domenica 15 novembre 2009

Detenuto si impicca, ma è giallo a Vercelli

Si chiamava Massimo Gallo ed era in carcere per tentato furto. E' stato ritrovato in un sottoscala. Ristretti Orizzonti denuncia: "E se fosse un omicidio mascherato da suicidio?"

VERCELLI - Un altro morto in carcere, un altro tossicodipendente, con problemi di disagio psichico. Uno che lì non ci doveva stare. Massimo Gallo, origine calabrese, aveva 46 anni ed era detenuto nella Casa circondariale di Vercelli, dove scontava una condanna per tentato furto, un reato da niente. Sarebbe uscito dal carcere nel 2011. E' stato trovato impiccato giovedì pomeriggio in un sottoscala: aveva un lenzuolo al collo annodato all'inferriata di un cancello inutilizzato. Suicidio, così è stato classificato. «Un po' troppo frettolosamente», sostiene Ristretti Orizzonti, la testata sul mondo carcerario. «Per quanto ci risulta sarebbe la prima volta che un detenuto si suicida fuori dalla cella». Quando si decide di farla finita in carcere, in genere, ci si impicca alle sbarre o si va in bagno, preferibilmente nelle ore notturne. Gallo è morto alle 15.

«Come ha fatto a uscire di cella con un lenzuolo? Non è prevista la perquisizione, prima dell'accesso al cortile dei "passeggi"?». Questi i primi interrogativi. Il direttore del carcere di Vercelli Antonino Raineri, da noi interpellato, risponde: «A causa del sovraffollamento le perquisizioni vengono fatte a campione». Un po' rischioso, forse. «Temo - aggiunge - si sia nascosto il lenzuolo sotto il giubbotto e gli agenti non l'abbiano visto». Sono 386 i detenuti nel carcere di Vercelli, seppure i posti siano 301. E di conseguenza sono meno gli agenti. Il direttore dice che però, sovraffollamento a parte («la vera piaga»), la situazione è sotto controllo. Non sono dello stesso parere i sindacati di polizia penitenziaria che la considerano «esplosiva». È notizia di pochi giorni fa che Raineri è indagato, insieme ad altri, per i reati di truffa e abuso d'ufficio in concorso. Motivo: un sopralluogo dei Nas ha evidenziato gravi carenze alla mensa (struttura fatiscente e pasti avariati), chiedendone la chiusura.

Quella di Massimo Gallo è una storia di sofferenza. Di una persona fragile, che in carcere non ci doveva stare. Come quella di tanti tossicodipendenti a cui vengono riservate pene enormi in proporzione a reati minimi: «E' frutto della legge ex Cirielli, che non permette attenuanti ai recidivi. Sono, invece, persone incompatibili con la vita in carcere» accusa Ornella Favero, direttrice del bimestrale Ristretti Orizzonti. Quando hanno avvertito la famiglia di Gallo, la sorella e il fratello nemmeno sapevano fosse in galera. Un'ora prima a Massimo avevano comunicato il trasferimento al carcere di Torino. «Chissà cosa avrà fatto scatenare nella sua mente» commenta Raineri. «Non è una grande motivazione - ribatte Favero - in verità il carcere di Torino fornisce una buona assistenza psichiatrica, quindi non sarebbe stata una soluzione peggiorativa». Ristretti Orizzonti solleva ulteriori dubbi: «Le auto-impiccagioni che si realizzano in carcere non causano una morte istantanea. Chi si impicca con i mezzi e le modalità possibili in carcere muore piuttosto per soffocamento, l'agonia può durare anche 10 minuti: come mai nessuno si è accorto di ciò che stava avvenendo? E se fosse un omicidio mascherato da suicidio?». Ipotesi che il direttore Raineri non prende nemmeno in considerazione: «Era nascosto, per quello non l'hanno potuto vedere. Ci potranno essere violenze in carcere, ma non sono la norma. E poi, sulla sicurezza dei miei detenuti non transigo, cerco sempre di metterne due per cella perché non stiano soli».

Da il manifesto del 14 novembre

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