CHIOMONTE - La valle non ci sta. Non ci sta a passare per violenta. «Violenti sono loro, i poliziotti» dicono i No Tav. «I black bloc? Sono una balla inventata dai media. La gente si è difesa come ha potuto dai lacrimogeni proibiti e dai manganelli delle forze dell'ordine. Ci hanno gasato per ore. Sparavano da tutte le parti, dall'alto e ad altezza uomo, pure proiettili di gomma».
Il giorno dopo gli scontri di Chiomonte, la tensione rimane alta. Il movimento si è riunito sotto la tenda del nuovo presidio, all'inizio della Maddalena, poco prima della «zona rossa», per raccontare la propria versione di quello che è accaduto domenica. Non combacia con la vulgata mainstream, a partire dalle cifre: «Erano 60 mila i manifestanti e non 6 o 7 mila come vorrebbe la Questura». Tocca a Maurizio Piccione dei comitati rompere il ghiaccio: «Non c'erano black bloc stranieri, ma solo persone, in grandissima parte della Valle di Susa, che si erano equipaggiati con caschetti e maschere antigas per difendersi dopo quello che era successo lunedì scorso, quando i limoni erano stati una lezione di vita. Tutti a mani pulite. Giovani e vecchi».
«L'obiettivo era assediare il cantiere non occuparlo, passando dai sentieri di Giaglione - racconta ancora Piccione - chi è venuto era attrezzato per farlo. Abbiamo ripreso la baita, simbolo del nostro vecchio presidio, e scoperto che si trova fuori dalla recinzione che protegge i blindati e non i lavori, che non sono nemmeno iniziati, come ci vogliono far credere. Ci siamo avvicinati alle reti, ma ci hanno aggredito a colpi di lacrimogeni, pietre e getti di idranti. Noi ci siamo difesi come abbiamo potuto, non ci è rimasto altro da fare che continuare a difenderci». La baita presidio è diventata un'infermeria: 223 feriti, dicono i manifestanti. Per Lele Rizzo, uno dei portavoce No Tav, «è stato compiuto uno dei passaggi più alti della storia politica italiana. Il nostro modo di agire è quello della resistenza popolare. Si è inventato lo spauracchio dei black bloc perchè non ci si arrende all'idea di un'intera valle che vuole resistere».
Sulle future iniziative, risponde: «Ci riuniremo in assemblea, come sempre». Interviene Davide Bono, consigliere del Movimento cinque stelle: «Se indossare un casco e una maschera antigas per proteggersi significa essere black bloc, allora anch'io lo sono. Voglio ricordare che il movimento No Tav è pacifico e non violento, a differenza di quello che dice la classe politica, di destra e di sinistra, e anche il presidente Napolitano. Certo, ci sono stati manifestanti che hanno lanciate pietre. Avrei voluto fare resistenza non-violenta ghandiana, ma mi chiedo: Ghandi cosa avrebbe fatto davanti ai lacrimogeni Cs? Si sarebbe alzato e sarebbe scappato o sarebbe rimasto a soffocare come i topi?».
Alcuni documentaristi, tra cui Manolo Luppichini, hanno ripreso le cariche ad altezza uomo, gli spari dall'alto, i lanci di pietre da parte degli uomini in divisa. È una testimonianza forte, al presidio non c'è stupore, più rabbia: «Li abbiamo visti con i nostri occhi» dice una signora sui settanta. I valsusini sono esasperati dalla militarizzazione del loro territori, le lori voci sono spesso concitate e talvolta i rapporti con i giornalisti sfociano nel nervosismo.
Ma c'è chi prova a mantenere la calma. Tutti concordano nel dire che «non possiamo e non vogliamo cedere», sintetizza Nicoletta Dosio, esponente storica. Intanto, dal 10 al 30 luglio verrà allestito un campeggio internazionale a cento metri dal blocco della diga. Ieri, il silenzio pomeridiano è stato interrotto da un'esplosione che ha distrutto un camper abbandonato sotto il viadotto dell'autostrada del Frejus. Era dei No Tav. «L'hanno incendiato gli operai dell'Italcoge (la ditta incaricata dei lavori preliminari per il cantiere della Maddalena, ndr), protetti dalla polizia», è l'accusa lanciata da Francesco Richetto. Assente giustificato Alberto Perino: è stato ascoltato come persona informata dalla Procura di Torino sul recupero di «nuove lettere anonime» che gli sono state indirizzate. Ha lasciato il Palazzo di giustizia senza rilasciare dichiarazioni.
Da il manifesto del 5 luglio
Il giorno dopo gli scontri di Chiomonte, la tensione rimane alta. Il movimento si è riunito sotto la tenda del nuovo presidio, all'inizio della Maddalena, poco prima della «zona rossa», per raccontare la propria versione di quello che è accaduto domenica. Non combacia con la vulgata mainstream, a partire dalle cifre: «Erano 60 mila i manifestanti e non 6 o 7 mila come vorrebbe la Questura». Tocca a Maurizio Piccione dei comitati rompere il ghiaccio: «Non c'erano black bloc stranieri, ma solo persone, in grandissima parte della Valle di Susa, che si erano equipaggiati con caschetti e maschere antigas per difendersi dopo quello che era successo lunedì scorso, quando i limoni erano stati una lezione di vita. Tutti a mani pulite. Giovani e vecchi».
«L'obiettivo era assediare il cantiere non occuparlo, passando dai sentieri di Giaglione - racconta ancora Piccione - chi è venuto era attrezzato per farlo. Abbiamo ripreso la baita, simbolo del nostro vecchio presidio, e scoperto che si trova fuori dalla recinzione che protegge i blindati e non i lavori, che non sono nemmeno iniziati, come ci vogliono far credere. Ci siamo avvicinati alle reti, ma ci hanno aggredito a colpi di lacrimogeni, pietre e getti di idranti. Noi ci siamo difesi come abbiamo potuto, non ci è rimasto altro da fare che continuare a difenderci». La baita presidio è diventata un'infermeria: 223 feriti, dicono i manifestanti. Per Lele Rizzo, uno dei portavoce No Tav, «è stato compiuto uno dei passaggi più alti della storia politica italiana. Il nostro modo di agire è quello della resistenza popolare. Si è inventato lo spauracchio dei black bloc perchè non ci si arrende all'idea di un'intera valle che vuole resistere».
Sulle future iniziative, risponde: «Ci riuniremo in assemblea, come sempre». Interviene Davide Bono, consigliere del Movimento cinque stelle: «Se indossare un casco e una maschera antigas per proteggersi significa essere black bloc, allora anch'io lo sono. Voglio ricordare che il movimento No Tav è pacifico e non violento, a differenza di quello che dice la classe politica, di destra e di sinistra, e anche il presidente Napolitano. Certo, ci sono stati manifestanti che hanno lanciate pietre. Avrei voluto fare resistenza non-violenta ghandiana, ma mi chiedo: Ghandi cosa avrebbe fatto davanti ai lacrimogeni Cs? Si sarebbe alzato e sarebbe scappato o sarebbe rimasto a soffocare come i topi?».
Alcuni documentaristi, tra cui Manolo Luppichini, hanno ripreso le cariche ad altezza uomo, gli spari dall'alto, i lanci di pietre da parte degli uomini in divisa. È una testimonianza forte, al presidio non c'è stupore, più rabbia: «Li abbiamo visti con i nostri occhi» dice una signora sui settanta. I valsusini sono esasperati dalla militarizzazione del loro territori, le lori voci sono spesso concitate e talvolta i rapporti con i giornalisti sfociano nel nervosismo.
Ma c'è chi prova a mantenere la calma. Tutti concordano nel dire che «non possiamo e non vogliamo cedere», sintetizza Nicoletta Dosio, esponente storica. Intanto, dal 10 al 30 luglio verrà allestito un campeggio internazionale a cento metri dal blocco della diga. Ieri, il silenzio pomeridiano è stato interrotto da un'esplosione che ha distrutto un camper abbandonato sotto il viadotto dell'autostrada del Frejus. Era dei No Tav. «L'hanno incendiato gli operai dell'Italcoge (la ditta incaricata dei lavori preliminari per il cantiere della Maddalena, ndr), protetti dalla polizia», è l'accusa lanciata da Francesco Richetto. Assente giustificato Alberto Perino: è stato ascoltato come persona informata dalla Procura di Torino sul recupero di «nuove lettere anonime» che gli sono state indirizzate. Ha lasciato il Palazzo di giustizia senza rilasciare dichiarazioni.
Da il manifesto del 5 luglio
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