martedì 8 settembre 2009

In cassa integrazione anche i «re-inseritori»

Il paradosso del consorzio Csea

TORINO - La crisi più va avanti e più scatena paradossi. Può succedere che chi si occupa del reinserimento dei disoccupati si trovi lui stesso in cassa integrazione. Capita a Torino, alla Csea, importante agenzia formativa a capitale privato e pubblico (il Comune ha il 20%) con dieci sedi in Piemonte. La scorsa primavera ha denunciato un deficit di quasi 2 milioni di euro e chiesto 80 esuberi. Per ora nessun licenziamento, ma i 320 dipendenti sono tutti in cassa e senza percepire un euro. Va avanti così da metà giugno: niente stipendio, niente cassa retribuita e nemmeno ferie pagate. Anche se c'è un accordo - voluto dagli enti locali e firmato il 29 luglio - in cui si stabilisce che l'azienda, in cambio della cassa in deroga, si impegna a pagare gli arretrati. Tutto disatteso. «L'accordo è nato proprio per dare possibilità a Csea di acquisire dalle banche la liquidità necessaria a pagare gli arretrati, ma finora non abbiamo ricevuto un soldo», spiega Bruno Somale, delegato Flc-Cgil.

«Vorremmo sapere i motivi reali per cui Csea non riesce ad avere finanziamenti dalle banche», afferma Gianni Grimaldi, che ha vissuto direttamente la controversa privatizzazione di metà anni '90, quando alcuni centri di formazione gestiti dal Comune furono assorbiti dal consorzio Csea. La ritrosia delle banche è probabilmente dovuta all'assenza di un vero piano di ristrutturazione. Grimaldi si rivolge poi al Comune, parte in causa: «Non ci lasci soli, si impegni a tutelare chi rimarrà senza lavoro e dica se vuole sfilarsi dal cda». Questa è una delle preoccupazioni che agita i lavoratori, ovvero che, in tempi di brunettiana razionalizzazione, al Comune non convenga più di tanto Csea. Butta acqua sul fuoco il vicesindaco Tom Dealessandri: «E' un'ipotesi che non sta né in cielo né in terra, la convenzione con lo Csea è stata rinnovata neanche due anni fa. Con la Regione siamo impegnati perché la situazione si risolva».

Intanto, la prossima settimana, in uno stato di mobilitazione permanente (deciso martedì in assemblea), inizieranno i corsi per i ragazzi che devono assolvere l'obbligo formativo. I dipendenti non vogliono bloccare il naturale svolgersi delle lezioni, però tutto parte nell'incertezza. Il consorzio quest'anno compie 30 anni, gli ultimi molto travagliati. Da tempo si parla di sovrannumero, fornitori e consulenti non pagati e strategie sbagliate, come l'acquisizione di istituti decotti. Certo, una delle ragioni della crisi sono i finanziamenti diminuiti: gli anni in cui l'Europa elargiva fondi a pioggia sono lontani. «Ma saranno calati del 10 o 15%, non del 30% come dichiara Csea», precisa Somale.

Ripercorriamo, allora, le tappe della crisi. A marzo vengono resi noti difficoltà di bilancio e piano di esuberi, ad aprile saltano ticket per il pranzo e incentivi. Un mese dopo viene comunicato lo stato di crisi e lo Csea reclama contratti di solidarietà, ma il sindacato si oppone. A giugno i lavoratori portano a casa metà stipendio. A luglio, su sollecitatazione anche dalla presidente della Regione, Mercedes Bresso, viene decisa la cassa in deroga per ottenere una liquidità immediata dalle banche. Intanto, la Regione prepara un fondo di rotazione a sostegno delle agenzie e l'azienda promette che, se le attività partiranno regolarmente, la prima tranche di liquidità arriverà il 25 settembre. Ma la situazione non si sblocca: partono presidi e scioperi. Cosa chiedono i lavoratori? Dall'azienda, un piano di ristrutturazione; dagli enti locali, un interessamento per il ricollocamento degli esuberi.

Da il manifesto del 6 settembre

5 commenti:

Anonimo ha detto...

MATOLA IL CENSORE
Un mese fa una piccola compagnia locale, l’Associazione «Teatro a Canone», chiede al Comune di Chivasso l’uso del Teatrino Civico per rappresentarvi giovedì 10 settembre lo spettacolo A ferro e fuoco, basato sul libro di Stefania Podda Nome di Battaglia Mara. Vita e morte di Margherita Cagol il primo capo delle Br. Il Comune accoglie la richiesta. La recita si inserisce in un programma di riflessione su episodi e personaggi della storia italiana. In precedenza, la compagnia ha messo in scena aspetti della vita e delle opere di Piero Gobetti e della moglie Ada, del filosofo Piero Martinetti (a cui è intitolato il liceo di Caluso), di Beppe Fenoglio (con particolare riferimento al racconto La malora), di Pier Paolo Pasolini, di Don Lorenzo Milani, l’autore di Lettera a una professoressa. Ha collaborato con università, enti locali, scuole, aziende sanitarie. Il curriculum completo è a disposizione di chiunque voglia leggerlo, e ne mando una copia a «La Voce». Il libro di Podda, ex giornalista di «Liberazione», a cui lo spettacolo si ispira, è pubblicato da Sperling & Kupfer in una collana diretta da Luca Telese, collaboratore de «Il Giornale».
Tutto procede regolarmente finché venerdì pomeriggio, sei giorni prima della data dello spettacolo, la compagnia riceve via mail una lettera del sindaco con la quale viene revocato l’uso del Teatrino.
La revoca manda a monte il lavoro di un anno, le spese sostenute per prepararlo, l’introito che si attendeva dalla vendita dei biglietti d’ingresso. Ma, soprattutto, pur senza impedirlo crea un ostacolo – piccolo o grande - all’esercizio del diritto, costituzionalmente garantito, a manifestare liberamente il proprio pensiero «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (ho controllato sul sito del governo: la Costituzione è ancora in vigore). Il sindaco aveva il diritto di revocare l’uso del Teatrino, che aveva concesso un mese prima? A quale norma si è rifatto? Non si sa, perché la lettera non contiene alcun riferimento normativo. Nel regolamento del Teatrino si legge: «È pure facoltà del Sindaco e/o dell’Assessore al Patrimonio rifiutare l’uso della concessione a richieste che potrebbero turbare l’ordine pubblico». Ma la lettera non accenna a pericoli per l’ordine pubblico. Qual è allora la motivazione del provvedimento? Cito dalla lettera: «A seguito di esame del programma [che non esiste] della rappresentazione, si ritiene che la stessa contenga espressioni che possano essere ritenute offensive della dignità e della morale pubblica e pertanto potenzialmente lesive dei sentimenti ed egli interessi pubblici collettivi che questa Amministrazione è tenuta a tutelare». Caro Matola, in quale legge è assegnato al sindaco il compito di occuparsi di «morale pubblica» e di «sentimenti»? L’Italia è, o dovrebbe essere, uno Stato di diritto, non uno «stato etico», quello di Giovanni Gentile. Lo Statuto del Comune attribuisce al sindaco compiti di «amministrazione, vigilanza e organizzazione», non di tutore della morale pubblica.

Anonimo ha detto...

(segue)
Ma ammettiamo pure che, convinto che fosse suo compito, il sindaco abbia sentito il bisogno di preoccuparsi delle ferite che la storia sanguinosa della lotta armata ha lasciato nelle vittime, nei loro parenti, nei loro amici, nella loro cerchia, nei cittadini che ne hanno condiviso i sentimenti di dolore, nei tanti che ricordano con angoscia quel periodo. Se è così, lo possiamo comprendere, e anche apprezzarne la sensibilità. Ma allora perché non ha avuto la medesima sensibilità in un’altra circostanza? Il 10 giugno nel Teatrino civico (a spese del Comune?) è stato presentato un libro sul fondatore della Scuola di mistica fascista (1930-1943). L’evento è stato annunciato con un cartoncino (pagato dal Comune?) sul quale è riprodotta la copertina del libro, con tre signori in una magnifica camicia nera. Il cartoncino è intestato «Comune di Chivasso. Assessorato alla cultura» e «Biblioteca Civica J. Suigo». E reca: «Il Sindaco Bruno Matola e il Vicesindaco e Assessore alla Cultura Alessandro Germani sono lieti di invitarLa alla presentazione del libro di Tomas Carini Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista 1930-1943».
Domanda: il sindaco non ha pensato che a Chivasso vivono i parenti di partigiani e deportati la cui morte va messa sul conto dei signori in camicia nera le cui gesta sono studiate nel libro? Non ha pensato che la presentazione del libro, a cura del sindaco e del vicesindaco, a spese del Comune, nel luogo pubblico più prestigioso della città, avrebbe potuto offendere i sentimenti di quei parenti e di quegli eredi? Non ha pensato che quei signori in camicia nera furono gli esponenti del regime criminale responsabile della morte dei loro congiunti? Non avrebbe dovuto avere rispetto per i sentimenti anche di questi suoi concittadini? Non era opportuno evitare che l’evento si svolgesse in uno dei «locali appartenenti al patrimonio pubblico comunale»? Non ha pensato che avrebbe potuto evitare di concedere il patrocinio del Comune?
Piero Meaglia
“La Voce del Canavese”, 7 settembre 2009

Anonimo ha detto...

REPLICA A UN ARTICOLO DE "LA STAMPA"




“Notevole coincidenza”? Siamo seri.



Su “La Stampa” di ieri martedì 8 settembre 2009, a. p. 18, è comparso un articolo dal titolo “No a Mara Cagol”. Il sipario resta chiuso. In occhiello: Spettacolo teatrale proibito a Chivasso. E’ firmato L.Bor. Ne riporto la prima parte:





«Chi ha paura di Mara Cagol? La sua vita non può essere rappresentata nel teatro civico di Chivasso. Il sindaco Bruno Matola (Pdl) ha rifiutato di affittare la sala: "Non è censura, ma salvaguardia della sensibilità dei cittadini da spettacoli che possono turbare".

La preoccupazione del governo di centrodestra deriva dagli incidenti che avvennero a Chivasso il 10 luglio dell'anno scorso in occasione della presentazione di un libro sul lavoro di Renato Curcio, il fondatore delle Br e marito della Cagol. Ci furono contestazioni da giovani di destra, da parte di familiari delle vittime del terrorismo, ci furono anche tafferugli con ragazzi della sinistra.

"Ma non c'entriamo con la manifestazione di Curcio", dice Simone Capula, regista di Fiat Lux, che con "Teatro a canone" e il centro "Paolo Otelli", vicino a Rifondazione, ha organizzato la pièce sulla Cagol.

La coincidenza, però, è notevole: nel 2008 il capo delle Br in persona e ora la rappresentazione teatrale sulla moglie».





Prima di tutto ringrazio il giornalista de “La Stampa” per avere contribuito a far uscire dalla piccola città in cui è avvenuto la notizia di un “arbitrio” commesso dall’amministrazione comunale. Lo considero un “arbitrio” e ne indico in parte le ragioni nell’articolo in allegato: ma se ne dovrà riparlare per approfondire la questione.

Detto questo mi permetto di formulare alcune osservazioni, relative ai presunti “tafferugli” di cui si parla e soprattutto della “notevole coincidenza” che il giornalista rileva negli avvenimenti.




del Centro di documentazione “Paolo Otelli” di Chivasso

(www.controtelli.blogspot.com)

Chivasso, 9 settembre 2009

Anonimo ha detto...

(SEGUE)

1) Il 10 luglio dell’anno scorso, quando Curcio venne a Chivasso a presentare un libro, non ci furono tafferugli: ci fu una rumorosa contestazione di Azione Giovani, una specie di karaoke in piazza che ruppe i timpani ai residenti fino a tarda ora. Per conoscere le ragioni di quella stravagante manifestazione, rivolgersi ai locali dirigenti di quella organizzazione, che mi risulta avesse qualche cosa a che fare con Alleanza Nazionale, a cui aderiva il vicesindaco di Chivasso. Se i “ragazzi” di Azione Giovani quella sera se ne fossero stati a casa con la mamma e il papà, la quiete della sera chivassese non avrebbe subito alcun turbamento. Quella sera si stava solo presentando un libro sui lavoratori immigrati in un locale delle Acli: non stava arrivando l’Armata Rossa.



2) Nell’articolo è scritto: «la coincidenza, però, è notevole: nel 2008 il capo delle Br in persona e ora la rappresentazione teatrale sulla moglie». Dove sarebbe la coincidenza? Curcio e Mara Cagol erano marito e moglie, certo, ma fino al 1975, quando Cagol è morta. Sono passati 34 anni: dove sarebbe la coincidenza?



3) Mi risulta che le responsabilità penale sia personale (art. 27 Cost.), non «famigliare». I reati commessi da Curcio sono di Curcio e quelli commessi da Mara Cagol sono di Cagol, non della «famiglia Curcio-Cagol. Dove sarebbe la “notevole” coincidenza?



4) Le due iniziative chivassesi, quella del 2008 e quella attuale del 2009, sono completamente diverse. L’anno scorso venne presentato un libro non sulle Brigate Rosse di 30-35 anni fa, ma sui lavoratori immigrati di oggi: Renato Curcio, I Dannati del Lavoro. Vita e lavoro dei migranti tra sospensione del diritto e razzismo culturale(Edizioni Sensibili alle foglie, 2007). Quest’anno, giovedì 10 settembre, è programmata una recita su Mara Cagol, e in questa recita si parla effettivamente delle Brigate Rosse di 30-35 anni fa. Dove starebbe la coincidenza tra le due iniziative?

Anonimo ha detto...

5) Chivasso, che fa parte della cintura torinese, ha 26.000 abitanti: ma sulla città gravita un bacino di 90.000 abitanti se consideriamo un raggio di 10 km, e 190.000 se consideriamo un raggio di 15 km. Un bacino composto da molti comuni più piccoli per i quali Chivasso è centro scolastico, commerciale, sanitario, ferroviario, giudiziario, sportivo, ecc. E anche culturale: iniziative che vengono concepite in un punto o in un altro del bacino trovano il loro luogo naturale di realizzazione a Chivasso. L’anno scorso la presentazione del libro sugli immigrati fu organizzata da un gruppo di giovani provenienti da vari Comuni del bacino (Chivasso, Verolengo, Mazzé, Castagneto, Monteu, ecc.). Quest’anno la rappresentazione teatrale su Mara Cagol viene proposta da un gruppo teatrale che ha sede a Chivasso solo da un anno. Prima stava altrove, nemmeno in Piemonte. Il gruppo è composto da tre persone, delle quali una sola è della zona (Torrazza Piemonte), mentre le altre due provengono rispettivamente da Roma e da L’Aquila. Dove starebbe la coincidenza? Siamo seri. Se le due iniziative fossero avvenute a Torino, in due diversi quartieri, a un anno di distanza, il giornalista avrebbe parlato lo stesso di “notevole coincidenza”?



6) Queste «confusioni» lasciamole a chi ha interesse a fare confusioni e polveroni da sfruttare politicamente, Il punto veramente importante di tutta la questione, oltretutto, non è nemmeno il contenuto della rappresentazione teatrale (Br, Mara Cagol, ecc.), ma il fatto che ostacolarne la realizzazione significa ostacolare – in misura più o meno grande – l’esercizio del diritto costituzionalmente garantito a manifestare liberamente il proprio pensiero «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (art. 21). Revocando l’uso del Teatrino civico, e revocandolo pochi giorni prima della recita, quando è ormai impossibile trovare in tempo un altro posto, il sindaco: a) ha ostacolato l’esercizio di questo diritto; b) lo ha ostacolato adducendo motivazioni che non mi pare abbiano fondamento giuridico (del resto la sua lettera – che allego – curiosamente non cita nessuna norma, nemmeno il regolamento del Teatrino). Questo è il punto su cui avrei sperato che il giornalista si soffermasse maggiormente. Se vuole, è sempre a tempo per rimediare. Egli dovrebbe essere sensibile alla difesa dell’art. 21 della Costituzione. La Federazione Nazionale della Stampa ha indetto a Roma il 19 settembre una manifestazione proprio allo scopo “di rafforzare e di tutelare i valori racchiusi nell'articolo 21 della Costituzione”. Da questo blog, nel nostro piccolo, sosterremo la lotta dei giornalisti. Ma vorremmo che a loro volta si comportassero nei nostri confronti in modo serio.



piero meaglia

del Centro di documentazione “Paolo Otelli” di Chivasso

(www.controtelli.blogspot.com)

Chivasso, 9 settembre 2009