TORINO - «Lì non c'era nessuno. Proprio nessuno che mi dicesse cosa si dovesse fare, quali erano i rischi. Di incendi ne ho visti tanti e, in questi casi, trovo sempre degli addetti alla sicurezza che mi spiegano cosa è successo, che danno indicazioni sul da farsi». Ma in corso Regina Margherita 400, in quella notte maledetta, non erano presenti. «Solo dopo quasi un’ora, sono riuscito ad acquisire informalmente i nomi dei responsabili della sicurezza». Sono parole dell’ispettore capo della polizia Massimo Galasso, il primo testimone del processo ThyssenKrupp.
Fu proprio lui, uno dei primi a entrare nello stabilimento per soccorrere chi fuggiva dalle fiamme. «Siamo stati chiamati da un gruppo di operai agitatissimi che ci gridavano che c'era un incendio in corso, che c'erano dei loro compagni feriti». Gli agenti arrivarono sul luogo dopo pochi minuti, entrando alle spalle dell’incendio. Davanti a loro: fuoco e tanto fumo, un muletto e macchinari che bruciavano e per terra i feriti «Ho scavalcato un corpo – racconta - e all'inizio non ho neanche capito che era un essere umano, mi era sembrato un sacco dell'immondizia, poi un altro mi è sbucato davanti e mi ha detto che non voleva morire allora io gli ho stretto la mano». Cercarono di allontanarli dal rogo. «I feriti – continua Galasso - erano coscienti, non si lamentavano ma parlavano, uno era totalmente nudo, un altro aveva una piccola parte di indumenti all'altezza del pube». La polizia, su invito del pm Guariniello, incominciò l’individuazione dei presenti. All’appello mancava un solo operaio: Antonio Schiavone, travolto da una palla di fuoco, tra gli 800 e i mille gradi. Fu il primo dei sette morti della strage.
L’ispettore, in servizio al commissariato San Paolo, ricorda poi l’incontro con Antonio Boccuzzi, ex operaio della linea 5 ora parlamentare del Pd: «Era agitato e l'ho invitato più volte ad andare via ma lui insisteva a rimanere. Quando gli abbiamo detto che un suo compagno era morto si è sentito male ed è stato portato in ospedale». Galasso, tra i primi ad arrivare, è stato l’ultimo ad uscire dallo stabilimento. Solo dopo aver rimosso il cadavere e apposto i sigilli: «Chiamammo noi la polizia scientifica» aggiunge. Il suo racconto nella maxi aula del Palazzo di giustizia è drammatico. Ma è soprattutto quell’affermazione sull’assenza di esperti della sicurezza, che getta una luce ancora più oscura sui fatti: «Li rintracciai – precisa - tramite il personale di vigilanza alla guardiola». Tra questi, anche Cosimo Cafueri, responsabile dell'area ecologia-ambiente-sicurezza dell’acciaieria torinese, uno dei sei imputati al processo.
Processo Thyssen, quarta udienza
Da il manifesto del 14 febbraio
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