Dentro il corteo, fabbrica per fabbrica
TORINO - Alla Sevel in Val di Sangro hanno fatto fuori tutti i precari, 1.400. A Pomigliano stanno finendo la cassa ordinaria e tremano per le sorti dello stabilimento. Si sono fatti dieci ore di treno per manifestare nella città della Fiat e non vogliono essere l'agnello sacrificale dell'alleanza con Opel. E a Mirafiori non stanno certo meglio. Non si sentono dei privilegiati, anzi sono preoccupati per il loro futuro. Reclamano un piano industriale che non c'è. Salvo la Alfa Romeo Mito, si continua a lavorare su modelli con ormai una certa età, come la vecchia Punto, pronta a trasferirsi a settembre in Serbia. E tanti saluti. Tutti indistintamente lamentano l'assenza di un'informazione interna: «Marchionne si fa bello in giro per il mondo, ma a noi non dice nulla, non ci accontentiamo di un gelido comunicato». L'annuncio della disponibilità a un incontro con le parti sociali dell'amministratore delegato Sergio Marchionne non basta: «Vogliono che gli stabilimenti italiani restino aperti e siano salvati tutti i lavoratori». Per dirlo hanno preso i mezzi pubblici, la macchina o le gambe e sono giunti dal Piemonte come da tutta Italia, dal Lazio alla Basilicata, dalla Toscana alla Lombardia, passando per la Campania e la Sicilia. In 15 mila, dalla porta cinque di Mirafiori fino al Lingotto, hanno sfilato per dire che «da nord a sud la Fiat cresce solo con noi».
I lavoratori dell'Alfa di Pomigliano d'Arco - dove si producono la 147 e la 159 - sono stati i primi ad arrivare ieri mattina. Hanno viaggiato tutta la notte, ma la stanchezza l'hanno conservata per il ritorno a casa. Nei quasi tre chilometri di percorso hanno sprecato tutto il fiato in corpo per urlare che «Pomigliano non si tocca». Mario Di Costanzo è rsu Fiom: «Al ritmo di tre settimane al mese, a novembre ci finirà la cassa ordinaria e saremo più esposti ai licenziamenti. Berlusconi ci ha promesso che la cassa l'avrebbe raddoppiata, ma per ora sono solo chiacchiere». Ma ciò che più preoccupa è la chiusura: «Ci è arrivato un fax dal sindacato tedesco Ig Metall in cui, in vista dell'alleanza con l'Opel, si preannuncia la nostra chiusura entro il 2012». Lo stesso tormento ce l'hanno gli operai di Termini Imerese: «Dovevamo lavorare sulla nuova Ypsilon, ma è stato tutto bloccato» dice Vincenzo Comella, Uilm.
Scorrono gli spezzoni. Il passo non è stanco. Fischietti, bandiere, slogan: i principali bersagli sono il premier Berlusconi e Marchionne, su cui tanti avevano investito speranze e ora si sentano quasi traditi. Quasi, perché non è giudizio di condanna, un'ultima chance gliela danno: «Faccia vedere che è un buon manager e non un politico prestigiatore». Proprio dalla provincia di Chieti, città natale dell'amministratore delegato, arrivano gli operai della Sevel, joint-venture fra la Fiat e il gruppo Psa (Citroen e Peugeot). Temono che l'alleanza con Opel - che inquieta un po' tutti - faccia saltare gli accordi su cui si fonda la loro azienda. Raccontano poi di una situazione difficile, precipitata in pochi mesi: «Fino allo scorso agosto si parlava di nuove assunzioni e investimenti, di 300 mila furgoni all'anno» spiega Donatello Di Loreto. «Invece - aggiunge il segretario regionale della Fiom Nicola Di Matteo - a partire da novembre hanno prima lasciato a casa i precari e poi da dicembre è iniziata la cassa per gli altri, ma i ritmi di lavoro, anche sotto organico, sono rimasti gli stessi». Infine, accusano la Fim di non raccontarla giusta «C'è chi mette in giro strane voci - spiega un ex lavoratore Sevel, precario per 35 mesi - dicono che tutti torneremo a settembre, ci speriamo ma purtroppo non è così. Ci illudono e allo stesso tempo ci negano il diritto alla protesta». Un gruppo della Wcl, tutti Slai Cobas accusano, inoltre, Fiat e sindacati confederali di averli «deportati da Pomigliano a un reparto di confine».
Tra i torinesi il gruppo più numeroso è quello delle Carrozzerie Mirafiori. Seppure Marchionne li avesse rassicurati dai tagli perché vicini al cervello pensante, non dormono sonni tranquilli e non si sentono nemmeno privilegiati. «Il ridimensionamento lo rischiamo pure noi - afferma Ugo Bolognesi, Fiom - da mesi chiediamo un piano industriale ma non otteniamo risposta: i modelli su cui lavoriamo sono ormai vecchi. Notiamo poi che la Fiat si sta disimpegnando in Italia e il governo se ne disinteressa». Ancora dubbi sull'accordo con Opel: «La gamma e il mercato delle due aziende sono troppo simili» commenta Gianfranco Bornese, operaio. E nemmeno l'indotto se la passa bene: Cnh, per esempio, non produce escavatori da mesi.
Da il manifesto del 17 maggio
Sullo stesso numero Resistenza operaia al Lingotto di Loris Campetti
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