lunedì 21 gennaio 2008

Groening: la famiglia questa sovversiva


Un'analisi del fenomeno Simpson in contemporanea all'uscita nelle sale del primo lungometraggio

Dalla tv al cinema il passo non è stato breve. Sono trascorsi vent’anni da quando apparvero in un talk show della Fox, in una versione stringata e ancora informe. E diciotto da quando comparvero come serie televisiva. I Simpson, ormai un culto planetario partorito dal genio di Matt Groening, non hanno perso la freschezza degli esordi e nel giorno dell’uscita nelle sale del film diretto dall’ex Pixar David Silverman è lecito domandarsi se vinceranno anche la sfida con il widescreen e con la lunga durata, così abituati al 4:3 e alla forma breve a episodi.

Per la scrittura del film, Groening & Co. hanno scelto un registro epico creando una storia corale che ruota attorno alla famiglia di Homer, si muove da Springfield all’Alaska e tocca tematiche ambientali. Ma, prima di andare al cinema, scopriamo le radici di un fenomeno che, forte di un’idea originale, di una cura stilistica e contenutistica, ha incarnato negli ultimi decenni la più spietata e acuta satira sociale nel mondo dell’animazione e non solo.

Gialli e con gli occhi grandi, il padre Homer, pigro e teledipendente, la madre Marge, affettuosa ma un po’ pedante, con i tre figli, il discolo Bart, l’intelligente Lisa e la piccola Maggie, sono i protagonisti di un ritratto articolato e corrosivo dell’american way of life, tanto che il critico Bill Zehme li ha definiti gli unici personaggi reali della tv. I Simpson si affermano negli Anni ‘90 quando, grazie anche a loro, si verifica, dopo il dominio dei generi fantastici nipponici e disneyani, un’inversione di tendenza nel disegno animato seriale con un recupero della realtà quotidiana sotto una lente grottesca e iperrealista. Attorno al microcosmo di Springfield si incentrano gli episodi, con livelli di lettura che si stratificano in lungo e in largo. In ogni puntata è possibile seguire oltre alla storia, la dimensione registica, gli elementi di satira, il lato metatelevisivo o scoprire le continue citazioni. La casa dei Simpson, la scuola di Bart e di Lisa, la centrale dove lavora Homer e il bar di Moe sono i luoghi nevralgici di una città disegnata secondo le regole non scritte dell’urbanizzazione americana. Tutto ruota, però, intorno alla famiglia, ecco il tradizionalismo dell’anticonformismo simpsoniano, l’unica realtà in grado di opporsi all’esasperazione del contesto quotidiano.

Matt Groening ha metabolizzato il carattere sovversivo dell’underground americano, contaminandolo con la cultura post-moderna e l’interesse per il pastiche. Ha costruito personaggi dalla psicologia complessa, amandoli ma senza compiacenza. Raramente hanno ruoli archetipici e coniugano per lo più un mix di qualità positive e negative. Lo stesso Homer, tendenzialmente irascibile, non è privo di slanci di umanità. Groening ha poi sviluppato un linguaggio altamente cinematografico, rivoluzionario per i cartoon, facendo ricorso a forme e codici tipici della ripresa filmica.

Nel film, oltre ai camei di Tom Hanks e dei Green Day, compare tra i 94 personaggi Arnold Schwarzenegger nelle vesti di un autoritario presidente Usa (critica non velata all’attuale amministrazione a stelle e strisce), che decide di isolare Springfield mettendola in quarantena. Come nei fumetti, nei Simpson l’età dei protagonisti non cambia, vivono continuamente il tempo presente, intrecciando l’attualità politica e culturale in cui sono realizzati. Proprio da quest’attenzione per la realtà deriva la lucidità della loro critica sociale.

Ormai da anni sono materia di studio nelle università, si sono moltiplicati tesi di laurea e saggi, l’ultimo è il volume curato da Corrado Peperoni (Bulzoni). Ma tranquilli, i Simpson, studiati e riveriti, non hanno perso quel gusto della provocazione che ha fatto scuola nel mondo dell’animazione cosiddetta «adulta», dando vita a Futurama, South Park e Griffin.

Da La Stampa del 14 settembre 2007

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