TORINO - Davanti, trovi i volti della fatica. Pochi sorrisi: rabbia, non rassegnazione. Dietro, il rumore, anche gioioso, degli studenti, a fianco degli operai. In questa lotta che riguarda tutti. Cinquantamila al corteo della Cgil, per chiedere più sostegno al reddito, all'occupazione, meno tasse e più salari. Tre palle di neve (di un metro di diametro) simboleggiavano proprio la «valanga» di questa crisi. Di cui Torino, ex capitale dell'auto, è l'epicentro. Dopo Motorola, Fiat, Dayco, Michelin, Bertone, Pirelli e Pininfarina, anche le aziende che fino a metà 2008 sembravano immuni dai guai annunciano 11 settimane di ulteriore cassa integrazione. E' il caso della Cnh di San Mauro, che produce macchine movimento terra e ha 700 dipendenti. «A settembre - racconta Giovanni Demurtas, rsu Fiom - siamo passati dagli straordinari alla cassa: 14 settimane. E ora la nuova doccia fredda, che toccherà 667 dipendenti da metà gennaio».
A Torino la cassa integrazione riguarda 554 aziende e coinvolge più di 35 mila lavoratori, mentre sono 5 mila i precari che hanno perso il posto di lavoro. Ci sono poi ditte che utilizzano le ferie collettive per far fronte alle fermate programmate, come la Comau. E i numeri continuano a salire. In Piemonte gli ultimi dati Inps sulle ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate a novembre registrano un +103% rispetto allo stesso mese del 2007. Si parla di 45 mila persone coinvolte in tutta la regione. «Nonostante i sacrifici a cui sono costretti i lavoratori, le assemblee nelle aziende metalmeccaniche sono state molto partecipate» precisa Giorgio Airaudo, segretario Fiom Torino. Come a Mirafiori, dove ieri si lavorava (50% l'adesione allo sciopero). Sergio Forelli è operaio alle Carrozzerie (da dove esce la Mito). «Siamo costretti a due settimane al mese di cassa e la situazione è tesa. Nel 2002, con gran parlare delle istituzioni, si era detto che sarebbe arrivata una quota della produzione della Grande Punto. Nessuno l'ha vista. E ora, oltre alla crisi dobbiamo fronteggiare un assalto da parte di Confindustria e governo agli assetti contrattuali, con il benestare di Cisl e Uil».
Uno degli spezzoni più numerosi è quello della Funzione pubblica, seguito dai pensionati. Quelli che faticano ad arrivare a fine mese. «Ho tre figli precari, che non riescono a staccarsi da casa, e una pensione da 1200 euro, dopo 39 anni in fabbrica» spiega Michele Di Benedetto che tiene una bandiera con il volto del Che: «il rivoluzionario che ci servirebbe». Alla Streglio, azienda di cioccolato, i 60 dipendenti sono in cassa da 10 settimane a rotazione. La banca di riferimento avrebbe bloccato gli stipendi di novembre in pagamento dal 7 dicembre. «Tra di noi - dicono i delegati - molti sono a monoreddito».
Alte le adesioni allo sciopero, soprattutto nel settore industriale, intorno all'80%. Airaudo commenta: «C'è una forte rappresentanza del mondo del pubblico impiego e dei lavoratori metalmeccanici, ovvero del lavoro dipendente, sceso in piazza contro la crisi e contro Confindustria, che vorrebbe cancellare la rappresentanza sindacale dai luoghi di lavoro». Enrico Panini, segretario nazionale Cgil, dal palco di piazza Castello, parla, invece, della Fiat: «Le dichiarazioni di Marchionne su una possibile vendita sono molto preoccupanti. Tutto questo non può essere sottovalutato e il governo se ne deve occupare».
Gli studenti dell'assemblea No Gelmini hanno «sanzionato» una banca in via Po, bloccandone l'ingresso. E si sono diretti con i Cobas all'Unione industriale. Incendiati anche alcuni pneumatici: «La puzza della crisi». Protesta, infine, contro il consolato greco per i fatti di Atene.
Da il manifesto del 13 dicembre
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