Ti chiamano alle 12 o alle 16,30, poco cambia. Sei appena tornato dalle
ferie o, peggio, dalla cassa integrazione. Non hai nemmeno il tempo di
pensare cosa vorranno dirti che ti avvisano subito: vai in ufficio, ti
vuole il direttore o la segretaria del capo del personale. Pochi
dettagli non cambiano una storia che si ripete quasi in fotocopia.
Percorri i corridoi della fabbrica e quando si apre la porta della
stanza, l’atteggiamento di chi ti accoglie è ogni volta identico: freddo
ma educato. Il motivo della chiamata è lo stesso, per tutti,
licenziamento per «motivi economici».
È successo a Vittorio, Yuri, Mirko, Martino, Daniele e Paolo. Cinque
sono iscritti alla Fiom, uno è un ex iscritto. Sono, tra i
metalmeccanici, le prime vittime della riforma Fornero, che ha
modificato, svuotandolo, l’articolo 18. D’altronde la legge è in vigore
dal 18 luglio, perché non applicarla si sarà detto qualche imprenditore
(nei giorni scorsi ad approfittarne è stato il colosso cinese delle
telecomunicazioni Huawei, che ha lasciato a casa due lavoratori).
Questa è la storia di sei lavoratori scomodi. I primi tre lavorano in
un’azienda dell’astigiano, gli altri in una ditta di Moncalieri,
sessanta chilometri di distanza lungo le strade di un Piemonte sempre
più marchionizzato. Partiamo da Cerro Tanaro, in provincia di Asti,
dalla Lagor, che produce nuclei per trasformatori elettrici. Vittorio
Gaffodio ha 45 anni e ci lavora dal ’91. «L’ho vista crescere». È membro
della segreteria provinciale delle tute blu della Cgil, eletto la prima
volta Rsu nel 2003: «L’anno successivo chiediamo all’azienda un’analisi
della polveri. Risulta la presenza di silicio e cromo esavalente.
Preoccupati, chiediamo di fare installare degli aspiratori, ma la
risposta è picche. Sono percentuali inique, dicono. Successivamente
facciamo denuncia allo Spresal dell’Asl, che nell’ottobre del 2010 si
presenta per le indagini. Da quel momento inizia nei miei confronti un
duro attacco e continue pressioni. In bacheca compare un documento
aziendale che parla di un rapporto di fiducia rotto, la direzione
minaccia di togliere i premi aziendali». Vince la paura. «La Fim decide
di raccogliere le firme per far decadere le Rsu». La Fiom che per sette
anni era stata maggioranza alle elezioni perde. «E così, nei due anni
successivi, ogni volta, che spuntava la cassa integrazione ero il primo a
essere lasciato a casa, con il salario ridotto a 750-800 euro al mese,
una moglie attualmente disoccupata e un mutuo da pagare».
Arriviamo a venerdì scorso, alle 12. «Stavo facendo il primo turno, mi
chiama il direttore e mi dà un foglio. Da quel momento vengo licenziato
per motivi oggettivi. In una recente visita, richiesta dal medico
aziendale, sono stato considerato inidoneo nello svolgere il turno di
notte». Il pretesto. «E pensare che in tutta la mia carriera in Lagor
l’avrò fatto una settimana tanti anni fa». Vittorio si domanda: «Questi
sarebbero licenziamenti economici? Si risolve la crisi mandando a casa
tre lavoratori in uno stabilimento che ne conta cento? Non sono altro
che discriminatori contro chi ha alzato la testa. Prima della riforma
Fornero si sarebbe aperta una procedura di mobilità. Ora, non ho nemmeno
il diritto agli ammortizzatori». Ma rimane ottimista e spera nel
referendum contro la riforma.
Insieme a Gaffodio, il licenziamento è stato notificato a Mirko
Passalacqua e a Yuri Cravanzola: «Non sarò un rompiscatole come Vittorio
– racconta Cravanzola – ma da quando decisi di non firmare il documento
che fece decadere le Rsu, anch’io ho subito pressioni e l’offerta di
una buonuscita di 7 mila euro. Non l’ho accettata. Venerdì è stata una
doccia fredda. Vogliono toglierci ogni diritto, renderci schiavi. Il
ministro Fornero diceva che con la riforma ci avrebbe fatto un favore,
mi chiedo ora, che avrebbe fatto se voleva farci un torto».
Sta seguendo da vicino la vicenda Giuseppe Morabito, segretario Fiom
Asti: «C’è stato un calo di commesse, ma l’azienda non ha mai chiesto
cassa straordinaria o mobilità. Impugneremo i licenziamenti e
dimostreremo che i motivi non sussistono. Purtroppo, i lavoratori
rischiano di vedersi riconosciuto solo l’indennizzo e non il reintegro».
A Moncalieri, alla Model Master, azienda di design con 150 addetti,
stesso copione: tre lavoratori, iscritti alla Fiom e il pretesto della
crisi. Martino Grisorio, ex Rsu entrato in fabbrica 25 anni fa, racconta
la sua vicenda e quella dei colleghi, Daniele Giordanino e Paolo
Bauducco, modellatori di stile: «Il 3 settembre, alle 16,30, veniamo
convocati e ci viene data lettera di licenziamento con motivazioni
oggettive di natura economica».
Per Giordanino non è una prima volta: anni fa era stato licenziato senza
giusta causa e poi riammesso dal giudice, grazie all’articolo 18. Come
alla Lagor, c’è un passaggio determinante: «Nei mesi scorsi ci siamo
opposti all’adozione di un contratto stile Fiat, con l’uscita da
Confindustria e dal contratto nazionale. E da quel momento l’azienda ha
evitato ogni dialogo con noi, anche quando è stata decisa una quarta
settimana di chiusura di alcuni reparti. Non sono veri i motivi
economici: mesi fa sono stati assunti alcuni addetti nel nostro reparto.
Noi siamo i primi a subire la riforma, c’è bisogno di un argine.
Dobbiamo convincere i giudici della discriminazione». Mercoledì ci sono
state due ore di sciopero. Secondo Edi Lazzi, funzionario Fiom, «questa
vicenda testimonia come sia una legge sbagliata e da cambiare».
Da il manifesto del 14 settembre
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