Il "tranello" della Regione Piemonte: abrogata la legge oggetto di consultazione, ma le norme restano uguali
Una battaglia lunga 25 anni scippata in una manciata di minuti. Quelli
impiegati per approvare un emendamento alla finanziaria proposto
dall'assessore piemontese Claudio Sacchetto (Lega Nord) per abrogare la
legge regionale sulla caccia e, così, cancellare il referendum previsto
per il prossimo 3 giugno. Ebbene sì, in Piemonte si doveva votare per
limitare la caccia, proteggere 25 specie (alcune a rischio di
estinzione), impedirla la domenica e su terreni innevati. Un
appuntamento atteso dal 1987, quando le associazioni animaliste e
ambientaliste raccolsero 60mila firme ma furono poi trascinate in
un'estenuante battaglia legale attraverso 9 gradi di giudizio e
ostacolate da un ostruzionismo istituzionale, di ogni colore politico
(tanto è forte la piccola lobby dei cacciatori, 0,6% dei piemontesi).
Dopo
un quarto di secolo, in attesa di esercitare un diritto di voto,
all'inizio di quest'anno il Tar aveva imposto alla Regione l'indizione
del referendum. L'appello per il voto era stato firmato dal presidente
emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky e si era rimesso
in moto il vecchio comitato promotore (Pro Natura, Lav, Lac, Lipu, Wwf,
Italia Nostra, Legambiente, Radicali), che ora attacca: «Uno schiaffo
alla democrazia». L'abrogazione «è un espediente per evitare il
referendum, senza che vengano assunti in legge i quesiti referendari».
Ma non si dà per vinto: è pronto a nuovi ricorsi. E il 3 giugno, il
movimento sarà in piazza a Torino per una manifestazione nazionale.
Piero
Belletti, professore universitario di genetica agraria, è stato uno dei
primi firmatari del referendum, ora è il portavoce del comitato: «Sono
stati calpestati i diritti dei cittadini: hanno abrogato la legge
oggetto di referendum con l'accordo di farne un'altra appena passato il
rischio di una consultazione. E hanno giustificato il tutto con il
risparmio delle spese (malgrado il comitato avesse chiesto
l'accorpamento alle amministrative, ndr)». «Saluto positivamente il
risparmio di 22 milioni - ha detto il presidente Roberto Cota - che, in
un momento così delicato, potranno essere impegnati a sostegno delle
categorie più deboli». Colpo di mano contestato dall'opposizione: Sel,
Fds, Idv, M5s e, in modo più sfumato, dal Pd . Ieri, bagarre in aula. E,
mentre manca ancora il parere del Collegio di garanzia e il disegno di
una nuova legge rimane per Cota «un augurio», Andrea Stara (Insieme per
Bresso) avverte che l'escamotage dell'abrogazione «non basta a evitare
le urne».
«È grave che le iniziative che favoriscono la
partecipazione diretta vengano liquidate come uno spreco. Ovvio che
abbiano un costo, se no aboliamo le elezioni?», denuncia Belletti.
«Quello che è successo - aggiunge il portavoce - dimostra come in Italia
non esista più la certezza del diritto, la classe politica può fare ciò
che vuole». Il vuoto normativo è stato coperto dalla legge nazionale
sull'attività venatoria, più permissiva (44 specie cacciabili contro le
29 della legge piemontese). Ma il comitato non considera persa la
partita: «Oltre a ricorsi amministravi, non escludiamo una denuncia
penale. Riteniamo si sia configurata una violazione ai diritti
costituzionali dei cittadini».
E, sul tema democrazia, interviene
Daniela Bauduin, avvocato e studiosa di diritto: «Ci sono profili di
possibile illegittimità costituzionale: hanno abrogato la legge oggetto
di referendum ma non l'hanno sostituita con un'altra di diversi principi
ispiratori, hanno invece applicato quella nazionale, con principi
uguali».
Da il manifesto del 9 maggio