venerdì 25 novembre 2011
Torino Film Festival al via tra tagli e polemiche
C’è un feticismo che torna ogni volta che si parla di qualche festival. E talvolta stride col contesto. È di tessuto e di colore vivace, rosso per l’esattezza. Richiama un simbolismo pop di dive, lustrini, autografi e portaborse pitonati, i leoni di Venezia, le palme di Cannes e la veltroniana festa di Roma. Si tratta del red carpet, il tappeto delle star, diventato nelle ultime settimane l’oggetto del dibattito cultural-politico torinese, tradotto per l’occasione in Penelope Cruz: farne o meno la madrina (anzi la “seconda madrina”, visto che quella ufficiale è Laura Morante) del Torino film festival? Da una parte l’assessore regionale alla Cultura, il giovane Michele Coppola, Pdl, sfidante di Fassino alle comunali, e il neo presidente del Museo del cinema Ugo Nespolo, fautori di una linea più glamour, “a tutti i costi Penelope”, dall’altra l’assessore comunale Maurizio Braccialarghe (esterno Pd, già direttore del centro produzione Rai di via Verdi) e il direttore del festival, il regista Gianni Amelio, propensi a non snaturare l’anima del festival, “qualità low cost”, perché anche il Tff – in tempi di crisi – fa i conti con i tagli (e, dicono, “i divi costano”): un budget ridotto a 2 milioni di euro per la 29esima edizione, 300 mila in meno rispetto al 2010, un milione in meno rispetto al 2007 (10 milioni in meno dell’attuale edizione del Festival di cinema di Roma).
Strano, ma forse non troppo, che la contesa sul red carpet capiti nella sobria capitale sabauda, strano che capiti al Tff, il principale festival italiano per ricerca e qualità. In realtà, del tappeto rosso se ne parla dai tempi della destituzione del professor Gianni Rondolino e dell’arrivo, nel 2007, di Nanni Moretti alla guida della kermesse: esplose l’attenzione dei media, le paillettes non arrivarono; bastava lui, il divo Nanni. E, così a ogni nuova edizione, qualcuno ci riprova a forzare la natura antidivistica del Tff. Quest’anno, nonostante i tagli, le pressioni si sono fatte insistenti. Nonostante Amelio avesse detto «Qui si viene per i film. Non ci interessa il red carpet né “il modello romano” col suo budget faraonico», la caccia al vip è diventato il leitmotiv delle ultime settimane. Il giovane Coppola non ha mollato il suo endorsement per l’attrice spagnola, musa di Almodóvar, impegnata a Torino nelle riprese di Venuto al mondo di Sergio Castellitto. Alla fine, questa sera, Penelope Cruz sarà ospite (a costo zero, a dispetto delle indiscrezioni su cachet milionari) dell’inaugurazione del festival al Teatro Regio. E ci saranno pure Valeria Golino, Charlotte Rampling, impegnata a Torino sul set di Baby Blues, e il neo-ministro all’istruzione Francesco Profumo. A chiudere indirettamente una polemica, a tratti surreale, ci pensa il regista finlandese Aki Kaurismaki (in programma con Miracolo a Le Havre), premiato con il Gran Torino: «Preferisco i lupi agli uomini pallidi di Wall Street, un horror con loro risulterebbe noioso».
[CONTINUA]
Da Linkiesta, 25 novembre
domenica 20 novembre 2011
La val Susa area di guerra
Area di interesse strategico nazionale. Così, con l'ultimo colpo di coda del governo Berlusconi, è stata trasformata l'area della Maddalena di Chiomonte, quella del cantiere del tunnel geognostico dell'alta velocità Torino-Lione. Lo prevede, per «garantire il regolare svolgimento dei lavori», l'articolo 19 della legge di stabilità, approvata in tutta fretta lo scorso 12 novembre. Cosa significa? E quali sono le conseguenze? Quali diritti mette a repentaglio la militarizzazione della Val di Susa? Ne abbiamo parlato con Daniela Bauduin, avvocato, ed Elena Falletti, ricercatrice in diritto privato comparato, che, dopo aver analizzato i limiti democratici delle ordinanze emesse dalla prefettura di Torino da giugno a ottobre, hanno aperto un nuovo capitolo nella loro ricerca con interventi sulla rivista online Ipsoa della Wolters Kluwer. «Con il maxiemendamento - spiegano - viene dato al cantiere della Lyon Turin Ferroviaire (Ltf), società responsabile della parte comune italo-francese del futuro collegamento ferroviario, un riconoscimento di vera e propria intangibilità». Chiunque si introduca abusivamente nell'area della Maddalena rischia - secondo l'articolo 682 del codice penale (ingresso arbitrario in luoghi, ove l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato) - un anno di carcere o una multa di 309 euro. Secondo le due studiose, «la militarizzazione del cantiere è l'antitesi di principi riconosciuti, anche a livello internazionale, quali la partecipazione delle popolazioni interessate ai procedimenti decisionali in materia ambientale come affermato dagli articoli 6 (Partecipazione pubblica in decisioni su attività specifiche) e 7 (Partecipazione pubblica ai piani, ai programmi e alle politiche in materia ambientale) della Convenzione di Aarhus (1998), recepita in Italia con la legge 16 marzo 2001 (n. 108)». E vacillano anche i presupposti in materia di sostenibilità ambientale della Carta europea dei diritti fondamentali.
Chiomonte-Napoli
Alle radici, esiste una mancanza di «pianificazione politica» che ha portato l'autorità amministrativa italiana al ricorso continuo e spropositato di strumenti giuridici «straordinari». «È stato, inoltre, praticamente negato ai rappresentanti istituzionali, dissidenti verso l'opera, il diritto di prendere parte all'Osservatorio presieduto dall'architetto Mario Virano. Estromettendo le popolazioni e gli enti locali dai procedimenti decisionali i rischi sono una radicalizzazione del conflitto Stato - cittadini e una minore trasparenza dell'attività amministrativa». Il caso paradigmatico della Val di Susa riporta alla memoria la recente gestione rifiuti in Campania, dove nel 2008 si sperimentò un decreto per rendere le discariche napoletane «siti di interesse strategico», con l'impiego di militari. Chiomonte e Napoli, mille chilometri di distanza: «Ma terre di guerra in cui si ricorre alla forza e a poteri derogatori sul piano normativo. Il tutto - concludono Bauduin e Falletti - in nome dell'emergenza e di una efficienza che mortifica un modo diverso di gestire la cosa pubblica e di svolgere attività amministrative ordinarie».
Da il manifesto, 20 novembre
Chiomonte-Napoli
Alle radici, esiste una mancanza di «pianificazione politica» che ha portato l'autorità amministrativa italiana al ricorso continuo e spropositato di strumenti giuridici «straordinari». «È stato, inoltre, praticamente negato ai rappresentanti istituzionali, dissidenti verso l'opera, il diritto di prendere parte all'Osservatorio presieduto dall'architetto Mario Virano. Estromettendo le popolazioni e gli enti locali dai procedimenti decisionali i rischi sono una radicalizzazione del conflitto Stato - cittadini e una minore trasparenza dell'attività amministrativa». Il caso paradigmatico della Val di Susa riporta alla memoria la recente gestione rifiuti in Campania, dove nel 2008 si sperimentò un decreto per rendere le discariche napoletane «siti di interesse strategico», con l'impiego di militari. Chiomonte e Napoli, mille chilometri di distanza: «Ma terre di guerra in cui si ricorre alla forza e a poteri derogatori sul piano normativo. Il tutto - concludono Bauduin e Falletti - in nome dell'emergenza e di una efficienza che mortifica un modo diverso di gestire la cosa pubblica e di svolgere attività amministrative ordinarie».
Da il manifesto, 20 novembre
mercoledì 2 novembre 2011
Democrazia sospesa in Val di Susa
Ingiustificate le ordinanze emesse per fermare i manifestanti
La Val di Susa è la cartina di tornasole dello scivolamento democratico in atto, di un'alterazione della forma di governo parlamentare. Come nel ricorso continuo a decreti leggi a Roma, così nelle ricorrenti ordinanze prefettizie - per sgomberi e zone off-limits - in Valle, qualcosa non torna. Entrambi dovrebbero essere adottati solo in casi straordinari di necessità ed urgenza. Non è così. Perché, allora, stabilizzare l'emergenza? Se lo sono chieste due studiose di diritto, Daniela Bauduin (avvocato, recente autrice con Giancarlo Ferrero di L'economia sommersa e lo scandalo dell'evasione fiscale, Ediesse) ed Elena Falletti (ricercatrice di diritto privato comparato), che hanno analizzato le ordinanze emesse dalla prefettura di Torino da giugno a ottobre.
Partiamo dalla prima, che ordinò lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena (il presidio No Tav a Chiomonte), emessa il 22 giugno e notificata il 27. Il provvedimento si richiamava all'articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, secondo il quale il prefetto nel caso di urgenza o grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico. Articolo, ricordano Bauduin e Falletti, dichiarato parzialmente illegittimo - nei limiti in cui attribuisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi giuridici - dalla Corte costituzionale nel 1961, che invitò il legislatore a intervenire. Ma il testo è rimasto inalterato e «molti prefetti hanno emesso provvedimenti spesso oggetto di censure di legittimità». In realtà, le ordinanze prefettizie non dovrebbero mai essere in contrasto con la Costituzione. Gli strumenti ordinari, davvero, non bastano? Il pretesto dell'urgenza non regge di fronte a una protesta che dura da 22 anni.
Sono poi arrivate le ordinanze del 29 luglio e del 30 settembre, quasi identiche, reiterate e prorogate che hanno, tra l'altro, vietato l'ingresso e lo stanziamento nell'area di persone cose e mezzi estranei alle attività di cantiere. Nemmeno un mese dopo, ecco quella prima della manifestazione del 23 ottobre, con la «zona rossa» istituita dal prefetto, che ha esteso l'area interdetta all'accesso dei manifestanti di alcuni chilometri. È seguita un'ordinanza della Questura, paventando una linea di «tolleranza zero». Provvedimenti «esorbitanti» e «in odore di incostituzionalità». «Questi strumenti - spiegano le studiose - rafforzano il ruolo del governo per far fronte a un'emergenza, che però viene qualificata come tale dallo stesso soggetto che esercita il potere straordinario. Ne consegue l'ampia discrezionalità del prefetto. Le ordinanze dovrebbero essere giustificate da un contesto di eccezionalità e provvisorietà, senza nascondere problemi strutturali e persistenti. Diversamente, si altera la forma di governo democratico-parlamentare». Il legittimo diritto alla sicurezza «non può prevaricare sul diritto di manifestare liberamente il proprio dissenso».
La Val di Susa è la cartina di tornasole dello scivolamento democratico in atto, di un'alterazione della forma di governo parlamentare. Come nel ricorso continuo a decreti leggi a Roma, così nelle ricorrenti ordinanze prefettizie - per sgomberi e zone off-limits - in Valle, qualcosa non torna. Entrambi dovrebbero essere adottati solo in casi straordinari di necessità ed urgenza. Non è così. Perché, allora, stabilizzare l'emergenza? Se lo sono chieste due studiose di diritto, Daniela Bauduin (avvocato, recente autrice con Giancarlo Ferrero di L'economia sommersa e lo scandalo dell'evasione fiscale, Ediesse) ed Elena Falletti (ricercatrice di diritto privato comparato), che hanno analizzato le ordinanze emesse dalla prefettura di Torino da giugno a ottobre.
Partiamo dalla prima, che ordinò lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena (il presidio No Tav a Chiomonte), emessa il 22 giugno e notificata il 27. Il provvedimento si richiamava all'articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, secondo il quale il prefetto nel caso di urgenza o grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico. Articolo, ricordano Bauduin e Falletti, dichiarato parzialmente illegittimo - nei limiti in cui attribuisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi giuridici - dalla Corte costituzionale nel 1961, che invitò il legislatore a intervenire. Ma il testo è rimasto inalterato e «molti prefetti hanno emesso provvedimenti spesso oggetto di censure di legittimità». In realtà, le ordinanze prefettizie non dovrebbero mai essere in contrasto con la Costituzione. Gli strumenti ordinari, davvero, non bastano? Il pretesto dell'urgenza non regge di fronte a una protesta che dura da 22 anni.
Sono poi arrivate le ordinanze del 29 luglio e del 30 settembre, quasi identiche, reiterate e prorogate che hanno, tra l'altro, vietato l'ingresso e lo stanziamento nell'area di persone cose e mezzi estranei alle attività di cantiere. Nemmeno un mese dopo, ecco quella prima della manifestazione del 23 ottobre, con la «zona rossa» istituita dal prefetto, che ha esteso l'area interdetta all'accesso dei manifestanti di alcuni chilometri. È seguita un'ordinanza della Questura, paventando una linea di «tolleranza zero». Provvedimenti «esorbitanti» e «in odore di incostituzionalità». «Questi strumenti - spiegano le studiose - rafforzano il ruolo del governo per far fronte a un'emergenza, che però viene qualificata come tale dallo stesso soggetto che esercita il potere straordinario. Ne consegue l'ampia discrezionalità del prefetto. Le ordinanze dovrebbero essere giustificate da un contesto di eccezionalità e provvisorietà, senza nascondere problemi strutturali e persistenti. Diversamente, si altera la forma di governo democratico-parlamentare». Il legittimo diritto alla sicurezza «non può prevaricare sul diritto di manifestare liberamente il proprio dissenso».
Iscriviti a:
Post (Atom)