Parenti da tutta Europa all'apertura del processo a Torino. Morti e malati a causa dell'amianto
TORINO - Sono venuti in tanti. Da ogni angolo d'Europa dove l'amianto ha sparso morte. Sono venuti con la foto dei cari, con ansia di giustizia. Per dire che «ogni essere umano ha più valore di tutto l'amianto e il profitto al mondo» come recita lo striscione dell'Andeva, l'associazione francese delle vittime. Peppino Meloni ha 74 anni, un sorriso timido e le mani forti, arriva da Paray Le Monial, un comune della Borgogna vicino a Lione, meta di pellegrinaggi religiosi ma anche sede di uno stabilimento Eternit. Lui, in quel paese, è giunto negli anni Cinquanta, dalla Sardegna, e lì ha lavorato per trent'anni: «A respirare il veleno». Tra i suoi colleghi, gli amici, oltre cento morti. La fabbrica però non ha chiuso, è ancora attiva (come altre 4 in Francia): certo, non utilizza più l'amianto, ma fa sempre capo al gruppo belga Etex, diretto ora dal figlio del barone Louis de Cartier de Marchienne, imputato al processo contro i vertici Eternit, che ieri - dopo 8 anni di indagini e 200 mila pagine di documenti - si è finalmente aperto a Torino, tra una marea di parti civili, associazioni delle vittime, amministratori locali, giornalisti e avvocati. Basti pensare che a difendere l'altro imputato, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, c'è una squadra di 26 legali.
Vittime da tutta Europa
Fuori dal tribunale un meltin'pot di lingue, già di primo mattino. Dal Belgio, dalla Svizzera, dalla Francia, dalla Germania, da Napoli e da Rubiera, da Cavagnolo e da Casale Monferrato. Dieci sono i pullman dalla città simbolo della strage, con i suoi oltre 1500 morti e i 50 casi di mesotelioma diagnosticati all'anno, una cifra che non smette di salire. L'Eternit non ha ammazzato solo gli operai e le mogli che ne lavavano le tute, continua a uccidere e lo fa senza distinzioni: «Le nuove vittime - spiega Nicola Pondrano, ex operaio Eternit e storico leader della lunga lotta - sono cittadini comuni, sono soprattutto i bambini degli anni '60, quelli che giocavano nei cortili invasi dal polverino che l'azienda regalava». Ieri a Casale, in contemporanea alla prima udienza, un altro funerale, il quarto in pochi giorni. È morta una donna di 50 anni impiegata alle poste. «Siamo qui per i nostri cari - dice una signora che ha perso 5 anni fa il marito - e torneremo ogni volta, lo dobbiamo ai nostri morti. Non vogliamo i soldi di Schmidheiny (ha proposto una transizione a patto che le vittime evitassero la costituzione di parte civile, ndr)».
L'avvio del dibattimento per la gente di Casale è una prima vittoria, non un punto di arrivo: «E' un cammino verso la verità», dice Bruno Pesce, coordinatore della vertenza amianto. Il processo di Torino è diventato un esempio. La sua dimensione è ormai europea, «multinazionale» dovremmo dire, tanto quanto era l'Eternit. Riassumendo: il pool del pm Raffaele Guariniello è riuscito a portare alla sbarra la testa di un sistema internazionale, responsabile di un disastro ambientale permanente (oltre 2100 morti e un territorio avvelenato); le associazioni delle vittime lavorano in rete e hanno formato una specie di multinazionale; così, anche il collegio europeo di avvocati che difende molte parti civili (8 i legali stranieri, belgi, francesi, svizzeri, tedeschi e, forse, in futuro spagnoli e brasiliani). E sulla dimensione globale insiste Guariniello: «Serve una giustizia europea sulla salute e la sicurezza». In sintonia, con Francois Iselin Gueydan dell'associazione delle vittime svizzere Caeva che auspica «l'istituzione di un tribunale penale internazionale del lavoro». Dunque, un evento europeo, se non mondiale, anche per la pressione che potrebbe esercitare sui paesi, dal Canada alla Cina fino all'India, dove l'amianto non è ancora vietato.
Fino a 3000 parti civili
Le code di persone in fila, in attesa davanti alle maxi aule, sono il simbolo di una giornata storica. Il presidente della Corte Giuseppe Casalbore - nel 1984 fu uno dei pretori che oscurarono i ripetitori Fininvest - ha aperto la prima udienza con piglio severo. Dopo 180 secondi dall'inizio ha minacciato di «mandare via» due persone che stavano conversando in fondo all'aula e ha rimproverato ripetutamente gli avvocati che non indossavano la toga. Il suo, insieme a quello dei giudici a latere Fabrizia Pironti e Alessandro Santangelo, sarà un compito arduo: gestire un processo delicato e di vaste dimensioni. Prima, ha affrontato le questioni legate ai responsabili civili, come quella della Presidenza del consiglio, nella figura pro tempore di Silvio Berlusconi, i cui avvocati hanno chiesto l'esclusione dal processo. Poi, la costituzione delle parti civili. Un lungo elenco, la spoon river dell'amianto, letto nell'aula magna dove si trovavano i familiari e i parenti delle vittime. In totale le parti civili sono 2200, ma potrebbero arrivare a 3000, più vari enti locali, l'Inps, l'Inail, la Cgil, Medicina democratica, Wwf, Legambiente. Come da previsioni sui banchi non si sono visti gli imputati. «È un'assenza che mi fa rabbia, non ho rancore ma li voglio vedere in faccia, perché oltre ad aver causato le morti ci hanno lasciato un territorio inquinato, infischiandosi della bonifica», racconta Romana Blasotti Pavesi, presidente dell'associazione delle vittime di Casale. È una piccola donna che non ha mai smesso di lottare, ha perso il marito, la sorella, il nipote, la cugina e la figlia. Dalla difesa di Schmidheiny, l'avvocato Astolfo Di Amato ribadisce che l'amianto fa parte della storia sociale e industriale e la responsabilità non può essere individuale. La prossima udienza sarà il 25 gennaio e da quel giorno il processo verrà aggiornato ogni lunedì. Si pensa durerà due anni.
Sono tante le storie che si incontrano tra i corridoi del tribunale. Alessandro Bonamilo soffre di asbestosi (non riconosciuta) per aver lavorato 4 anni a Niederurnen in Svizzera. È stato uno di quei 1879 emigrati italiani che hanno faticato nella fabbrica degli Schmidheiny. Anche Francois Dosso partì giovanissimo verso la Francia, minatore a Merlebach, nella Lorena ai confini con la Germania: centomila malati di silicosi. Storie che reclamano dignità.
Mauro Ravarino
da il manifesto dell'11 dicembre
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