giovedì 18 febbraio 2010

Phonemedia, ammortizzatori beffa a Vercelli

TRINO VERCELLESE - La nebbia della bassa vercellese non dà scampo, il freddo entra nelle ossa. Anche se ci vivi da tempo, non ti abitui mai. Per fortuna, all'interno della sede occupata di Phonemedia di Trino si sta al caldo. Dai primi di dicembre i lavoratori vivono e dormono qui. Si danno il cambio. Non prendono lo stipendio, hanno perso le commesse (Telecom in testa), ma non sono né cassaintegrati né licenziati. «Il problema è definirsi, non sappiamo più chi siamo. Se vai in banca ti rispondono picche» spiega Roberto Croce, rsa Cgil. Da quando sono finiti nelle mani di una società fantasma, Omega, sono piombati in un limbo infernale.

Loro, 7 mila in Italia, 1500 in Piemonte e 300 a Trino, non sono spettri, sono persone, magari monoreddito, con una famiglia alle spalle e il padrone di casa pronto a cacciarti. È già successo, pure a Trino. Hanno pudore nel parlarne, ma sono stufi: «Stufi delle promesse dei politici. Vogliamo che si blocchino gli sfratti e i mutui e un sostegno al reddito vero, non prestiti agevolati. Ci spaventa anche solo l'idea di diventare debitori. Chiediamo l'erogazione diretta di denaro».

Lunedì, poteva essere un giorno utile. Invece, è stato un bluff. A Vercelli, in un consiglio provinciale infuocato, a pochi giorni dall'arresto del presidente Renzo Masoero per concussione, si discuteva della possibilità di destinare ai lavoratori Phonemedia 500 mila euro dei fondi Scanzano (compensazioni nucleari). «Siamo andati in consiglio - racconta Matteo, 23 anni - perché quei soldi, 800 o 1000 euro a testa, ce li avevano assicurati entro fine febbraio, ma abbiamo scoperto che li avremo forse a fine marzo». Poi la beffa: la stessa delibera destina quasi 3 milioni di euro «per la valorizzazione turistica» all'associazione Terre d'Acqua vicina a Roberto Rosso. Proprio quell'onorevole Rosso, trinese, parlamentare Pdl, consigliere provinciale, che si era fatto garante della promessa.

«Una sceneggiata». Prende il microfono Croce il mattino dopo nella sede occupata. «C'era chi rideva, chi leggeva il giornale. Rosso mi ha detto: "Cosa vuoi che siano due settimane in più?"». A lato dell'assemblea, c'è ancora chi dorme: negli uffici ci sono le brande, poi volantini, striscioni, per il resto tutto in ordine. È rimasta pure appesa una foto patinata del geometra novarese Francesco Cazzago, il padrone che ha venduto la sua creatura a Omega e ora vorrebbe tornare a Trino per costruire una centrale a biomasse. Domani, i lavoratori andranno a Novara per un corteo con i colleghi delle altre sedi. Replicheranno il 22, il giorno in cui il tribunale di Novara si pronuncerà sull'insolvenza dell'azienda. «Un commissariamento ci consentirebbe di accedere agli ammortizzatori e richiamare commesse pubbliche», spiega Salvatore Midolo, l'anima movimentista e sigla «cuffie in agitazione».

Nei corridoi si incrociano storie e generazioni. Margherita De Sanctis ha 52 anni «Dopo decenni precari, nel dicembre del 2008 finalmente un contratto a tempo indeterminato. Neanche un anno e l'ho perso». Girolamo Bavetta, 25 anni, ha iniziato da studente universitario: «Dicevano che c'era la crisi, ma ci facevano fare straordinari non pagati. Per non parlare delle commesse nei periodi pre-elettorali, telefonate per Forza Italia oltre i tempi della campagna». A Trino, sono venuti anche i lavoratori biellesi di Phonemedia: «Siamo stati i primi a scioperare e ora non abbiamo nemmeno più la sede», dice Salvatore Trupiano.

A pranzo, si attraversa il gelo fino alla Tenda Verde. Filippa Carpino, tre anni a mille euro al mese, ha due figli e un marito, Turi, carpentiere, che ha pavimentato la tenda: «Stasera - racconta mentre prepara il caffé - dormirò qui, la solidarietà tra noi è la cosa più bella». I lavoratori hanno aperto due conti: i trinesi uno intestato a Comune di Trino (corso Cavour 17, causale: sostegno ai lavoratori del call center di Trino IT26T0609044840000000000825; i biellesi uno intestato a Monica Antonelli (fondo solidarietà lavoratori Phonemedia Biella) IT06K0306967684510218802512.

Da il manifesto del 17 febbraio

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