mercoledì 9 maggio 2012

Le cartucce del governatore Cota contro il referendum anti-caccia

 Il "tranello" della Regione Piemonte: abrogata la legge oggetto di consultazione, ma le norme restano uguali

Una battaglia lunga 25 anni scippata in una manciata di minuti. Quelli impiegati per approvare un emendamento alla finanziaria proposto dall'assessore piemontese Claudio Sacchetto (Lega Nord) per abrogare la legge regionale sulla caccia e, così, cancellare il referendum previsto per il prossimo 3 giugno. Ebbene sì, in Piemonte si doveva votare per limitare la caccia, proteggere 25 specie (alcune a rischio di estinzione), impedirla la domenica e su terreni innevati. Un appuntamento atteso dal 1987, quando le associazioni animaliste e ambientaliste raccolsero 60mila firme ma furono poi trascinate in un'estenuante battaglia legale attraverso 9 gradi di giudizio e ostacolate da un ostruzionismo istituzionale, di ogni colore politico (tanto è forte la piccola lobby dei cacciatori, 0,6% dei piemontesi).
Dopo un quarto di secolo, in attesa di esercitare un diritto di voto, all'inizio di quest'anno il Tar aveva imposto alla Regione l'indizione del referendum. L'appello per il voto era stato firmato dal presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky e si era rimesso in moto il vecchio comitato promotore (Pro Natura, Lav, Lac, Lipu, Wwf, Italia Nostra, Legambiente, Radicali), che ora attacca: «Uno schiaffo alla democrazia». L'abrogazione «è un espediente per evitare il referendum, senza che vengano assunti in legge i quesiti referendari». Ma non si dà per vinto: è pronto a nuovi ricorsi. E il 3 giugno, il movimento sarà in piazza a Torino per una manifestazione nazionale.
Piero Belletti, professore universitario di genetica agraria, è stato uno dei primi firmatari del referendum, ora è il portavoce del comitato: «Sono stati calpestati i diritti dei cittadini: hanno abrogato la legge oggetto di referendum con l'accordo di farne un'altra appena passato il rischio di una consultazione. E hanno giustificato il tutto con il risparmio delle spese (malgrado il comitato avesse chiesto l'accorpamento alle amministrative, ndr)». «Saluto positivamente il risparmio di 22 milioni - ha detto il presidente Roberto Cota - che, in un momento così delicato, potranno essere impegnati a sostegno delle categorie più deboli». Colpo di mano contestato dall'opposizione: Sel, Fds, Idv, M5s e, in modo più sfumato, dal Pd . Ieri, bagarre in aula. E, mentre manca ancora il parere del Collegio di garanzia e il disegno di una nuova legge rimane per Cota «un augurio», Andrea Stara (Insieme per Bresso) avverte che l'escamotage dell'abrogazione «non basta a evitare le urne».
«È grave che le iniziative che favoriscono la partecipazione diretta vengano liquidate come uno spreco. Ovvio che abbiano un costo, se no aboliamo le elezioni?», denuncia Belletti. «Quello che è successo - aggiunge il portavoce - dimostra come in Italia non esista più la certezza del diritto, la classe politica può fare ciò che vuole». Il vuoto normativo è stato coperto dalla legge nazionale sull'attività venatoria, più permissiva (44 specie cacciabili contro le 29 della legge piemontese). Ma il comitato non considera persa la partita: «Oltre a ricorsi amministravi, non escludiamo una denuncia penale. Riteniamo si sia configurata una violazione ai diritti costituzionali dei cittadini».
E, sul tema democrazia, interviene Daniela Bauduin, avvocato e studiosa di diritto: «Ci sono profili di possibile illegittimità costituzionale: hanno abrogato la legge oggetto di referendum ma non l'hanno sostituita con un'altra di diversi principi ispiratori, hanno invece applicato quella nazionale, con principi uguali».

Da il manifesto del 9 maggio

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