Rischio cemento sotto la Mole. Si chiama Bor.Set.to dal nome dei comuni coinvolti: Borgaro, Settimo e Torino. E' un'area verde grande come Central Park su cui da anni puntano gli speculatori - dal Vaticano a Sindona a Ligresti - che riescono a imporre alla politica (di centrosinistra) «utili» modifiche
TORINO - Fortuna che c'è la crisi a placare un po' il pressing delle ruspe. Se no, non si fermerebbero mai. Già che di suolo se ne mangiano, in Italia, quasi 250 mila ettari l'anno. E in 16 hanno costruito un'altra Torino ai margini della città, con un aumento di superficie edificata in provincia di 7.500 ettari. Dati che raccontano di un progressivo prevalere della grande e media proprietà immobiliare sui poteri di controllo degli enti locali. Di una politica non più attenta alle esigenze della collettività. Niente di nuovo, è una spirale che affonda le radici negli anni Ottanta e ha contaminato anche la sinistra. Ma ciò che emerge nell'ultimo periodo è la capacità dei privati di imporre alle assemblee elettive la propria visione urbana (il proprio tornaconto). Mega progetti di cittadelle sportive, parchi divertimenti, villaggi residenziali in stile berlusconiano, che fanno leva sul simbolico, ma non rispondono mai a una reale domanda. Sintomo di una «bolla culturale» da cui non riusciamo a scuoterci. E, a tutto questo, si aggiungono gli strumenti di programmazione territoriale che si sostituiscono alla pianificazione urbanistica e ai vincoli che impone.
Ai tempi della giunta Novelli
«I progetti dei grandi potentati sono presentati come occasione irripetibile per assicurare un vantaggio alla collettività in termini di sviluppo economico e sociale». Lo spiega Raffaele Radicioni, uno che di urbanistica se ne intende: è stato assessore delle giunte Novelli dal 1975 al 1985. Quando si pensava a una Torino dalla struttura «a griglia» invece che radiocentrica, a rompere i confini tra centro e periferia, a trasformazioni urbane svincolate dalla rendita fondiaria, ad aprire a tutti l'elitaria collina e a ridurre il costo della casa. Allo stato delle cose, ha perso, ma alle sue idee ci tiene. E negli ultimi anni, oltre a essere l'autore del libro Torino invisibile, è stato protagonista di una lotta contro un progetto che racchiude lo scarto culturale di un'epoca. E anche le contraddizioni: «Un baratto tra pubblico e privato per costruire dove non si poteva». È il caso Bor.Set.to, acronimo che prende il nome dai comuni che in quest'area, nella zona nord di Torino vicino alla tange nziale, si incontrano: Borgaro, Settimo e Torino. Un territorio conteso da 40 anni, che ciclicamente torna a far parlare di sé. Un polmone verde grande quanto Central Park, tre milioni e 200 mila metri quadri; l'unico spazio agricolo ai confini della metropoli. Nel passato ha fatto gola a Sogene, l'immobiliare prima del Vaticano poi di Michele Sindona, che sul terreno voleva dar luce a una «Città Satellite» da 60 mila abitanti e, negli ultimi anni, alletta Salvatore Ligresti. Il re del mattone, nonché della finanza, che - gettati alle spalle i guai giudiziari di Tangentopoli (condanna a 2 anni e 4 mesi per lo scandalo Eni Sai) - ha allungato le mani, o meglio il cemento, su Torino. Nel 2007 fu accolto con fasti dal sindaco Sergio Chiamparino. Arrivò in elicottero per la conferenza del MiTo, la manifestazione musicale tra Milano e Torino, e si incontrò in gran segreto con le istituzioni sabaude. Se ne fece un gran parlare. Sembrava che Totò avesse le mani sulla città: un grattacielo vicino a Porta Susa (accanto alla contestata Torre Intesa-Sanpaolo di Piano), dove insediare il quartiere generale di Sai Fondiaria di cui è presidente onorario, un altro lungo la Spina, la realizzazione della Biblioteca civica e il «gran baratto» del Bor.Set.to.
L'Expo di Milano sposta gli interessi
Ligresti, in quest'area, vorrebbe costruire una Falchera 2 (una delle ipotesi era di 1500 alloggi al posto del futuro parco dei laghetti). Diciamo un'edizione più à la page dell'attuale quartiere popolare, o forse per ironia della sorte una Milano 4, per la vicinanza con la futura stazione dell'Alta velocità, Torino Stura, che la renderebbe più appetibile ai palati meneghini. Adesso è tutto fermo: non è più il 2007, c'è la crisi e c'è anche l'Expo di Milano, dove si stanno concentrando le mire del patron di Sai. Il progetto rimane congelato ma non si sa fino a quando: «Probabilmente aspettano, con la fine del passante ferroviario nel 2012, le migliori opportunità immobiliari - pungola Emilio Soave, Pro Natura - perché, come ama ripetere l'assessore all'urbanistica del comune di Torino, Mario Viano, al privato si devono sempre fornire le più agevoli condizioni per investire». Ma anche nella tregua, meglio tenere le attenne ritte: «Un leitmotiv entra nel subconscio della gente come un mantra. Dicono, tanto non lo faranno mai, poi, appena l'attenzione scema, ecco le ruspe» sbotta Lucia Saglia, consigliere comunale Prc di Borgaro e animatrice del Coordinamento per la difesa delle aree Bor.Set.To.
All'inizio fu il Vaticano
Meglio raccontarla dall'inizio questa storia. «È uno dei più significativi casi di subalternità degli interessi pubblici rispetto a quelli privati», spiega Radicioni, storico membro del Collettivo d'architettura (Coar). Correva l'anno 1962 quando nacque la Urbanistica sociale torinese controllata al 71% dalla Sogene, l'immobiliare del Vaticano che nel 1963 acquistò i terreni al confine tra i 3 comuni, oltre 320 ettari, con l'intenzione - lo dimostrano gli atti d'acquisto - di costruirci la «città satellite». In aree di prima fascia agricola. Il progetto fu contrastato per 15 anni dal Pci e dalla sinistra Dc, fino a far saltare la testa del sindaco comunista Edoardo Defassi, invece favorevole. «Erano altri tempi» dice Radicioni, senza nostalgia né la celebrazione di un passato d'illusioni. Ma spiega: «Nei Settanta c'era un conflitto tra il privato, da una parte, e la cultura più qualificata e le amministrazioni di sinistra, dall'altra, che tentavano una politica di controllo e gestione del territorio». Il cambio è nei primi Ottanta: «Maturò al termine del governo di unità nazionale e, in concomitanza, ci fu la sentenza del 1980 della Corte costituzionale: un colpo al governo delle città. Fu, infatti, rigettata la legge del 1977 sull'edificabilità dei suoli, sancendo l'illegittimità della separazione fra proprietà dei suoli e diritto di edificare». Erano anni rampanti.
Lo sbarco di Ligresti
Nel 1991 fallisce Sogene, i liquidatori vendono i terreni alla neocostituita Bor.Set.To. Azionisti sono le acciaierie Ferrero, la Coop Antonelliana (poi uscita di scena) e Valorizzazioni edili moderne, ovvero Salvatore Ligresti, che ne tirerà le fila. Prendono contatto con le amministrazioni e sondano le possibilità edificatorie. Nel 1996, le istituzioni coordinate dall'assessore provinciale Luigi Rivalta provano ad acquisire l'area per 30 miliardi. Tentativo fallito. Nel 1999, la Provincia stabilisce che, nel Piano territoriale di coordinamento, quel lembo di area metropolitana sia preservato allo sviluppo edilizio, rimanendo agricolo. Il Piano deve però essere approvato dalla Regione. E prima di essere votato passano quattro anni in cui capita un po' di tutto. Nell'«attesa» entrano in vigore due nuovi strumenti di programmazione che permettono di aggirare la pianificazione. Il primo è Urban (finanziato dal Fondo europeo) per lo sviluppo sostenibile di quartieri in crisi con l'insediamento di infrastrutture e attività produttive. Il secondo è Pruust, ideato dal ministero delle Infrastrutture, per la costruzione di una «Tangenziale verde», più o meno un parco. «Sono il bastone e la carota ed è qui che prende piedi il do ut des. Con il protocollo d'intesa del 2004 tra Comuni, Provincia e Regione - racconta Radicioni - si concede la possibilità di edificare sul 12% (271 mila metri quadrati) dei terreni, attività produttive, servizi, case, in cambio della cessione gratuita della restante proprietà (2 milioni e 7 mila metri quadri) destinata alla Tangenziale Verde». Intanto, nel 2003 il comune di Borgaro approva una variante al Prg che trasforma parte delle zone Bor.Set.To da agricole a servizi per parchi urbani e territoriali. Negli stessi anni, nasce il Coordinamento per la difesa delle aree, formato da cittadini e associazioni ambientaliste, con l'appoggio di Prc, Pdci e Verdi. «Incominciammo a elaborare un libro bianco - spiega Lucia Saglia - e a preparare un ricorso al Tar (tuttora in sospeso), perché la variante era palesemente in contrasto con il Piano provinciale».
La protesta degli abitanti
È il 2007 quando Ligresti alza il tiro: vuole quadruplicare l'area residenziale della parte torinese, spostandola da Borgaro e collocandola vicino alla Falchera: più allettante farlo qui, il villaggio, a due passi ci sarà la stazione dell'Alta velocità. C'è chi calcolò una plusvalenza di 100 milioni di euro. Ma gli abitanti scendono sul piede di guerra, da vent'anni attendono che i due laghetti del quartiere vengano recuperati in una zona da destinare a parco, così dice il protocollo. L'amministrazione Chiamparino sposa invece la linea Ligresti: i palazzi saranno costruiti a semicerchio attorno ai laghi. E il parco? Nel maggio del 2008 il costruttore siciliano fa retromarcia. Non richiede più la revisione del protocollo. Ma rimane tutto in ballo. «Le amministrazioni gli hanno fornito lo scivolo» commenta Soave. «Senza nessuna pianificazione, senza valutare se c'è bisogno di nuovi palazzi, visto che in città gli alloggi sfitti sono 30 mila».
La Variante 200
Ma così vanno le cose. Ad Albiano d'Ivrea da 10 anni parlano di Mediapolis, il parco divertimenti con tre centri commerciali davanti al castello di Masino. La società, promotrice del progetto (con sede in Lussemburgo), ha i permessi per iniziare: le istituzioni hanno pure stanziato i fondi, mancano quelli privati. A Torino, la novità è la variante 200, che oltre a contemplare l'utile linea metropolitana, prevede triplicati i diritti edificatori. E le abitazioni del nuovo boulevard della Spina 3 non sono un bel segnale. Certo, non è prerogativa torinese: in Parlamento, la proposta di legge Lupi sulla gestione del territorio introdurrebbe i privati nell'attività di scelta urbana. Per le grandi città forse è un'utopia la crescita zero, ma una pianificazione diversa è la sola strada percorribile.
Da il manifesto del 24 dicembre
1 commento:
Eccomi, per domani sarà molto utile!
chia
Posta un commento