L’ansia dei politici non sta sul tetto. Talvolta ci sono saliti, magari con una scala a pioli e sguardi maliziosi. E qualcuno avverte che ci tornerà. Ma non è il loro spazio ideale. Preferiscono la piazza. Anche la campagna elettorale scorre di sotto. Sul tetto, lo scorso autunno, ci sono invece andati i ricercatori, i precari della ricerca. Non su uno a caso, ma su quello di Palazzo Nuovo, sede storica delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino, davanti alla Mole Antonelliana, il simbolo elegante della operosa città della Fiat. E l’ultimo piano resta tuttora un punto di osservazione, non solo suggestivo, per raccontare la vigilia delle elezioni. Anche quel potenziale di idee sul futuro della metropoli sabauda, frutto di progetti e ricerche nei laboratori e nei dipartimenti delle facoltà, che resta inespresso, ignorato dai programmi dei candidati.
«A novembre era un viavai di strette di mano e impegni promessi, adesso i politici non li vedi più. Ci tirano per la giacchetta, ci offrono posti in lista, ma a programma chiuso», racconta Alessandro Ferretti, fisico nucleare, che si divide tra l’ateneo torinese e il Cern di Ginevra. Portavoce della Rete 29 aprile, fu lui che il 23 novembre scorso, davanti all’assemblea di Palazzo Nuovo, disse: «Quando c’è un’alluvione si sale sui tetti. E noi saliamo per scampare al pericolo (la legge Gelmini, in quel caso, ndr), per evitare che non scompaia un futuro professionale per ricercatori e precari».
E, in cima, è stata un’altra storia. Per un po’ l’università è diventata parte del discorso pubblico. Lo è stata anche in questa campagna elettorale: Piero Fassino è stato il primo a parlare di «polo della conoscenza» e di Torino come città universitaria (con due atenei attualmente conta 100 mila studenti). «È il come che ci lascia più perplessi» dicono i ricercatori. [Continua]
La corsa per il primo sindaco “post-Fiat”
Da Linkiesta, 13 maggio
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