TORINO - «La linea 5 non avrebbe mai dovuto essere in funzione viste le condizioni di sicurezza in cui si trovava», ha affermato Massimo Zucchetti, consulente di parte civile. «Nient'affatto: l'impianto installato nel 1990 non era obsoleto, lo testimoniava la volontà della Thyssen di smontarlo dopo la chiusura per portarlo a Terni», ha ribattuto Berardino Queto, consulente della difesa. In Corte d'Assise ieri è andato in scena un duello tra i tecnici, che in fondo delinea la strategia finora adottata dalle parti nel definire le responsabilità: incuranza degli operai o comunque errore umano per i legali degli imputati, e gravi omissioni nella tutela della sicurezza e abbandono della manutenzione da parte dell'azienda secondo la pubblica accusa.
Prima è toccato ai consulenti della difesa con una lunga disamina sul funzionamento della linea che ha suscitato il malumore dei parenti delle vittime: «Fanno vedere come avrebbe dovuto funzionare - hanno detto fuori dall'aula - ma non le condizioni in cui i nostri ragazzi erano costretti a lavorare». Per Vittorio Betta, uno dei consulenti Thyssen, sarebbe bastato schiacciare un pulsante anziché un altro e l'incendio non avrebbe causato la morte degli operai. Ha spiegato che uno di questi, quando si accorse del primo focolaio, premette il pulsante d'arresto della sezione di ingresso: «Ma se avesse schiacciato quello della fermata di emergenza non sarebbe accaduto più nulla, si sarebbe bloccato il flusso dell'olio idraulico e il grande calore non avrebbe determinato l'esplosione della pompa». A causare il focolaio - secondo l'esperto - furono le scintille generate da una non perfetta imboccatura della lamiera all'inizio della linea di scorrimento. Un errore umano dunque. E poi ha aggiunto: «Si è parlato di pressione psicologica sui dipendenti, quasi di sanzioni, ma non risulta ci siano state».
Sull'ultima ricostruzione le parti civili nutrono diversi dubbi. Zucchetti ha osservato che «i consulenti della difesa sostengono che premere il pulsante di emergenza avrebbe evitato la tragedia ma la realtà è che le condizioni della linea erano tali che chiunque fosse entrato nello stabilimento nei giorni precedenti l'incendio avrebbe dovuto premere quel pulsante». L'anormalità era diventata la normalità: carta, olio per terra, guasti continui. «La difesa - ha concluso - ha presentato una situazione ben lontana dall'effettivo funzionamento della linea. Era un impianto che necessitava di 60 mila litri d'olio all'anno per arginare le perdite quindi non si può non definirlo obsoleto e il fatto che si pensasse di trasferirlo non dimostra che non lo era, ma solo l'intenzione di continuare ad usarlo».
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Da il manifesto dell'8 aprile
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