La lunga notte nel presidio di Chiomonte. Nel fronte del no anche lo storico Revelli e l'ex ministro Ferrero. Dopo, le urla e la rabbia dei manifestanti in mezzo alle barricate "Stalingrado" e "Saigon"
CHIOMONTE - Alle 3 di notte l'attesa al presidio No Tav si riempe di tensione. Dicono: “Sono partiti!”. Si riferiscono ai blindati e alle forze dell'ordine avvistati a Bardonecchia e a Torino. Manca poco all'ora del blitz. Le indiscrezioni diffuse alla fiaccolata di Chiomonte, quindi, erano fondate. I numerosi manifestanti si ritrovano nel piazzale della Maddalena, cercano di fare il punto. I sorrisi diventano stretti. Si distribuiscono nelle varie barricate, nei tre punti d'accesso: strada dell'Avanà, Giaglione e lungo l'autostrada Torino-Bardonecchia. Alcune donne preparano i caffé nello stand Alpi libere: “Bisogna stare svegli”. Il leader No Tav, Alberto Perino, aveva detto “Resistere resistere, resistere”. Ci proveranno tutti. Alla Maddalena sono in tanti, giovani e vecchi. Anche qualche volto conosciuto, lo storico Marco Revelli e l'ex ministro alla Solidarietà Paolo Ferrero. Sarà una giornata caldissima.
Poco prima delle 5 il cielo si riempe di fuochi d'artificio. È l'allarme in codice dei No Tav: “Sono arrivati”. E lo hanno fatto in forze, oltre duemila uomini: poliziotti, carabinieri e finanzieri. Ma sull'autostrada, la barricata Stalingrado dove si teme l'attacco maggiore, spuntano solo mezz'ora dopo. draghe con pinze, spalaneve e ruspe.I manifestanti li aspettano con bandiere e caschetti bianchi e urlano: “Giù le mani dalla Valsusa”. Intanto, con le prime luci dell'alba un elicottero sorvola la zona. Il presidio è grande ma le informazioni da un parte all'altra non mancano e la distribuzione delle “truppe” dipende dagli allarmi. Il primo fronte aperto è quello di Giaglione. Sugli altri è una guerra di nervi. Appena la draga incomincia a lavorare con il supporto dell'acqua sparata dagli idranti della polizia partono i cori: “Servi”, “Mafiosi”, ma anche lo storico motto No Tav, “Sarà dura!”. Ma quando òe pinze del mezzo si avvicinano ai volti dei ragazzi in prima fila con le bandiere gli equilibri si rompono. Sopra la galleria corrono in loro soccorso altri manifestanti, che spruzzano vernice contro il parabrezza dell'addetto alla draga. Sale la tensione. Turi Vaccaro, capelli lunghi e piedi nudi, pacifista nonviolento, salta la barricata arriva fino alla ruspa (“volevo solo benedirla” dirà), ma viene preso e fermato dalla polizia. Si diffonde la notizia che all'ingresso di Giaglione la resistenza è difficoltà, pure la barricata ha i suoi problemi alla Centrale, un serpentone di forze dell'ordine e blindati cerca di sfondarla. Qui gli amministratori locali provano a mediare, ma la risposta viene considerata irricevibile. “Ci hanno detto “vi lasciamo prendere le vostre cose e andare via”, noi abbiamo detto di no”. La barricata verrà sfondata alle 8,45 con il lancio di lacrimogeni.
L'attacco si fa più concreto anche contro le barricate Stalingrado e Saigon. I manifestanti resistono, con il loro corpo. Qualcuno tira pietre e oggetti verso la ruspa e le forze dell'ordine, ma viene subito ripreso dalla maggioranza del movimento, che urla di non farlo. Una ragazza si avvicina alle prime file e avverte: “All'unità di crisi (a Bussoleno dove si ritrovano i membri della Comunità montana) hanno detto che presto entreranno e sgombereranno. Hanno un'ordinanza del Prefetto”. Il pool legale dei No Tav scuote la testa: è illegittima: “Non possono cacciarci dal piazzale, perché è stata pagata l'occupazione di suolo pubblico”. Tira brutta aria: quello sarebbe dovuto essere il rifugio in caso di attacco finale. Gli avvocati avevano, tra l'altro, inoltrato una diffida al Ministero dell'Interno ed alla Prefettura di Torino: oltre ai diversi ricorsi ai Tar del Piemonte e del Lazio, infatti, molti dei terreni interessati dall’azione sono di proprietà privata o Ormai è chiara la strategia delle forze dell'ordine: accerchiare il movimento sui tre fronti, assediarlo e cacciarlo con la forza. L'attacco diventa durissimo. Lacrimogeni a raffica. Tantissimi.
Cadono le barricate, la polizia sale e scatta la paura. La fuga. I manifestanti si dirigono nei boschi, verso Ramtas. La Maddalena diventa una nube di fumo. Per chi si attarda è un incubo, tanti si sentono male, gli occhi bruciano e la gola pizzica: “Sto soffocando” urla un ragazzo a cui portano presto da bere. I sentieri tra gli alberi sembrano un luogo più sicuro. Non è così. Le forze dell'ordine sparano ancora lacrimogeni. Senza motivo, ormai hanno il controllo e il pieno possesso del presidio. La gente prosegue per il crinale della montagna con in mano limoni, fazzoletti e acqua. L'aria è irrespirabile, la metà è lontana. Ma nella disperazione scatta qualcosa, la voglia di dire: “Non è tutto finito”. «Abbiamo perso un round, non la guerra. Oggi è andata come si pensava. Non abbiamo potuto resistere a un attacco delle forze dell'ordine che hanno sparato migliaia di lacrimogeni. Andiamo avanti» dice Perino. La resistenza è subito ripartita: blocchi in Valle ma anche a Torino (dove è stato contestato il Pd e il sindaco Piero Fassino). Persa la Maddalena, dopo Ramtas, si corre a Chiomonte e poi a Bussoleno, per l'assemblea. Si devono decidere le prossime iniziative.
Da Il Secolo XIX del 28 giugno
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