La regione sul filo del rasoio. Se la destra vince, può fare il cappotto nell'intero nord. Rischio astensione
TORINO - L'hanno soprannominata l'ultimo baluardo, altri invece un laboratorio. Mentre corrono per le vie di Torino le api-car con il faccione di Roberto Cota e sfreccia, lungo corso Vittorio, il pullman della Bresso con l'icona di una sorridente Mercedes, la città della Mole - in crisi e sonnacchiosa - si ritrova d'un tratto sotto i riflettori elettorali. Investita da ruoli e doveri. Pierluigi Bersani l'ha detto esplicitamente: «Il Piemonte è la priorità». Ecco perché chiuderà qui la campagna elettorale. È la sola grande regione del Nord che il centrosinistra può strappare al dominio del centrodestra. Poi, il discorso del laboratorio: l'alleanza tra il Pd e l'Udc, mal digerita dalla sinistra che ha comunque dato appoggio all'attuale presidente Bresso: la Federazione della sinistra con un accordo tecnico (programmi distinti: un posto dentro il listino, ma fuori dalla giunta) e Sinistra ecologia e libertà, un accordo pieno (programma condiviso, però fuori dal listino).
Si arriverà sul filo del rasoio. E proprio il popolo della sinistra, in bilico tra disillusione e paura dell'avanzata leghista con tutto il côté di razzismo annesso, potrebbe essere l'ago della bilancia. Ieri, la Bresso ha esclamato: «Fermeremo i "lumbard" sul Ticino. Non abbiamo niente contro i lombardi ma contro i 'lumbard' che sono tutta un'altra cosa». La «zarina» sembra in vantaggio, il suo staff è ottimista, ma gli ultimi sondaggi registrano solo un punto percentuale in più. Non così tanto da dormire sonni tranquilli. «Temo il non voto, soprattutto dei delusi di sinistra. Ma ci spero. Le prossime elezioni sono un sondaggio sulle condizioni della tenuta di democrazia in Italia. Se vincono i barbari sarà un duro colpo», commenta Diego Novelli, lo storico sindaco del Pci (1975-1985), che non ha appeso l'impegno al chiodo. Sta fuori dai partiti, non vuole essere preso per la giacchetta, ma giovedì scenderà in piazza per sostenere la Bresso, davanti al Carignano, dove è nato il primo parlamento italiano. Su facebook, il gruppo promotore «No Padania, questa Regione non la lega nessuno» ha raccolto in pochi giorni 5mila adesioni.
I due sfidanti principali (gli altri sono Davide Bono, medico di 29 anni portavoce del Movimento Cinque Stelle, e Renzo Rabellino, mago delle liste civetta, due cassate dal Tar: lista Cota e Lega Padana) hanno inaugurato il Ballarò itinerante di Floris. Con colpi ben poco di fioretto: la Bresso dà del «lumbard» a Cota che risponde con disprezzo chiamandola «francese». La territorialità è il primo punto nel programma del capogruppo alla Camera della Lega: «Chi arriva per ultimo, non può pretendere di passare per primo. Priorità ai cittadini nell'assegnazione di case popolari, asili e servizi». E, nei giorni scorsi, passeggiando con Mario Borghezio a Porta Palazzo, descritta come Tunisi, ha aggiunto: «Un buono a tutti i sedicenni piemontesi da 50 euro per i libri». E poi, strali contro la proposta del comune per gli asili aperti ai figli di immigrati irregolari.
L'emergenza in Piemonte è il lavoro. A settembre 2009 il tasso di disoccupazione è balzato al 6,5% rispetto al 4,8% dell'anno prima. La Bresso ha promesso nei primi cento giorni un fondo speciale da 15 milioni di euro per favorire i giovani talenti piemontesi alla ricerca di occupazione. Cota, un piano straordinario per la difesa e la creazione di opportunità lavorative. E ancora «la localizzazione della nuova Città della salute». Se ne parla da 7 anni, in mezzo agli scandali delle tangenti alle Molinette. Soprattutto se farla a Torino o a Grugliasco. Il problema non è tanto il dove (al di là dei fondi che ritardano), ma il come. Il modello di Cota è quello di Don Verzé e del suo San Raffaele. E, in tema di sanità, c'è anche attenzione all'alleanza con l'Udc, che potrebbe condizionare le scelte. Sulla Fiat, cautela. No netto della Bresso al nucleare, Cota ondivago (sì all'atomo, ma non nel mio giardino). Vanno, invece, d'accordo sulla Torino-Lione.
Nei social network, il movimento valsusino discute: chi non vota, chi appoggia pezzi della sinistra, chi si oppone alla Lega e chi spinge per il movimento Cinque stelle, che dice no alla Tav. Davide Bono è il candidato a presidente: «Non ci sentiamo più rappresentati dai partiti dell'arco costituzionale. Bresso e Cota sono sullo stesso piano. Vogliamo cambiare la classe politica e il modello di sviluppo. Abbiamo formato una lista civica di non iscritti a partiti e incensurati, pensiamo che la sostenibilità non sia solo necessità ambientale ma anche economica e sociale, per posti di lavoro non precari».
La Bresso ce la farà, se Torino e la provincia terranno. E se la chiamata al fronte democratico antileghista funzionerà. Nel resto del Piemonte la sfida è forse persa. Interessante Vercelli, capire se influirà sul voto l'arresto per tangenti del presidente della provincia, Renzo Masoero (Pdl). Da ex distretto rosso è diventato feudo di Forza Italia e ora grancassa dell'entusiasmo leghista, dove il parlamentare Gianluca Buonanno ha scelto come slogan: «Bisogna mandare a casa chi non ci tutela e dà soldi agli zingari».
Da il manifesto del 21 marzo
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