione, ed è dunque normale che nascano moschee per stranieri che in qualche modo si sentono vincolati non tanto dallo Stato dove vivono ma da quello dal quale provengono». Per Ilda Curti: «Il finanziamento risponde al nuovo corso del Marocco, è rivolto ai i marocchini della diaspora in Europa, non tanto in modo diverso da come sia successo per altri paesi di grande emigrazione. Il ministro con delega per i connazionali all'estero, Mohammed Amer, è venuto in visita a Torino, Roma e Milano. Ha sottolineato come il Marocco stia cambiando, a volte all'insaputa degli immigrati. Si sta riformando e modernizzando. Chi spesso è partito alla volta di Spagna e Italia veniva da zone rurali, più povere, con meno strumenti culturali. Se non lo si accompagna ad avere un rapporto sano con le istituzioni diventa un soggetto a rischio, un humus per predicatori "fai da te"». Ora la maggioranza di Chiamparino si trova a gestire una nuova crisi, sorta dopo la discussa fusione tra la super municipalizzata ligure-piemontese Iride e l'emiliana Enìa, che ha visto il voto contrario della sinistra (Sd, Prc, Idv) perché considerano l'accordo un primo passo verso la privatizzazione dell'acqua, un bene comune inalienabile.

E il frastuono sulla moschea sembra essersi allentato. Forse, è il miglior momento per conoscere una realtà diffusa e ampia che abita una Torino fortunatamente multietnica.

Da il manifesto del 7 maggio

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