Vent’anni dopo si ritorna a Seattle. Stessa etichetta: la rediviva Sub Pop. Ma non più sporchi e cattivi come nell’era grunge. Nella città del Nord soffia ora un vento barocco, mai tronfio e pieno di creatività. Sono i Fleet Foxes, giovane quintetto barbuto che con l’omonimo esordio sforna uno degli album dell’anno. Proprio a indicare che nella rilettura e nella contaminazione del folk si svela il miglior indie rock dell’ultima generazione. Basta andare qualche centinaia di chilometri a Sud, a San Francisco, per incontrare un’altra rivelazione: Dodos, più essenziali e ritmati.
Iniziamo dai primi. Cori e suoni caldi ci catapultano presto in una dimensione orchestrale, che talvolta si regge solo sulla voce come nel crescendo di White Winter Hymnal. E poi, i passaggi onirici, dalla malinconica Tiger Mountain Peasant Song alla ballata He Doesn't Know Why. Per finire in punta di chitarra con Oliver James. Tra le note, incontriamo i contemporanei Akron Family, ma soprattutto le radici del passato dai Beach Boys a Crosby Stills Nash And Young.
Il duo californiano, in Visiter, si diverte a nascondere la complessità delle composizioni in una formula semplice di voci, chitarra e percussioni, in bilico tra folk, psichedelia e divagazioni afro. Un disco senza pause, che ti cattura nelle mille sfumature: Beirut, Vampire Weekend ma anche David Byrne, per citare le influenze. Ecco il microcosmo Dodos, dalla trascinante solarità di Fools alla più rude e bluesy Paint the rust.
fleet foxes: sito e myspace
dodos: sito e myspace
domenica 21 dicembre 2008
sabato 13 dicembre 2008
Tanti cassintegrati, ma non rassegnati
TORINO - Davanti, trovi i volti della fatica. Pochi sorrisi: rabbia, non rassegnazione. Dietro, il rumore, anche gioioso, degli studenti, a fianco degli operai. In questa lotta che riguarda tutti. Cinquantamila al corteo della Cgil, per chiedere più sostegno al reddito, all'occupazione, meno tasse e più salari. Tre palle di neve (di un metro di diametro) simboleggiavano proprio la «valanga» di questa crisi. Di cui Torino, ex capitale dell'auto, è l'epicentro. Dopo Motorola, Fiat, Dayco, Michelin, Bertone, Pirelli e Pininfarina, anche le aziende che fino a metà 2008 sembravano immuni dai guai annunciano 11 settimane di ulteriore cassa integrazione. E' il caso della Cnh di San Mauro, che produce macchine movimento terra e ha 700 dipendenti. «A settembre - racconta Giovanni Demurtas, rsu Fiom - siamo passati dagli straordinari alla cassa: 14 settimane. E ora la nuova doccia fredda, che toccherà 667 dipendenti da metà gennaio».
A Torino la cassa integrazione riguarda 554 aziende e coinvolge più di 35 mila lavoratori, mentre sono 5 mila i precari che hanno perso il posto di lavoro. Ci sono poi ditte che utilizzano le ferie collettive per far fronte alle fermate programmate, come la Comau. E i numeri continuano a salire. In Piemonte gli ultimi dati Inps sulle ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate a novembre registrano un +103% rispetto allo stesso mese del 2007. Si parla di 45 mila persone coinvolte in tutta la regione. «Nonostante i sacrifici a cui sono costretti i lavoratori, le assemblee nelle aziende metalmeccaniche sono state molto partecipate» precisa Giorgio Airaudo, segretario Fiom Torino. Come a Mirafiori, dove ieri si lavorava (50% l'adesione allo sciopero). Sergio Forelli è operaio alle Carrozzerie (da dove esce la Mito). «Siamo costretti a due settimane al mese di cassa e la situazione è tesa. Nel 2002, con gran parlare delle istituzioni, si era detto che sarebbe arrivata una quota della produzione della Grande Punto. Nessuno l'ha vista. E ora, oltre alla crisi dobbiamo fronteggiare un assalto da parte di Confindustria e governo agli assetti contrattuali, con il benestare di Cisl e Uil».
Uno degli spezzoni più numerosi è quello della Funzione pubblica, seguito dai pensionati. Quelli che faticano ad arrivare a fine mese. «Ho tre figli precari, che non riescono a staccarsi da casa, e una pensione da 1200 euro, dopo 39 anni in fabbrica» spiega Michele Di Benedetto che tiene una bandiera con il volto del Che: «il rivoluzionario che ci servirebbe». Alla Streglio, azienda di cioccolato, i 60 dipendenti sono in cassa da 10 settimane a rotazione. La banca di riferimento avrebbe bloccato gli stipendi di novembre in pagamento dal 7 dicembre. «Tra di noi - dicono i delegati - molti sono a monoreddito».
Alte le adesioni allo sciopero, soprattutto nel settore industriale, intorno all'80%. Airaudo commenta: «C'è una forte rappresentanza del mondo del pubblico impiego e dei lavoratori metalmeccanici, ovvero del lavoro dipendente, sceso in piazza contro la crisi e contro Confindustria, che vorrebbe cancellare la rappresentanza sindacale dai luoghi di lavoro». Enrico Panini, segretario nazionale Cgil, dal palco di piazza Castello, parla, invece, della Fiat: «Le dichiarazioni di Marchionne su una possibile vendita sono molto preoccupanti. Tutto questo non può essere sottovalutato e il governo se ne deve occupare».
Gli studenti dell'assemblea No Gelmini hanno «sanzionato» una banca in via Po, bloccandone l'ingresso. E si sono diretti con i Cobas all'Unione industriale. Incendiati anche alcuni pneumatici: «La puzza della crisi». Protesta, infine, contro il consolato greco per i fatti di Atene.
Da il manifesto del 13 dicembre
A Torino la cassa integrazione riguarda 554 aziende e coinvolge più di 35 mila lavoratori, mentre sono 5 mila i precari che hanno perso il posto di lavoro. Ci sono poi ditte che utilizzano le ferie collettive per far fronte alle fermate programmate, come la Comau. E i numeri continuano a salire. In Piemonte gli ultimi dati Inps sulle ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate a novembre registrano un +103% rispetto allo stesso mese del 2007. Si parla di 45 mila persone coinvolte in tutta la regione. «Nonostante i sacrifici a cui sono costretti i lavoratori, le assemblee nelle aziende metalmeccaniche sono state molto partecipate» precisa Giorgio Airaudo, segretario Fiom Torino. Come a Mirafiori, dove ieri si lavorava (50% l'adesione allo sciopero). Sergio Forelli è operaio alle Carrozzerie (da dove esce la Mito). «Siamo costretti a due settimane al mese di cassa e la situazione è tesa. Nel 2002, con gran parlare delle istituzioni, si era detto che sarebbe arrivata una quota della produzione della Grande Punto. Nessuno l'ha vista. E ora, oltre alla crisi dobbiamo fronteggiare un assalto da parte di Confindustria e governo agli assetti contrattuali, con il benestare di Cisl e Uil».
Uno degli spezzoni più numerosi è quello della Funzione pubblica, seguito dai pensionati. Quelli che faticano ad arrivare a fine mese. «Ho tre figli precari, che non riescono a staccarsi da casa, e una pensione da 1200 euro, dopo 39 anni in fabbrica» spiega Michele Di Benedetto che tiene una bandiera con il volto del Che: «il rivoluzionario che ci servirebbe». Alla Streglio, azienda di cioccolato, i 60 dipendenti sono in cassa da 10 settimane a rotazione. La banca di riferimento avrebbe bloccato gli stipendi di novembre in pagamento dal 7 dicembre. «Tra di noi - dicono i delegati - molti sono a monoreddito».
Alte le adesioni allo sciopero, soprattutto nel settore industriale, intorno all'80%. Airaudo commenta: «C'è una forte rappresentanza del mondo del pubblico impiego e dei lavoratori metalmeccanici, ovvero del lavoro dipendente, sceso in piazza contro la crisi e contro Confindustria, che vorrebbe cancellare la rappresentanza sindacale dai luoghi di lavoro». Enrico Panini, segretario nazionale Cgil, dal palco di piazza Castello, parla, invece, della Fiat: «Le dichiarazioni di Marchionne su una possibile vendita sono molto preoccupanti. Tutto questo non può essere sottovalutato e il governo se ne deve occupare».
Gli studenti dell'assemblea No Gelmini hanno «sanzionato» una banca in via Po, bloccandone l'ingresso. E si sono diretti con i Cobas all'Unione industriale. Incendiati anche alcuni pneumatici: «La puzza della crisi». Protesta, infine, contro il consolato greco per i fatti di Atene.
Da il manifesto del 13 dicembre
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giovedì 11 dicembre 2008
Ecco il nuovo direttore: «Voglio un festival non isterico»
TORINO - Vuole vivere a Torino, fare un film e un festival non isterico. Il lascito di Moretti sarà anche un fardello pesante, ma Gianni Amelio non nasconde la sua personalità. Lo fa in modo diverso rispetto al regista del Caimano. Più sobrio e autoironico. Il suo nome è stato l’unico che il Museo del cinema ha cercato, ha precisato Barbera alla presentazione, smentendo le illazioni dei giorni precedenti. E proprio perché l’accordo è serio, Amelio ha già siglato un contratto di 2 anni, e pensa già al raddoppio. Felice della nuova sfida, racconta le ragioni di una scelta e il suo rapporto con la città, stretto ai tempi di Così ridevano.
A chi gli chiede da dove lavorerà, risponde: «Mi piacerebbe vivere qui. Per me sarebbe frustrante lavorare da Roma». Il direttore lo vuole fare davvero, anche se sta per girare un film (il Primo Uomo, tratta dall'omonimo libro di Albert Camus). Ma ha calcolato i tempi per essere libero per il Tff. Non parla del programma. Però una cosa la dice: «Negli ultimi anni le rassegne sono diventate troppo invasive, vorrei un festival "normale", non isterico, in cui regni il cinema»
A chi gli chiede da dove lavorerà, risponde: «Mi piacerebbe vivere qui. Per me sarebbe frustrante lavorare da Roma». Il direttore lo vuole fare davvero, anche se sta per girare un film (il Primo Uomo, tratta dall'omonimo libro di Albert Camus). Ma ha calcolato i tempi per essere libero per il Tff. Non parla del programma. Però una cosa la dice: «Negli ultimi anni le rassegne sono diventate troppo invasive, vorrei un festival "normale", non isterico, in cui regni il cinema»
mercoledì 10 dicembre 2008
Addio Nanni. Amelio alla guida del Tff
TORINO - Aveva lasciato un pezzo della sua storia cinematografica proprio a Torino, con Così ridevano. E ora ritorna a completare quel tassello, non più dietro la macchina da presa ma da direttore. Gianni Amelio guiderà il prossimo Torino film festival. Oggi, alle 14, al Circolo dei lettori il suo incarico verrà ufficializzato. Ci sarà anche lui, seppur ieri fosse ancora in Tunisia. Al Museo del cinema le bocche sono rimaste cucite, ma le indiscrezioni giravano da giorni. Si è parlato pure di Benigni (fantascienza), di Tullio Giordana, Calopresti o Ferrario (realismo) e di Bertolucci (speranza). E si pensava che la telenovela sarebbe durata ancora per un po’. Invece, tempi più rapidi del previsto. La diplomazia sabauda, che aveva portato Moretti alla guida del Tff (non senza biblici tira e molla), ha stretto la cerchia dei candidati e il numero delle telefonate. Il direttore del Museo Alberto Barbera, che alcuni indicano come l’artefice dell’investitura, e il presidente Sandro Casazza, in sintonia con gli assessori alla cultura Fiorenzo Alfieri (Comune) e Gianni Oliva (Regione), hanno di nuovo puntato su un nome di grande fama. Classe 1945, origini calabresi, Amelio è uno degli autori più importanti del nostro cinema. Leone d’oro nel 1998, è stato candidato quattro volte all’Oscar: Le chiavi di casa, Porte aperte, Il ladro di bambini e Lamerica.
Adesso tocca a lui raccogliere il testimone da Nanni Moretti, del quale non ha certo il carisma mediatico. Molto vicino ed apprezzato da Emanuela Martini, la coordinatrice del festival, Amelio dovrà confermare il successo delle ultime edizioni, innovando ma allo stesso conservando quello spirito di ricerca che contrassegna la manifestazione da 26 anni. Ad inizio anni ’80 fu Fiorenzo Alfieri, al tempo assessore alla Gioventù, a suggerire l’idea di un festival del cinema giovane a Gianni Rondolino e Ansano Giannarelli. Alfieri ha vissuto tutti i cambiamenti della rassegna e commenta a caldo: «E’ l’uomo giusto, perché è un appassionato di cinema. Il nostro Tff non sarà mai una passerella e la qualità paga. Anche le edizioni di Moretti sono state vincenti per il lavoro che lui ha svolto, non per il personaggio che rappresenta». Non nasconde poi un po’ di orgoglio campanilistico: «Come diceva Moretti, siamo meglio di Venezia. E anche se qualcuno ogni tanto ci accusa di farlo, non cercheremo mai il glamour». In Sala Rossa non sono però tutti contenti. «E’ un regista senza statuine – ha dichiarato Antonino Ghiglia (An-Pdl) -, poco conosciuto ed autore di film elitari. Se con Moretti il Tff razzolava male con Amelio andrà malissimo».
Adesso tocca a lui raccogliere il testimone da Nanni Moretti, del quale non ha certo il carisma mediatico. Molto vicino ed apprezzato da Emanuela Martini, la coordinatrice del festival, Amelio dovrà confermare il successo delle ultime edizioni, innovando ma allo stesso conservando quello spirito di ricerca che contrassegna la manifestazione da 26 anni. Ad inizio anni ’80 fu Fiorenzo Alfieri, al tempo assessore alla Gioventù, a suggerire l’idea di un festival del cinema giovane a Gianni Rondolino e Ansano Giannarelli. Alfieri ha vissuto tutti i cambiamenti della rassegna e commenta a caldo: «E’ l’uomo giusto, perché è un appassionato di cinema. Il nostro Tff non sarà mai una passerella e la qualità paga. Anche le edizioni di Moretti sono state vincenti per il lavoro che lui ha svolto, non per il personaggio che rappresenta». Non nasconde poi un po’ di orgoglio campanilistico: «Come diceva Moretti, siamo meglio di Venezia. E anche se qualcuno ogni tanto ci accusa di farlo, non cercheremo mai il glamour». In Sala Rossa non sono però tutti contenti. «E’ un regista senza statuine – ha dichiarato Antonino Ghiglia (An-Pdl) -, poco conosciuto ed autore di film elitari. Se con Moretti il Tff razzolava male con Amelio andrà malissimo».
domenica 7 dicembre 2008
Thyssen, un anno dopo, in corteo
TORINO - Un anno fa i sette, uccisi nel rogo. Poi Molfetta, Mineo e una scia che non si è fermata. «Basta morti, basta padroni assassini». Questo l’urlo che si sente quando il corteo arriva al Palagiustizia. Poi, un minuto di silenzio per le vittime della Thyssen e per tutti i morti sul lavoro. In cinquemila hanno partecipato alla manifestazione, partita dai cancelli dell’acciaieria, in ricordo della strage in cui morirono sette operai tra i 26 e i 52 anni. Si aspettavano più persone, anche per la storia di Torino, ma visto che è nata dal basso, attraverso l’autoconvocazione, non si può dire non sia riuscita: «Siamo soddisfatti - ha commentato al termine Ciro Argentino dell'associazione Legami d'acciaio - ed è un’iniziativa che cercheremo di ripetere ogni anno, rendendola magari itinerante per raggiungere, per esempio, i luoghi più esposti come Taranto».
In testa, la Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, poi i famigliari delle vittime («In un anno non è cambiato nulla» dice Nino Santino, papà di Bruno), molti sindacati di base, gli studenti dell’Assemblea No Gelmini, i ragazzi dei centri sociali, il comitato contro l’Eternit di Casale Monferrato e, in fondo, le bandiere sparse di Prc, Pdci, Sinistra critica, Plc e qualcuna della Fiom e dei No Tav. Non solo torinesi, c’è gente da tutta Italia e dalle varie realtà in lotta: da Ravenna a Napoli, da Taranto a Bergamo. E anche da Palermo, come Salvatore Palumbo, licenziato dalla Fincantieri perché scomodo: «Il 30 agosto del 2007 ho denunciato le insopportabili condizioni di insicurezza in cui eravamo costretti a lavorare, il giorno dopo mi hanno mandato a casa». Ora, senza stipendio e con una moglie e tre figli a carico, non si dà per vinto e si batte per il reintegro. Come Dante De Angelis, licenziato dalle Ferrovie dello Stato per aver esercitato il suo ruolo scrupoloso di Rls: «Non sono un eroe – afferma – ho fatto solo il mio dovere». C’è poi chi alla Thyssen ci lavorava: «Ma non ci sono più entrato e adesso sono in cassa integrazione», spiega Luigi Gerardi. Lungo il corteo si incontrano le varie testimonianze del lavoro a rischio: dalla Dalmine all’Ilva (43 morti in 15 anni). Francesca Caliolo, venerdì il suo intervento all’assemblea Fiom è stato il più applaudito, si augura «un Guariniello per proteggere tutti i lavoratori d'Italia». Lei, però, aspetta ancora l’inizio del processo per la morte di suo marito, due anni e mezzo fa a Taranto. A Torino, l’indagine è stata, invece, chiusa in breve tempo. E ora c'è attesa per il processo in Corte d’assise con inizio il 15 gennaio. L'amministratore delegato Harald Espenhanh dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario.
Nel serpentone, davanti si sceglie musica leggera: Negramaro e Pausini. Era quella che piaceva a Rosario Rodinò, 26 anni, una delle vittime Thyssen. A metà, puntano sul classico: Modena city Ramblers. Ecco, infatti, il furgone degli universitari. «Abbiamo portato – racconta Gianluca dell’Askatasuna - un manifesto con la foto di Vito Scafidi (lo studente morto nel crollo del liceo Rivoli), perché non si deve perdere la vita né a scuola né al lavoro». I politici in corteo sono pochi: Marco Ferrando, Marco Rizzo e Vittorio Agnoletto. Proprio quest’ultimo, europarlamentare Prc, ha fatto per 18 anni il medico del lavoro: «So bene che la prima cosa che viene tagliata quando c’è crisi è la sicurezza. E i lavoratori degli appalti sono quelli che rischiano di più. Ecco perché dobbiamo difendere a tutti i costi il Testo unico». Stesso pensiero di Giorgio Cremaschi, qui non come segretario Fiom ma a titolo personale: «Il meccanismo infernale che ha portato alla Thyssen è ancora in piedi e rischia di aggravarsi. Il Testo sulla sicurezza è il lascito di quella strage, modificarlo, come vuole Confindustria, sarebbe un’offesa inaccettabile».
La giornata di commemorazione era iniziata in prima mattinata con la messa al cimitero monumentale, dove è stata scoperta una lapide in memoria dei sette. Presenti il sindaco Chiamparino ed esponenti del Pd (Fassino e Damiano), ma nessun membro del governo né delle associazioni industriali. Dopo mostre e dibattiti, l’ultimo appuntamento del ricordo è il concerto di domani al Regio.
In testa, la Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, poi i famigliari delle vittime («In un anno non è cambiato nulla» dice Nino Santino, papà di Bruno), molti sindacati di base, gli studenti dell’Assemblea No Gelmini, i ragazzi dei centri sociali, il comitato contro l’Eternit di Casale Monferrato e, in fondo, le bandiere sparse di Prc, Pdci, Sinistra critica, Plc e qualcuna della Fiom e dei No Tav. Non solo torinesi, c’è gente da tutta Italia e dalle varie realtà in lotta: da Ravenna a Napoli, da Taranto a Bergamo. E anche da Palermo, come Salvatore Palumbo, licenziato dalla Fincantieri perché scomodo: «Il 30 agosto del 2007 ho denunciato le insopportabili condizioni di insicurezza in cui eravamo costretti a lavorare, il giorno dopo mi hanno mandato a casa». Ora, senza stipendio e con una moglie e tre figli a carico, non si dà per vinto e si batte per il reintegro. Come Dante De Angelis, licenziato dalle Ferrovie dello Stato per aver esercitato il suo ruolo scrupoloso di Rls: «Non sono un eroe – afferma – ho fatto solo il mio dovere». C’è poi chi alla Thyssen ci lavorava: «Ma non ci sono più entrato e adesso sono in cassa integrazione», spiega Luigi Gerardi. Lungo il corteo si incontrano le varie testimonianze del lavoro a rischio: dalla Dalmine all’Ilva (43 morti in 15 anni). Francesca Caliolo, venerdì il suo intervento all’assemblea Fiom è stato il più applaudito, si augura «un Guariniello per proteggere tutti i lavoratori d'Italia». Lei, però, aspetta ancora l’inizio del processo per la morte di suo marito, due anni e mezzo fa a Taranto. A Torino, l’indagine è stata, invece, chiusa in breve tempo. E ora c'è attesa per il processo in Corte d’assise con inizio il 15 gennaio. L'amministratore delegato Harald Espenhanh dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario.
Nel serpentone, davanti si sceglie musica leggera: Negramaro e Pausini. Era quella che piaceva a Rosario Rodinò, 26 anni, una delle vittime Thyssen. A metà, puntano sul classico: Modena city Ramblers. Ecco, infatti, il furgone degli universitari. «Abbiamo portato – racconta Gianluca dell’Askatasuna - un manifesto con la foto di Vito Scafidi (lo studente morto nel crollo del liceo Rivoli), perché non si deve perdere la vita né a scuola né al lavoro». I politici in corteo sono pochi: Marco Ferrando, Marco Rizzo e Vittorio Agnoletto. Proprio quest’ultimo, europarlamentare Prc, ha fatto per 18 anni il medico del lavoro: «So bene che la prima cosa che viene tagliata quando c’è crisi è la sicurezza. E i lavoratori degli appalti sono quelli che rischiano di più. Ecco perché dobbiamo difendere a tutti i costi il Testo unico». Stesso pensiero di Giorgio Cremaschi, qui non come segretario Fiom ma a titolo personale: «Il meccanismo infernale che ha portato alla Thyssen è ancora in piedi e rischia di aggravarsi. Il Testo sulla sicurezza è il lascito di quella strage, modificarlo, come vuole Confindustria, sarebbe un’offesa inaccettabile».
La giornata di commemorazione era iniziata in prima mattinata con la messa al cimitero monumentale, dove è stata scoperta una lapide in memoria dei sette. Presenti il sindaco Chiamparino ed esponenti del Pd (Fassino e Damiano), ma nessun membro del governo né delle associazioni industriali. Dopo mostre e dibattiti, l’ultimo appuntamento del ricordo è il concerto di domani al Regio.
sabato 6 dicembre 2008
«Mai più morti». Parlano i delegati alla sicurezza
TORINO - Francesca Caliolo sale sul palco a metà dell’assemblea in via Pedrotti. Non è una sindacalista, ma la moglie di Antonio Mingolla, morto all’Ilva di Taranto il 18 aprile del 2006. La sua voce si spezza per l’emozione. Racconta la tragedia e il calvario che ha passato un anno e mezzo prima della strage della Thyssen. La platea dei delegati Fiom ascolta. Antonio non era un dipendente dello stabilimento, ma vicecapocantiere di una società di manutenzione. Quel giorno lavorava su una conduttura sospesa del gas. Ecco, il veleno. «Perse i sensi e quando due compagni salirono per soccorrerlo svennero anche loro». Sono passati due anni e mezzo e Francesca spiega: «Ho fatto la spola da casa a Palazzo di giustizia, l'inchiesta si è conclusa con il rinvio a giudizio per omicidio colposo di sette tra dirigenti e responsabili dell'area, ma il processo è ben lontano dall'essere celebrato e i reati sono coperti dall'indulto». Aggiunge poi una verità scomoda. «Mio marito non si sentiva tutelato. Nemmeno dal sindacato. Era iscritto alla Fiom ma voleva strappare la tessera». E conclude: «Sono qui per dare la speranza ai miei figli che c’è ancora una giustizia». L’applauso è il più lungo e commosso della giornata.
Maurizio Marcelli, che modera gli interventi, raccoglie il monito: «Interpreta la volontà della Fiom e quella dell’incontro». Il sindacato metalmeccanici ha, infatti, deciso di costituirsi parte civile nel processo sulla morte di Mingolla e ovunque vi siano stati morti sul lavoro. Lo ha annunciato Giorgio Cremaschi, segretario nazionale, che ha aperto ieri a Torino, a un anno dal rogo della Thyssen, l'assemblea straordinaria degli Rls: «Abbiamo deciso di coordinare in tutto il territorio nazionale la costituzione di parte civile in tutti i procedimenti penali, sia in quelli aperti, sia in quelli che devono essere ancora avviati».
Dopo la Thyssen, altri lavoratori sono morti, tanti, troppi: 969 dall’inizio dell’anno. «Ci sono pratiche aziendali gravi – ha affermato Cremaschi – che mettono la vita dei lavoratori in costante pericolo. E queste, se provate, vanno punite come reati gravissimi. L’impunità diffusa è un modo per incentivare il non rispetto delle norme. Per questo condanniamo la pressione di Confindustria nei confronti di un governo compiacente per rimettere in discussione il Testo unico».
Hanno poi preso la parola avvocati e diversi Rls, provenienti da importanti realtà industriali, come la Fincantieri di Monfalcone e la Severstal di Piombino o dai piccoli cantieri della Sirti. Tutti hanno portato la loro testimonianza, raccontando le difficoltà nello svolgere l’attività sindacale e i contrasti sia con la dirigenza sia con i colleghi. Ci sono poi anche realtà che con la lotta hanno ottenuto di lavorare in un posto sicuro come spiega Mauro Merli, Rls Lamborghini.
A tirar le conclusioni è Gianni Rinaldini, segretario nazionale. «Esiste un documento inviato all’attuale governo di centrodestra da tutte le associazioni patronali in cui vengono proposte modifiche al Testo unico. Modifiche che se attuate porterebbero a un totale stravolgimento dello stesso. La nostra lotta invece continua e sosteniamo la proposta di Guariniello, di creare una Procura nazionale dedicata agli infortuni sul lavoro, ideata sul modello dell’Antimafia». Non sfugge poi a Rinaldini che «l’accordo separato sul sistema contrattuale, siglato la scorsa notte da Cisl e Uil con Confapi, mostra fino a dove sia giunta l’azione, in corso su vari piani, che punta a ridurre lo spazio dell’attività di contrattazione e, quindi, a diminuire il potere contrattuale dei sindacati. Potere che rimane lo strumento fondamentale per la difesa della salute e della vita dei lavoratori».
In questi giorni diverse iniziative ricordano a Torino la strage di un anno fa. Dibattiti e concerti come quello straordinario al Regio, lunedì. E una manifestazione, questa mattina, alle 10, che partirà dai cancelli della fabbrica (corso Regina Margherita 400) per concludersi davanti al Palagiustizia. Ad organizzarla la Rete nazionale per la sicurezza e l’associazione Legami d’acciaio, formata dagli ex operai Thyssen, tra cui Ciro Argentino, ieri presente in assemblea.
Maurizio Marcelli, che modera gli interventi, raccoglie il monito: «Interpreta la volontà della Fiom e quella dell’incontro». Il sindacato metalmeccanici ha, infatti, deciso di costituirsi parte civile nel processo sulla morte di Mingolla e ovunque vi siano stati morti sul lavoro. Lo ha annunciato Giorgio Cremaschi, segretario nazionale, che ha aperto ieri a Torino, a un anno dal rogo della Thyssen, l'assemblea straordinaria degli Rls: «Abbiamo deciso di coordinare in tutto il territorio nazionale la costituzione di parte civile in tutti i procedimenti penali, sia in quelli aperti, sia in quelli che devono essere ancora avviati».
Dopo la Thyssen, altri lavoratori sono morti, tanti, troppi: 969 dall’inizio dell’anno. «Ci sono pratiche aziendali gravi – ha affermato Cremaschi – che mettono la vita dei lavoratori in costante pericolo. E queste, se provate, vanno punite come reati gravissimi. L’impunità diffusa è un modo per incentivare il non rispetto delle norme. Per questo condanniamo la pressione di Confindustria nei confronti di un governo compiacente per rimettere in discussione il Testo unico».
Hanno poi preso la parola avvocati e diversi Rls, provenienti da importanti realtà industriali, come la Fincantieri di Monfalcone e la Severstal di Piombino o dai piccoli cantieri della Sirti. Tutti hanno portato la loro testimonianza, raccontando le difficoltà nello svolgere l’attività sindacale e i contrasti sia con la dirigenza sia con i colleghi. Ci sono poi anche realtà che con la lotta hanno ottenuto di lavorare in un posto sicuro come spiega Mauro Merli, Rls Lamborghini.
A tirar le conclusioni è Gianni Rinaldini, segretario nazionale. «Esiste un documento inviato all’attuale governo di centrodestra da tutte le associazioni patronali in cui vengono proposte modifiche al Testo unico. Modifiche che se attuate porterebbero a un totale stravolgimento dello stesso. La nostra lotta invece continua e sosteniamo la proposta di Guariniello, di creare una Procura nazionale dedicata agli infortuni sul lavoro, ideata sul modello dell’Antimafia». Non sfugge poi a Rinaldini che «l’accordo separato sul sistema contrattuale, siglato la scorsa notte da Cisl e Uil con Confapi, mostra fino a dove sia giunta l’azione, in corso su vari piani, che punta a ridurre lo spazio dell’attività di contrattazione e, quindi, a diminuire il potere contrattuale dei sindacati. Potere che rimane lo strumento fondamentale per la difesa della salute e della vita dei lavoratori».
In questi giorni diverse iniziative ricordano a Torino la strage di un anno fa. Dibattiti e concerti come quello straordinario al Regio, lunedì. E una manifestazione, questa mattina, alle 10, che partirà dai cancelli della fabbrica (corso Regina Margherita 400) per concludersi davanti al Palagiustizia. Ad organizzarla la Rete nazionale per la sicurezza e l’associazione Legami d’acciaio, formata dagli ex operai Thyssen, tra cui Ciro Argentino, ieri presente in assemblea.
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