Il Pd chiude la campagna elettorale sull'onda «socialdemocratica». Il segretario Bersani all'alba si fa trovare ai cancelli di Mirafiori. L'accoglienza è fredda, ma lui ci crede: «Proviamo a raccontare il paese reale». Poi corre verso la periferia torinese
TORINO - Corso Tazzoli, porta 2, è l'ingresso della fabbrica per eccellenza. Alle carrozzerie, come in tutta Mirafiori sono abituati ai politici in campagna elettorale. Ma forse non così all'alba («solo ai tempi di Berlinguer» dice qualcuno). E non alle cinque. In quegli attimi gli operai sono più ombre del solito. È, infatti, ancora buio quando Pierluigi Bersani arriva ai cancelli della Fiat, accompagnato dalla candidata a presidente del Piemonte Mercedes Bresso. L'oscurità è presto sciolta dai flash e dalle luci delle telecamere. È l'inizio di una lunga giornata, che qualcuno dei suoi fedelissimi definisce socialdemocratica, ma lui preferisce chiamarla «popolare». Ha voluto chiudere la campagna elettorale prima nel luogo simbolo del lavoro in Italia e poi in una piazza nella periferia di Torino: «Perché vado dove ci sono i problemi, non i miracoli. E vorrei un partito capace di guardare le persone all'altezza degli occhi».
L'impatto ai cancelli non è dei più caldi. L'accoglienza non è affettuosa (gli operai sono preoccupati per il loro futuro), ma nemmeno ostile. Anzi c'è chi dice subito: «Sono contenta vi siate svegliati al nostro orario». C'è però chi scappa via tra le due ali di giornalisti senza nemmeno fermarsi, altri gli stringono la mano, altri si fermano. Vogliono parlare. «Che fine ha fatto la norma sui lavori usuranti?» chiede un operaio. «È vero c'è la legge, ma il governo non la applica» risponde il segretario. Un'operaia si fa avanti: «Soltanto ora vi ricordate di noi e di come viviamo. Ho 34 anni, un compagno precario. Abbiamo rinunciato ad avere un figlio» dice a muso duro. Nina Leone è rsu Fiom alle carrozzerie, gli chiede un impegno sulla legge di iniziativa popolare su democrazia e rappresentanza sindacale: «Non posso essere contrario - dice Bersani, cauto - a una proposta che dà maggiore voce ai lavoratori».
Le tute blu vogliono rassicurazioni sul futuro: «Non lasciateci soli». Bresso tranquillizza: «Abbiamo incontrato la Fiat e ci hanno detto che non hanno intenzione di mollare Mirafiori, anzi, che faranno una nuova produzione». Ma non basta a levare le paure: «In questo paese - spiega Bersani - c'è un caso Fiat, per questo bisogna che si apra un negoziato nazionale e che il governo trovi il modo di portare al tavolo l'azienda e le organizzazioni sindacali per sapere cosa si vuol fare, perché non può essere che il Lingotto presenti il suo piano e il governo non ne sappia niente».
Per il comizio di chiusura, il Pd non ha scelto la solita piazza (Rifondazione è rimasta in centro, davanti al Carignano). É volato in periferia, Madonna di Campagna, piazza Villari. Il cuore di un quartiere popolare. Quando sale sul palco, Bersani dà la carica: «Due mesi fa ci pensavano confinati in una riserva indiana di 3 o 4 Regioni. Non è più così. E se ne sono accorti. Vedrete ci sarà un'inversione di tendenza». Spiega: «Abbiamo voluto portare sotto i riflettori il paese reale: lavoro, reddito, sanità, scuola. Questi sono i nostri valori, con la difesa della migliore costituzione del mondo, quella italiana». Racconta la sua campagna: «In ogni città ho voluto incontrare un'azienda in crisi, un quartiere popolare. Per imparare chi siamo noi, un grande partito popolare». Parla semplice, diretto. «Il capo del governo è nervoso, non sorride più, digrigna i denti. Ce l'ha con magistrati, sinistra mangia bambini e conduttori televisivi». Al nome di Santoro scoppia l'applauso. Poi: «Neanche in Iran provano a oscurare la comunicazione come qui». Si rivolge a Berlusconi, che non cita quasi mai per nome, lo chiama piuttosto «il miliardario», il surfista che va da un'onda a una balla: «Se non ti piace la televisione cambia canale. Come facciamo tutti i giorni quando vediamo la tua faccia».
Il Piemonte è una delle regioni in bilico, quella più simbolica («Si gioca al pelo, ma siamo fiduciosi»). Scalda la chiamata antileghista: «Non ci sarebbe Berlusconi se non ci fosse la Lega e il Carroccio non può fare tutte le parti in commedia: venire il week end a fare il partito del federalismo e del territorio e poi durante la settimane sostenere il miliardario con più passione di Cicchitto». E poi si rivolge a Cota: «Ha giurato nelle mani del miliardario a San Giovanni a Roma, non ci venga poi a parlare di autonomia, lui che si è inchinato all'imperatore. E domani quando Berlusconi chiederà di fare le centrali nucleari dirà di no?». Infine: «Il Pd deve essere il partito della nuova unità della Nazione e dell'antica Costituzione della Repubblica».
Prima aveva parlato Mercedes Bresso, il suo ultimo appello: «Dobbiamo tornare al governo del Piemonte e poi di quello nazionale. Fermeremo la Lega e i lumbard sul Ticino».
Da il manifesto del 27 marzo
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